Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

domenica 20 novembre 2016

Violenza nelle relazioni intime e delitto d'impeto: 24 novembre ore 17 e 30, Centro di Psicologia Umanistica e Analisi Fenomenologico Esistenziale






                                                                                                                                                                                              CONVERSAZIONI POMERIDIANE*:
 un ciclo di seminari e workshop del Centro di Psicologia Umani
  Programma di diffusione della Neuroetica della Filosofia delle Neuroscienze

    
   
                       
                  

                           Giovedì 24 Novembre ore 17 e 30
     “Violenza nelle relazioni intime e delitto d’impeto”
                    
                        Annalisa Castrechini
    Psicologa militare (Ufficiale Psicologa dell’EI-carcere Militare di Santa Maria C.V.), criminologa
                                                                              
                  
  A cura di:  Maria Felice Pacitto,
   Membro della“Società italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze
Qualsiasi persone è diffidata dall’usare sigle o form che appartengono al Centro di Psicologia Umanistica


Sala “Διάλογος”   - Centro di Psicologia Umanistica e Analisi Fenomenologico-esistenzialeCassino: Via Molise 4, int. 1 – tel 0776 25993 - e-mail: mariafelice.pacitto@tin.it;cell.3382481768 .Si accede con prenotazionione: 25 posti

mercoledì 2 novembre 2016

SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE IN FILOSOFIA, ETICA,ed ETOLOGIA : abstracts dei relatori


Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia


 


 

Corso 2016

 

INTELLIGENZE “INVISIBILI”

Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi

 

CASSINO - CAMPUS FOLCARA

8, 9, 10 novembre  2016

Abstracts

 


 


Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia


(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and Ethology)

 

Corso 2016

 

INTELLIGENZE “INVISIBILI”

Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi

 

CAMPUS FOLCARA

8, 9, 10 novembre  2016

 

Marco Bazzicalupo

Dipartimento di Biologia  - Università di Firenze

La comunicazione come elemento cognitivo del “social network” microbico

La vita e la sopravvivenza dei microrganismi dipendono in larga misura dal loro comportamento “cognitivo”, cioè, dalla capacità di riconoscere cosa succede all’esterno e al loro interno e comportarsi di conseguenza. Nel corso degli ultimi 30 anni, i biologi hanno accumulato una grande quantità di informazioni sui i modi in cui i microbi “conoscono” il mondo in cui vivono.  Tra gli strumenti cognitivi di cui essi dispongono, un ruolo fondamentale è rappresentato dalla capacità comunicativa intesa, in modo ampio, come meccanismo per attivare intenzionalmente interazioni con organismi della stessa o di altre specie.  In particolare, si può definire la comunicazione microbica, specialmente quella batterica, come la capacità di interagire in modo proficuo con conspecifici (o anche appartenenti a specie diverse), inclusa la capacità di intraprendere azioni collettive che possono anche prevedere una distinzione di ruoli.  Questa definizione porta a considerare i microrganismi come specie sociali e, dal momento che la socialità richiede cooperazione e coordinazione, la ricerca negli ultimi anni si è sempre più dedicata allo studio dei social network batterici coinvolgendo, non solo ecologi e microbiologi, ma anche sociobiologi e psicologi comparativi.  Per quanto il dibattito sul significato biologico di questi comportamenti sociali sia ancora lontano da dare risposte conclusive, la sperimentazione in questo campo ha prodotto risultati interessantissimi e adesso possiamo descrivere non solo i modi di comunicazione dei microrganismi ma anche le loro basi genetiche e molecolari. Infine, si sono potuti chiarire molti aspetti della comunicazione tra microrganismi e piante ed animali, che, tramite un “linguaggio” comune, portano ad interazioni di volta in volta simbiotiche, mutualiste, saprofitiche o patologiche. Tutto ciò ha gettato una nuova luce su fenomeni fino a pochi anni fa difficilmente comprensibili, quali la capacità delle cellule di stimare la densità della popolazione locale, l’organizzazione spaziale, la distribuzione degli ammassi cellulari, e le interazioni di queste con le condizioni ambientali. Concludiamo menzionando la consapevolezza che questi comportamenti “comunicativi” hanno anche a che fare in modo rilevante con la nostra vita di tutti i giorni, con l’agricoltura, l’industria e la salute umana.


 

 


Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia


(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and Ethology)


 

Corso 2016

 

INTELLIGENZE “INVISIBILI”

Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi

 

CAMPUS FOLCARA

8, 9, 10 novembre  2016

 

Paolo Bazzicalupo

Istituto di Bioscienze e Biorisorse (IBBR) - CNR Napoli

 

Il mondo secondo i nematodi: il ruolo delle piccole molecole

Il phylum dei nematodi comprende un numero di specie stimato intorno al milione. Di queste circa 20.000 sono state descritte. I nematodi hanno avuto successo nel colonizzare un range molto grande e vario di nicchie ecologiche in tutto il pianeta in ambienti, sia di terra, sia acquatici.

Sebbene il piano anatomico strutturale sia molto conservato e ben riconoscibile nelle diverse specie di nematodi, questi animali variano da dimensioni microscopiche fino a più di un metro di lunghezza, ed hanno una grande varietà di stili di vita: da free-living, in quasi tutti gli ambienti terrestri e marini,  a parassiti di piante e animali. Interagiscono con un'ampia varietà di organismi in rapporti che vanno dal mutualismo al parassitismo, a quelli tra predatore e preda, e tra organismo ospite e organismo patogeno. Queste interazioni sono cruciali per il loro successo adattativo.

Verranno presentati esempi di interazioni con l'ambiente e con altri organismi viventi che risultano in modifiche dello sviluppo, della fisiologia e del comportamento. Riproduzione, accoppiamento, ricerca del cibo, invecchiamento sono fortemente influenzati dall'interazione con altri organismi della nicchia. Molti degli esempi che discuteremo riguarderanno la specie modello Caenorhabditis elegans, perché è di gran lunga il nematode più studiato, ma verranno presentati anche esempi tratti da studi su altri nematodi.

Verrà evidenziato il fatto che il rapporto dei nematodi con gli ambienti e gli organismi che condividono la stessa nicchia è basato, nella maggior parte dei casi, su segnali chimici rappresentati da piccole molecole (di origine biologica e non) e verranno discusse le conseguenze che questa modalità comunicativa e interattiva ha avuto sull'evoluzione del genoma. Verrà evidenziata la plasticità comportamentale di organismi relativamente semplici da un punto di vista strutturale, e con un sistema nervoso costituito da poche centinaia di neuroni, quali sono appunto i nematodi, e quanto questa plasticità abbia contribuito al loro straordinario successo evolutivo.


 

Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia


(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and Ethology)


 

Corso 2016

 

INTELLIGENZE “INVISIBILI”

Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi

 

CAMPUS FOLCARA

8, 9, 10 novembre  2016

 

Manuela Giovannetti

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali - Università di Pisa

 

Struttura e funzioni delle reti fungine alla base delle complesse

interazioni ecosistemiche

 

La grande maggioranza delle piante terrestri vive in simbiosi mutualistica con microrganismi benefici, i funghi micorrizici arbuscolari (MA), che sono fondamentali per la nutrizione vegetale, la tolleranza agli stress biotici e abiotici e il mantenimento della biodiversità. I funghi MA sono biotrofi obbligati e colonizzano le radici delle loro piante ospiti ottenendo zuccheri, che sono incapaci di sintetizzare, in cambio di nutrienti minerali, assorbiti dal suolo e traslocati alle piante ospiti attraverso reti miceliari che si estendono dalle radici colonizzate al suolo circostante. Tali reti rappresentano la struttura nella quale avviene un intenso flusso bidirezionale di nutrienti, principalmente fosforo, azoto, zinco, rame ferro, potassio, dal suolo alla pianta e di zuccheri acquisiti dalle ife intraradicali e trasferiti alle altre strutture fungine nel suolo. Poiché i funghi MA non possiedono specificità d’ospite, le loro reti miceliari possono interconnettere gli apparati radicali di piante appartenenti a specie, generi e famiglie diversi. L’estensione, la vitalità e la capacità di formare interconnessioni influenzano direttamente il flusso di nutrienti nelle reti micorriziche e le complesse interazioni che regolano il funzionamento degli ecosistemi vegetali. Recenti lavori hanno contribuito a dare un’immagine dinamica delle reti micorriziche, rivelandone la struttura, gli eventi cellulari che precedono la formazione delle fusioni ifali, il fenomeno del riconoscimento self/nonself e l’incompatibilità vegetativa.



 

 


Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia


(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and Ethology)


 

Corso 2016

 

INTELLIGENZE “INVISIBILI”

Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi

 

CAMPUS FOLCARA

8, 9, 10 novembre  2016

 

Rodolfo  Gentili

Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio e di Scienze della Terra

Università di Milano Bicocca

 

Socialità e “socializzazione” nel mondo vegetale

Nella prima metà del XIX secolo tra i naturalisti maturò la consapevolezza che le popolazioni di differenti specie vegetali si assemblano in comunità, con caratteristiche strutturali e composizione che si ripetono o variano in funzione dei fattori ambientali e del contesto geografico. In quel periodo, il grande geografo e botanico tedesco Alexander von Humboldt, a seguito dei suoi numerosi viaggi naturalistici, si accorse che le zone di vegetazione del mondo variano in funzione del clima e secondo gradienti latitudinali e altitudinali. Dopo la pubblicazione di The Origin of Species di Darwin, ci si rese conto che entro le formazioni vegetali (o paesaggio vegetale), specie distinte coabitano e sono adattate a vivere con mezzi e risorse diversi nel medesimo ambiente. Successivamente, la sociologia vegetale, poi fitosociologia, si concentrò maggiormente sulle interrelazioni tra specie differenti, ossia sulle modalità in cui le specie si associano, interagiscono e si influenzano tra loro nel tempo, in un determinato habitat. L’aumentare delle conoscenze portò, quindi, alla scoperta dei fenomeni di interazione, cooperazione e competizione che pervadono tutti i livelli di organizzazione del mondo vegetale ed in particolare quello delle comunità vegetali. Ad oggi, tali interazioni sociali sono ritenute basilari per l’evoluzione delle piante, a livello, sia di individuo, sia di comunità, ed è assodato che queste possano essere regolate da fattori sia genetici, sia ambientali, secondo criteri di costi e benefici. Negli ultimi anni, un numero crescente di studi riconosce alle piante che coesistono in popolazioni e comunità, forme di intelligenza diffusa, in quanto organismi in grado di percepire, comunicare tra loro, avere memoria e prendere “decisioni” nell’ambiente in cui vivono.

 

Riferimenti bibliografici

Baluška F., Lev-Yadun S., Mancuso S., 2010.Swarm intelligence in plant roots. Trends in Ecology and Evolution, 25: 682-683.

Braun-Blanquet J., 1932. Plant Sociology. McGraw-Hill book company, inc. New York.

Gagliano M., 2014. In a green frame of mind: perspectives on the behavioural ecology and cognitive nature of plants. AoB PLANTS, 7: plu075.

Harper R.M., 1917. The new science of plant sociology. The Scientific Monthly, 4: 456-460.

Humboldt von A., 1805. Essay on the geography of plants. Ed. Stephen T. Jackson.

Karban R.,Shiojiri K., 2009. Self-recognition affects plant communication and defense. Ecology Letters, 12: 502–506.


 

Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia


(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and Ethology)


 

Corso 2016

 

INTELLIGENZE “INVISIBILI”

Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi

 

CAMPUS FOLCARA

8, 9, 10 novembre  2016

 

Mirella Delfini

(saggista e giornalista)

 

Brevetti rubati alla natura

 

 

Quando gli uomini inventano una cosa, spesso, il popolo degli insetti e degli aracnidi la conosceva già da milioni di anni. Le novità che il futuro tiene in serbo per noi sono, a volte, già vecchiumi per la piccola gente, che le ha addirittura sostituite con altre, più perfezionate. Modellini di macchine che fabbricheremo nel Duemilacento, o nel Tremila, ci passano ogni giorno sott’occhio e noi a malapena le vediamo, o tutt’al più le spruzziamo con un insetticida per toglierle di mezzo.

Ci accorgiamo delle loro tecniche prodigiose solo se arriviamo a scoprirle anche noi. Quando è possibile, rubiamo le loro invenzioni senza tante storie. È nata persino una scienza che organizza questi furti: la bionica.

Tanto per fare qualche esempio - e ce ne sarebbero a centinaia – la vespa Poliste ha inventato tecniche per ricavare carta dal legno molti milioni di anni prima di noi, che ci siamo arrivati  intorno al 1840; abbiamo fabbricato le tute degli astronauti copiando il materiale di cui si rivestono molti insetti; da cent’anni appena, l’uomo ha carpito il brevetto della campana da palombaro all’Argironeta, un ragno terrestre che preferisce vivere sott’acqua.

Per carità, dicono gli zoologi, stiamo attenti a non misurare questi esserini con il nostro metro. Dire che il ragno “preferisce” fare una cosa piuttosto che un’altra significa attribuirgli comportamenti simili ai nostri. Significa “antropomorfizzare”. Giusto! Meglio mettersi dalla parte opposta, allora, e insettomorfizzare, ossia, misurare gli uomini con il metro della piccola gente: della termite costruttrice di condizionatori d’aria, della falena capace di falsificare codici ultrasonici, e magari del formicaleone, al quale Giulio Cesare si ispirò per la costruzione di certe trappole a scivolo, durante l’assedio di Alessia.

L’intelligenza passa attraverso tutti gli esseri viventi, come il tema portante di una sinfonia.


 

Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia


(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and Ethology)


 

Corso 2016

 

INTELLIGENZE “INVISIBILI”

Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi

 

CAMPUS FOLCARA

8, 9, 10 novembre  2016

 

Sonia Canterini

Dipartimento di Psicologia “Daniel Bovet”  - Sezione Neuroscienze -

Università La Sapienza di Roma

 

Dall’assolo alla sinfonia: evoluzione del cervello

Qualsiasi animale per sopravvivere, riprodursi, difendersi e procurarsi il cibo, necessita di un sistema nervoso in grado di coordinare rapidamente le diverse funzioni biologiche. Come noto, in natura esistono molti sistemi nervosi differenti che si basano su un unico tipo di cellula, il neurone. Nel corso dell'evoluzione questo tipo cellulare ha assunto varie forme pur mantenendo fortemente preservati le sue proprietà elettriche e la natura dei segnali chimici. Quali sono le origini del sistema nervoso? Qual è il vantaggio evolutivo per i primi organismi che lo hanno sviluppato? Paradossalmente, l’evoluzione del cervello è iniziata con i batteri. Questi primi organismi unicellulari, pur non possedendo neuroni, hanno sviluppato “canali ionici”, che gli hanno permesso di comunicare tra loro attraverso meccanismi di segnalazione elettrica, simili a quelli presenti nei neuroni del cervello umano. I geni che forniscono le istruzioni per la costruzione dei canali ionici, infatti, sono presenti sia nei batteri sia negli esseri umani, suggerendo che la capacità di percepire e interagire si è evoluta da organismi molto semplici, per poi essere consolidata a livello dei neuroni specializzati che oggi ritroviamo negli animali e nell’uomo. Con l’avvento di organismi multicellulari quali spugne, vermi di mare e meduse, si sono evoluti i primi neuroni, completi di canali ionici e sinapsi e liberamente organizzati in reti nervose. Queste semplici reti hanno permesso agli animali di procurarsi il cibo molto più facilmente, mediante lo sviluppo di comportamenti predatori come la caccia. Insetti e affini hanno sviluppato una forma molto rudimentale di cervello,in grado di integrare i segnali ambientali chimici, acustici, visivi e tattili, e comportamenti complessi, per quanto riguarda la ricerca del cibo, la scelta del compagno e l’organizzazione sociale. Con i vertebrati e poi i mammiferi, all’aumentare delle capacità di reagire alle informazioni che provengono dall’ambiente, il cervello è diventato straordinariamente complesso, con una“sinfonia” di neuroni associativi organizzati in schemi intricati. Infine, con lo sviluppo avanzato del cervello umano, si è aperta una nuova forma di evoluzione: l’adattamento mediante la manipolazione tecnica dell’ambiente. Negli ultimi anni, l’approccio evoluzionistico e comparativo della neuroetologia ha acquisito una sempre maggiore importanza poiché permette di comprendere in che misura il pensiero e le funzioni cognitive sono conservate lungo la scala filogenetica e qual è la relazione tra forma, struttura e funzione nel cervello.



 

 


 


Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia


(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and Ethology)


 

Corso 2016

 

INTELLIGENZE “INVISIBILI”

Forme non antropomorfe della “cognizione” fuori e dentro di noi

 

 

CAMPUS FOLCARA

8, 9, 10 novembre  2016

 

 

Stefano Gensini

Dipartimento di Filosofia - Università “La Sapienza” di Roma

 

                         Il dibattito sulla razionalità animale

                    tra filosofia della mente e ricerca empirica

 

Negli ultimi lustri hanno avuto ampia eco, in area filosofica, e soprattutto nell'ambito della filosofia analitica, le tesi di Donald Davidson ('Thought and Talk, 1975', 'Rational Animals', 1982)  intorno alla impossibilità di ammettere una razionalità animale.  La sua idea è che per avere razionalità è necessario disporre di atteggiamenti proposizionali (quali credenze, desideri, intenzioni e simili) ma che averne presuppone il possesso del linguaggio, inteso quest'ultimo come linguaggio verbale. Di conseguenza gli animali diversi dall'essere umano, non possedendo il linguaggio verbale, non possono essere considerati razionali; e lo stesso vale per il bambino piccolo, il quale, tuttavia, diventerà razionale crescendo. Questa tesi, dichiaratamente antropocentrica e, a suo modo, neocartesiana, verrà discussa nella mia comunicazione sulla scorta di due argomenti: (1) ampia parte della scienza cognitiva di oggi ha rilevato comportamenti 'intelligenti' nei primati superiori non umani e in altre specie animali, proprio con riferimento agli atteggiamenti proposizionali che Davidson vorrebbe riservare all'uomo; (2) la ricerca transdisciplinare sulle origini del linguaggio verbale (paleoantropologia, biologia e neurologia, archeologia primitiva  ecc.) ha messo in luce che esso si è verosimilmente formato (e tuttora opera) in un contesto multimodale - semiotico - che mette in crisi sul piano sia filogenetico che ontogenetico l'equivalenza pensiero/linguaggio.  Entrambi gli argomenti vanno - a nostro avviso - nella direzione di avvalorare una nozione 'allargata' (e per così dire 'distribuita') sia di 'linguaggio', sia di 'razionalità' che falsifica l'impostazione davidsoniana della questione.