Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

sabato 25 gennaio 2014

La grande bellezza: mai il cinema italian o si era spinto cosi criticamente e ferocemente nell'analisi dei vizi quotidiani, delle miserie piccole e grandi...


Davvero di una “grande bellezza” il film di Sorrentino che, nonostante  il taglio provinciale e  i moduli italianamente caricaturali della recitazione,  ha vinto il Golden Globe come migliore film straniero.  

  Viene fatto di chiedersi: “Ma dove l'ha tirato fuori, Sorrentino, un film così?” Un film tragico e metafisico che va al di là delle vicende di un giornalista mondano (Jep Gambardella, il protagonista) narciso e indolente, impastoiato nei giochi mondani di una Roma fatua, superficiale, instancabilmete festaiola e dedita ai riti dell’ apparenza, che ricorda per alcune citazioni la Roma felliniana. La domanda sul senso e sul significato della vita viene fuori all'improvviso, nel pieno dei riti mondani sempre identici, uguali a se stessi, dei giochi, dei rituali, delle mode soggette, nella mescolanza  di sacro e profano, al vincolo delle convenzioni sociali, nel grigiore delle piccole e grandi miserie umane, anche. Magistrale la rappresentazione del mondo della  chirurgia estetica e della monaca santa! Attuale quella della performance dell’artista di turno che, dopo aver preso la rincorsa,  schiaccia violentemente la testa contro un muro cadendo  svenuta a terra (Non facciamo confusione con Marina Abramovic però!). Tragica la rappresentazione della bambina costretta ad esibirsi in una estenuante prova di pittura dinanzi ad amici ed intenditori d’arte, strumentalizzata da una famiglia narcisa e insensibile.(Non ci ricorda i molti genitori di oggi che esibiscono i figli utilizzandoli come proiezione narcisistica del proprio sé?). Superba la interpretazione di Servillo che non finisce di stupire, forse eccessivamente istrionica e “paesana”  ma che pure era essenziale alla resa del film. Mai il cinema italiano si era spinto così criticamente e ferocemente  e coraggiosamente (ho pensato agli americani American Beauty e Truman Show ) nell’esame   dei piccoli vizi quotidiani, degli affanni, dei vezzi, dei piccoli giochi di potere, delle falsità, del narcisismo devastanti dell’umanità contemporanea. (Perché i vizi e le manie descritte, declinati, sì, italianisticamente, non appartengono solo all’animale-uomo italico  ma anche a quasi tutta l’umanità occidentale. Ed è per questo che il film ha incontrato il consenso ed il plauso all’estero: perché è stato facile riconoscervisi!)  Una critica che  non risparmia nessuno: nobili, intellettuali, prelati, chirurghi, signore, suore. Un ‘operazione, quella di Sorrentino, difficile che riesce quasi sempre solo agli americani!



 

 

Raccontare è fare giustizia


Raccontare è fare giustizia: vale per il paziente che deve affondare nel dolore del suo passato per rendere giustizia al bambino che è in lui. Vale per tutti quelli che ricordano i loro morti, per tutti quelli che scrivono di personaggi del proprio paese che altrimenti rimarrebbero sconosciuti, come dice Benjamin nella sesta delle tesi di filosofia della storia.

 

 

 

sabato 18 gennaio 2014

Verso l'8 marzo, festa della donna: "Reading sul femminile"

                                                                                       




                                                

                                                                                       

                                   

P S I C O L O G I A  D E L  F E M M I N I L E

 




                            V e r s o  l’8  m a r z o

                  R E A D I N G  sul  F E M M I N I L E: non a voce sola!

       

          la lettura di alcuni testi significatvi

          la riflessione sul lento percorso che ha portato la donna        

           all’acquisizione della sua soggettività

           

                  Venerdì  7,  14,  21,  28  Febbraio

                               Ore 17 e 30

                 

                            Sala Diàlogos,

                         Cassino, via Molise-4

 Si accede con prenotazione ed iscrizione. Contributo per l’intero ciclo: 25 euro 
tel 0776 25993 - e-mail: mariafelice.pacitto@tin.it;cell.3382481768  

sabato 11 gennaio 2014

A proposito dei quaderni ritrovati di Martin Heidegger. certo, anche la genialità ha una sua zona d'ombra, in cui l'intelligenza rischia di soccombere al male.



Ho sempre pensato che il filonazismo di Heidegger non fosse solo un errore storico ma  toccasse l’essenza del suo pensiero filosofico.(Ma, a provare ad esprimerlo, immancabile la risposta: “La deviazione filonazista non inficia la genialità di uno dei più grandi pensatori del’900!” Risposta che si appaiava quasi sempre all’affermazione: “Però non ho capito cosa significhi esattamente l’Essere!” Bah!)  Me lo dicevano alcuni contenuti, l’ ambiguità e il messianesimo di alcune affermazioni, l’attivismo, il decisionismo, lo spirito antidemocratico(ambiva in quanto pensatore a diventare Fuhrer del Furher)il gioco e l’uso del linguaggio (Adorno definisce  il linguaggio heideggeriano “una caricatura alla tedesca della cabalistica”),un linguaggio ipnotico che utilizza appunto i modi delle tecniche ipnotiche: l’alternanza delle ridondanze, dell’indeterminatezza e vaghezza dei vocaboli usati,l’uso di alcuni vocabili che alludono all’assegnazione di un compito e alla responsabilità (chiamata, decisione, destino,..).  E tale idea si confermava, poi, in seguito, attraverso la lettura  di Löwith, Adorno, Luckács, Marcuse,la testimonianza di Ernesto Grassi,  attraverso la lettura delle biografie di Otto e Farias,  ma soprattutto del lavoro compendioso di Emmanuel Faye (“Heidegger , l’introduzione del nazismo nella filosofia”) che, attraverso, una lettura puntuale dei testi  heideggeriani  mostra come il pensiero filosofico stesso fosse fortemente impregnato di ideologia nazista.Non si era trattato di una deviazione  momentanea, culminata nell’appello del 3 novembre del 1933 agli studenti tedeschi in cui Heidegger sostenne che solo il fuhrer rappresentava “nel presente e nel futuro la realtà tedesca e la sua legge”.Anzi dopo il’35 il suo nazismo si era radicalizzato: nel 1940 esaltava la motorizzazione della Wehermacht come “atto metafisico” e nel 1941 definiva la selezione razziale come “metafisicamente necessaria” per arrivare, dopo la fine del nazismo, a negare l’esistenza dell’Olacausto, cosa che non poco ha influenzato il revisionismo e il negazionismo.( Ma Heidegger ha fortemente influenzato una schiera di suoi seguaci “filosofi” religiosamente dogmatici e irrazionali. Tipiche le loro espressioni: “ Heidegger ha già detto tutto!” , “Lo criticano perché non lo hanno capito!”)  Secondo Faye, Heidegger contribuì filosoficamente alla elaborazione della dottrina hitleriana ponendosi egli stesso come guida spirituale del nazismo. D’altra parte non è casuale, come svela Lowitt, la sua propensione al comando, a voler essere e a voler fare da maestro, il che lo portava a circondarsi di uno stuolo numeroso di  allievi fedeli di su cui aveva un forte ascendente. Come giustamente ha sottolineato Löwitt “l’elemento fondamentale della sua azione sui discepoli non fu l’anticipazione di un nuovo sistema, ma al contrario l’indeterminatezza del contenuto e il carattere di pura chiamata” anche se “il nichilismo interno, il nazionalsocialismo di questa pura risolutezza di fronte al nulla , rimasero in un primo tempo nascosti”(cit. in Faye, E. pag.17). Heidegger si estrometteva dal Logos!  Faye denuncia anche l’opera di falsificazione dei suoi scritti operata da Heidegger dal 1945 in poi dopo la sconfitta del nazismo.  Il giudizio di Faye è radicale e implacabile: Heidegger non merita la qualifica di filosofo e la sua opera  merita “ di figurare nelle  biblioteche di storia del nazismo e non in quelle di filosofia”.

Adesso arriva la notizia del ritrovamento di nove quaderni (solo pochissimi ne conoscevano l’esistenza) sui quali Heidegger dagli anni trenta fino al 1975, un anno prima della morte, ha fermato i suoi pensieri più reconditi ed autentici. Ebbene questi scritti confermano pienamente l’antisemitismo di Heidegger che assume, secondo quanto afferma Donatella Di Cesare, ordinario di Filosofia Teoretica presso la sapienza di Roma, presidente della Heidegger Gesellshaft, una chiara connotazione filosofico-metafisica. Prossimamente, in primavera, tre quaderni saranno pubblicati e sicuramente porteranno a rivedere molte cose nella interpretazione e valutazione dell’opera heideggeriana. Intanto si riaccendono le vecchie ma ancora attuali questioni. Si può essere indulgenti con un grande filosofo che ha fatto un ambiguo e torbido uso della filosofia?Può un pensiero di alto livello essere distinto dai comportamenti concreti? Può il sapere prescindere dall’etica e dalla responsabilità  verso il  mondo? Domande che si sintetizzano in un unico problema di fondo della filosofia: il rapporto della razionalità filosofica con la politica, il rapporto della teoria con la prassi. Di sicuro Heidegger è l’esempio lampante di come anche la “genialità” ha una sua zona d’ombra, in cui l’intelligenza rischia di soccombere al male. Jung avrebbe detto:molta luce, molta ombra!

Ma a che cosa deve servire la filosofia se non all’esame critico dei fatti, se non all’esercizio razionale del pensiero, se non al progresso umano e dell’intelletto, se non a quell’affrancamento della psiche dall’indistinto, dall’ambiguità irriflessiva?

 Non so se rallegrarmi per aver visto giusto o se provare un profondo malessere per l’uso che del pensiero e della filosofia è stato fatto da Martin Heidegger,osannato come uno dei maggiori filosofi del’900!  

mercoledì 1 gennaio 2014

Vita di PI: un film che è un percorso psicologico e spirituale


 La storia inizia con  il protagonista Piscine Molitor Patel (detto PI) che racconta la sua avventura ad uno scrittore che vuole farne una storia.Il flasback ci fa vedere un piccolo (e poi adolescente) PI curioso, sensibile (è convinto che anche gli animali abbiano un ‘anima), irrequieto che si interroga su se stesso, sul  mondo, su Dio trovando una singolare soluzione: l’adesione d un sincretismo religioso che mette insieme, induismo, cristianesimo, islam. A causa delle precarie condizioni politiche dell’India degli anni ’70 la famiglia di PI decide di trasferirsi in Canada . S’imbarcano, dunque, insieme ad un certo numero di animali da zoo su un mercantile. Ma la nave naufraga in pieno Oceano Pacifico e PI si ritrova da solo su una scialuppa da salvataggio insieme ad una zebra, un orangotango, una iena, una tigre. Da questo momento in poi si dipana una storia inverosimile ed avvincente, un viaggio  attraverso periodi torridi e periodi di tempesta e molte disavventure che durerà 227 giorni, un viaggio però che è un percorso spirituale. Quasi subito  PI rimane da solo con la tigre perché la iena ha ucciso la zebra e l’orangotango e la tigre, a sua volta, la iena. Pi imparerà a proteggersi dalla tigre ma l’aiuterà anche a sopravvivere, raccoglierà l’acqua piovana per essa e pescherà pesci perché sa che è un carnivoro e deve evitare in questo modo di diventare egli stesso cibo per l’animale. E’evidente  il significato simbolico, psicologico dell’animale: la tigre è la violenza interna di PI, violenza con cui PI deve fare amicizia, imparare a convivere se vuole evitare di essere “sbranato” cioè travolto dalla violenza. PI imparerà a lottare per la sua sopravvivenza pur essendo consapevole di essere impotente e di essere in balia del fato. Arriverà alla fine, stremato, su una spiaggia messicana e la tigre, con cui ha stabilito un rapporto speciale, fuggirà e lui si sentirà abbandonato. Questa molto succintamente la trama del film.Non di un film per bambini si tratta come apparentemente si potrebbe pensare dal titolo e dal manifesto del film ma di una bella,  avventurosa  storia, densa di significati spirituali e psicologici e aperta a molteplici letture. Non ultima l’esaltazione del valore del coraggio, della tenacia e della fede, il valore dell’accettazione delle cose e del sapersi muovere con il ritmo del mondo, il sapere accettare ciò che viene senza ribellione perché è nella natura delle cose ,valori questi e dimensioni psichiche più consoni al mondo e alla civiltà orientali. Ma è proprio da questa capacità, dal sapersi muovere in sintonia con il respiro del mondo,  senza fare opposizione ma senza perdere la voglia di lottare che si mobilitano le risorse  e la forza per la sopravvivenza. Ma mi piace sottolineare due altri punti. PI, verso la fine del film, dice che tutta la vita è un separsi (aggiungerei fino alla separazione ultima e definitiva) ma non è questo il problema: è nella natura delle cose, della vita che procede  solo grazie alle continue piccole e grandi rotture e separazioni, ma, piuttosto, il non farlo senza potersi congedare senza potersi dire addio. PI, come rimpiange l’abbandono della tigre che si è allontanata frettolosamente e senza esitazione, così rimpiange di non aver potuto ringraziare suo padre per tutti gli insegnamenti che gli hanno consentito di sopravvivere al naufragio e al pericoloso viaggio in mare. MI viene fatto di pensare come, oggi, i nostri incontri, quelli fugaci come quelli più durevoli nel tempo, non rispettino i tempi giusti: troppo veloci nell’entrare in relazione (hanno un che di aggressivo) , superficiali nella loro incapacità di stare pienamente nella relazione (si ha paura), bruschi ed elusivi nel congedo (si ha fretta di scappare dalla relazione).  La relazione è un processo intersoggettivo che si dispiega nel tempo: da un momento iniziale che origina da un bisogno, attraverso un momento centrale della soddisfazione, fino al  momento finale del completamento. Infine la pausa. (E’ ciò che i gestaltisti definiscono: precontatto, contatto pieno, postcontatto, ritiro).

Negli ultimi minuti del film, il protagonista racconta di aver fornito agli inquirenti della compagnia giapponese cui apparteneva la nave naufragata,venuti ad interrogarlo, un’altra versione dei fatti: sulla scialuppa c’erano Pi (la tigre), il cuoco cattivo (la iena), un marinaio (la zebra), l’orangotango. Il cuoco cattivo ha usato il corpo del marinaio morto come esca per i pesci; alle rimostranze della mamma di PI il cuoco ha ucciso la donna, PI ha ucciso il cuoco.  PI chiede al suo interlocutore quale racconto preferisca. Ma anche gli spettatori, è evidente, sono chiamati a scegliere.  L’interlocutore preferisce il primo, quello della tigre che è ammansita dalla tenacia di PI, quello che  narra la possibilità di coabitazione di uomo e animale e, dunque, da un punto di vista psicologico, la possibilità di integrare l’umanità di noi con gli aspetti più pericolosamente istintivi di  noi.

Ma  non è importante la storia che si sceglie ma, piuttosto, sottolineare ( del resto il film lo fa) come il raccontare, dare senso agli eventi, sia fondamentale per noi esseri umani.  Noi  siamo le storie che ci raccontiamo, storie che modifichiamo costantemente  secondo  i nostri  bisogni e al di fuori della nostra consapevolezza.  Ogni volta ci raccontiamo la storia  che ci piace di più, quella che soddisfa i nostri bisogni più profondi, quella che ci far stare meglio: ne va della nostra identità. E allora: BUON ANNO E BUONA NARRAZIONE!