Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia
Corso 2016
INTELLIGENZE “INVISIBILI”
Forme non antropomorfe della “cognizione”
fuori e dentro di noi
CASSINO - CAMPUS
FOLCARA
8, 9, 10
novembre 2016
Abstracts
Scuola di Alta Formazione in Filosofia, Etica, ed Etologia
(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and
Ethology)
Corso 2016
INTELLIGENZE “INVISIBILI”
Forme non antropomorfe della “cognizione”
fuori e dentro di noi
CAMPUS FOLCARA
8, 9, 10 novembre 2016
Marco Bazzicalupo
Dipartimento di
Biologia - Università di Firenze
La comunicazione come elemento cognitivo del “social network”
microbico
La
vita e la sopravvivenza dei microrganismi dipendono in larga misura dal loro
comportamento “cognitivo”, cioè, dalla capacità di riconoscere cosa succede
all’esterno e al loro interno e comportarsi di conseguenza. Nel corso degli
ultimi 30 anni, i biologi hanno accumulato una grande quantità di informazioni
sui i modi in cui i microbi “conoscono” il mondo in cui vivono. Tra gli strumenti cognitivi di cui essi
dispongono, un ruolo fondamentale è rappresentato dalla capacità comunicativa
intesa, in modo ampio, come meccanismo per attivare intenzionalmente
interazioni con organismi della stessa o di altre specie. In particolare, si può definire la
comunicazione microbica, specialmente quella batterica, come la capacità di
interagire in modo proficuo con conspecifici (o anche appartenenti a specie
diverse), inclusa la capacità di intraprendere azioni collettive che possono
anche prevedere una distinzione di ruoli.
Questa definizione porta a considerare i microrganismi come specie
sociali e, dal momento che la socialità richiede cooperazione e coordinazione,
la ricerca negli ultimi anni si è sempre più dedicata allo studio dei social
network batterici coinvolgendo, non solo
ecologi e microbiologi, ma anche sociobiologi e psicologi comparativi. Per quanto il dibattito sul significato
biologico di questi comportamenti sociali sia ancora lontano da dare risposte
conclusive, la sperimentazione in questo campo ha prodotto risultati
interessantissimi e adesso possiamo descrivere non solo i modi di comunicazione
dei microrganismi ma anche le loro basi genetiche e molecolari. Infine, si sono
potuti chiarire molti aspetti della comunicazione tra microrganismi e piante ed
animali, che, tramite un “linguaggio” comune, portano ad interazioni di volta
in volta simbiotiche, mutualiste, saprofitiche o patologiche. Tutto ciò ha
gettato una nuova luce su fenomeni fino a pochi anni fa difficilmente
comprensibili, quali la capacità delle cellule di stimare la densità della
popolazione locale, l’organizzazione spaziale, la distribuzione degli ammassi
cellulari, e le interazioni di queste con le condizioni ambientali. Concludiamo
menzionando la consapevolezza che questi comportamenti “comunicativi” hanno
anche a che fare in modo rilevante con la nostra vita di tutti i giorni, con
l’agricoltura, l’industria e la salute umana.
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(Post-Graduate School of Philosophy, Ethics, and Ethology)
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INTELLIGENZE “INVISIBILI”
Forme non antropomorfe della “cognizione”
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8, 9, 10 novembre 2016
Paolo Bazzicalupo
Istituto di
Bioscienze e Biorisorse (IBBR) - CNR Napoli
Il mondo secondo i
nematodi: il ruolo delle piccole molecole
Il phylum dei nematodi comprende un numero di
specie stimato intorno al milione. Di queste circa 20.000 sono state descritte.
I nematodi hanno avuto successo nel colonizzare un range molto grande e vario
di nicchie ecologiche in tutto il pianeta in ambienti, sia di terra, sia
acquatici.
Sebbene il piano anatomico strutturale sia
molto conservato e ben riconoscibile nelle diverse specie di nematodi, questi
animali variano da dimensioni microscopiche fino a più di un metro di
lunghezza, ed hanno una grande varietà di stili di vita: da free-living, in
quasi tutti gli ambienti terrestri e marini,
a parassiti di piante e animali. Interagiscono con un'ampia varietà di
organismi in rapporti che vanno dal mutualismo al parassitismo, a quelli tra
predatore e preda, e tra organismo ospite e organismo patogeno. Queste
interazioni sono cruciali per il loro successo adattativo.
Verranno presentati esempi di interazioni con
l'ambiente e con altri organismi viventi che risultano in modifiche dello
sviluppo, della fisiologia e del comportamento. Riproduzione, accoppiamento,
ricerca del cibo, invecchiamento sono fortemente influenzati dall'interazione
con altri organismi della nicchia. Molti degli esempi che discuteremo
riguarderanno la specie modello Caenorhabditis
elegans, perché è di gran lunga il nematode più studiato, ma verranno
presentati anche esempi tratti da studi su altri nematodi.
Verrà evidenziato il fatto che il rapporto
dei nematodi con gli ambienti e gli organismi che condividono la stessa nicchia
è basato, nella maggior parte dei casi, su segnali chimici rappresentati da
piccole molecole (di origine biologica e non) e verranno discusse le
conseguenze che questa modalità comunicativa e interattiva ha avuto
sull'evoluzione del genoma. Verrà evidenziata la plasticità comportamentale di
organismi relativamente semplici da un punto di vista strutturale, e con un
sistema nervoso costituito da poche centinaia di neuroni, quali sono appunto i
nematodi, e quanto questa plasticità abbia contribuito al loro straordinario
successo evolutivo.
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INTELLIGENZE “INVISIBILI”
Forme non antropomorfe della “cognizione”
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8, 9, 10 novembre 2016
Manuela Giovannetti
Dipartimento di
Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali - Università di Pisa
Struttura e funzioni delle reti fungine alla base delle complesse
interazioni ecosistemiche
La grande maggioranza delle piante terrestri vive in simbiosi mutualistica con microrganismi benefici, i funghi micorrizici arbuscolari (MA), che sono fondamentali per la nutrizione vegetale, la tolleranza agli stress biotici e abiotici e il mantenimento della biodiversità. I funghi MA sono biotrofi obbligati e colonizzano le radici delle loro piante ospiti ottenendo zuccheri, che sono incapaci di sintetizzare, in cambio di nutrienti minerali, assorbiti dal suolo e traslocati alle piante ospiti attraverso reti miceliari che si estendono dalle radici colonizzate al suolo circostante. Tali reti rappresentano la struttura nella quale avviene un intenso flusso bidirezionale di nutrienti, principalmente fosforo, azoto, zinco, rame ferro, potassio, dal suolo alla pianta e di zuccheri acquisiti dalle ife intraradicali e trasferiti alle altre strutture fungine nel suolo. Poiché i funghi MA non possiedono specificità d’ospite, le loro reti miceliari possono interconnettere gli apparati radicali di piante appartenenti a specie, generi e famiglie diversi. L’estensione, la vitalità e la capacità di formare interconnessioni influenzano direttamente il flusso di nutrienti nelle reti micorriziche e le complesse interazioni che regolano il funzionamento degli ecosistemi vegetali. Recenti lavori hanno contribuito a dare un’immagine dinamica delle reti micorriziche, rivelandone la struttura, gli eventi cellulari che precedono la formazione delle fusioni ifali, il fenomeno del riconoscimento self/nonself e l’incompatibilità vegetativa.
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8, 9, 10 novembre 2016
Rodolfo Gentili
Dipartimento
di Scienze dell’Ambiente e del Territorio e di Scienze della Terra
Università
di Milano Bicocca
Socialità e “socializzazione” nel mondo vegetale
Nella prima metà del XIX
secolo tra i naturalisti maturò la consapevolezza che le popolazioni di
differenti specie vegetali si assemblano in comunità, con caratteristiche
strutturali e composizione che si ripetono o variano in funzione dei fattori
ambientali e del contesto geografico. In quel periodo, il grande geografo e
botanico tedesco Alexander von Humboldt, a seguito dei suoi numerosi viaggi
naturalistici, si accorse che le zone di vegetazione del mondo variano in
funzione del clima e secondo gradienti latitudinali e altitudinali. Dopo la
pubblicazione di The Origin of Species
di Darwin, ci si rese conto che entro le formazioni vegetali (o paesaggio
vegetale), specie distinte coabitano e sono adattate a vivere con mezzi e
risorse diversi nel medesimo ambiente. Successivamente, la sociologia vegetale,
poi fitosociologia, si concentrò maggiormente sulle interrelazioni tra specie
differenti, ossia sulle modalità in cui le specie si associano, interagiscono e
si influenzano tra loro nel tempo, in un determinato habitat. L’aumentare delle
conoscenze portò, quindi, alla scoperta dei fenomeni di interazione,
cooperazione e competizione che pervadono tutti i livelli di organizzazione del
mondo vegetale ed in particolare quello delle comunità vegetali. Ad oggi, tali
interazioni sociali sono ritenute basilari per l’evoluzione delle piante, a
livello, sia di individuo, sia di comunità, ed è assodato che queste possano
essere regolate da fattori sia genetici, sia ambientali, secondo criteri di
costi e benefici. Negli ultimi anni, un numero crescente di studi riconosce
alle piante che coesistono in popolazioni e comunità, forme di intelligenza
diffusa, in quanto organismi in grado di percepire, comunicare tra loro, avere
memoria e prendere “decisioni” nell’ambiente in cui vivono.
Riferimenti
bibliografici
Baluška F., Lev-Yadun S., Mancuso S., 2010.Swarm intelligence in plant roots. Trends in Ecology and Evolution, 25: 682-683.
Braun-Blanquet
J., 1932. Plant Sociology. McGraw-Hill book company, inc. New York.
Gagliano
M., 2014. In a green frame of mind: perspectives on the behavioural ecology and
cognitive nature of plants. AoB PLANTS,
7: plu075.
Harper
R.M., 1917. The new science of plant sociology. The
Scientific Monthly, 4: 456-460.
Humboldt
von A., 1805. Essay on the geography of plants. Ed. Stephen T. Jackson.
Karban
R.,Shiojiri K., 2009. Self-recognition affects plant communication and
defense. Ecology Letters, 12:
502–506.
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8, 9, 10 novembre 2016
Mirella Delfini
(saggista e
giornalista)
Brevetti
rubati alla natura
Quando gli uomini inventano una cosa,
spesso, il popolo degli insetti e degli aracnidi la conosceva già da milioni di
anni. Le novità che il futuro tiene in serbo per noi sono, a volte, già
vecchiumi per la piccola gente, che le ha addirittura sostituite con altre, più
perfezionate. Modellini di macchine che fabbricheremo nel Duemilacento, o nel
Tremila, ci passano ogni giorno sott’occhio e noi a malapena le vediamo, o
tutt’al più le spruzziamo con un insetticida per toglierle di mezzo.
Ci accorgiamo delle loro tecniche
prodigiose solo se arriviamo a scoprirle anche noi. Quando è possibile, rubiamo
le loro invenzioni senza tante storie. È nata persino una scienza che organizza
questi furti: la bionica.
Tanto per fare qualche esempio - e ce ne
sarebbero a centinaia – la vespa Poliste ha inventato tecniche per ricavare
carta dal legno molti milioni di anni prima di noi, che ci siamo arrivati intorno al 1840; abbiamo fabbricato le tute
degli astronauti copiando il materiale di cui si rivestono molti insetti; da
cent’anni appena, l’uomo ha carpito il brevetto della campana da palombaro
all’Argironeta, un ragno terrestre che preferisce vivere sott’acqua.
Per carità, dicono gli zoologi, stiamo
attenti a non misurare questi esserini con il nostro metro. Dire che il ragno
“preferisce” fare una cosa piuttosto che un’altra significa attribuirgli
comportamenti simili ai nostri. Significa “antropomorfizzare”. Giusto! Meglio
mettersi dalla parte opposta, allora, e insettomorfizzare, ossia, misurare gli
uomini con il metro della piccola gente: della termite costruttrice di
condizionatori d’aria, della falena capace di falsificare codici ultrasonici, e
magari del formicaleone, al quale Giulio Cesare si ispirò per la costruzione di
certe trappole a scivolo, durante l’assedio di Alessia.
L’intelligenza passa attraverso tutti
gli esseri viventi, come il tema portante di una sinfonia.
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8, 9, 10 novembre 2016
Sonia Canterini
Dipartimento
di Psicologia “Daniel Bovet” - Sezione
Neuroscienze -
Università
La Sapienza di Roma
Dall’assolo alla
sinfonia: evoluzione del cervello
Qualsiasi animale per sopravvivere, riprodursi, difendersi e procurarsi il cibo, necessita di un sistema nervoso in grado di coordinare rapidamente le diverse funzioni biologiche. Come noto, in natura esistono molti sistemi nervosi differenti che si basano su un unico tipo di cellula, il neurone. Nel corso dell'evoluzione questo tipo cellulare ha assunto varie forme pur mantenendo fortemente preservati le sue proprietà elettriche e la natura dei segnali chimici. Quali sono le origini del sistema nervoso? Qual è il vantaggio evolutivo per i primi organismi che lo hanno sviluppato? Paradossalmente, l’evoluzione del cervello è iniziata con i batteri. Questi primi organismi unicellulari, pur non possedendo neuroni, hanno sviluppato “canali ionici”, che gli hanno permesso di comunicare tra loro attraverso meccanismi di segnalazione elettrica, simili a quelli presenti nei neuroni del cervello umano. I geni che forniscono le istruzioni per la costruzione dei canali ionici, infatti, sono presenti sia nei batteri sia negli esseri umani, suggerendo che la capacità di percepire e interagire si è evoluta da organismi molto semplici, per poi essere consolidata a livello dei neuroni specializzati che oggi ritroviamo negli animali e nell’uomo. Con l’avvento di organismi multicellulari quali spugne, vermi di mare e meduse, si sono evoluti i primi neuroni, completi di canali ionici e sinapsi e liberamente organizzati in reti nervose. Queste semplici reti hanno permesso agli animali di procurarsi il cibo molto più facilmente, mediante lo sviluppo di comportamenti predatori come la caccia. Insetti e affini hanno sviluppato una forma molto rudimentale di cervello,in grado di integrare i segnali ambientali chimici, acustici, visivi e tattili, e comportamenti complessi, per quanto riguarda la ricerca del cibo, la scelta del compagno e l’organizzazione sociale. Con i vertebrati e poi i mammiferi, all’aumentare delle capacità di reagire alle informazioni che provengono dall’ambiente, il cervello è diventato straordinariamente complesso, con una“sinfonia” di neuroni associativi organizzati in schemi intricati. Infine, con lo sviluppo avanzato del cervello umano, si è aperta una nuova forma di evoluzione: l’adattamento mediante la manipolazione tecnica dell’ambiente. Negli ultimi anni, l’approccio evoluzionistico e comparativo della neuroetologia ha acquisito una sempre maggiore importanza poiché permette di comprendere in che misura il pensiero e le funzioni cognitive sono conservate lungo la scala filogenetica e qual è la relazione tra forma, struttura e funzione nel cervello.
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8, 9, 10 novembre 2016
Stefano Gensini
Dipartimento di
Filosofia - Università “La Sapienza” di Roma
Il dibattito sulla
razionalità animale
tra filosofia della mente e
ricerca empirica
Negli
ultimi lustri hanno avuto ampia eco, in area filosofica, e soprattutto
nell'ambito della filosofia analitica, le tesi di Donald Davidson ('Thought and
Talk, 1975', 'Rational Animals', 1982) intorno alla impossibilità di
ammettere una razionalità animale. La sua idea è che per avere
razionalità è necessario disporre di atteggiamenti proposizionali (quali
credenze, desideri, intenzioni e simili) ma che averne presuppone il possesso del
linguaggio, inteso quest'ultimo come linguaggio verbale. Di conseguenza gli
animali diversi dall'essere umano, non possedendo il linguaggio verbale, non
possono essere considerati razionali; e lo stesso vale per il bambino piccolo,
il quale, tuttavia, diventerà razionale crescendo. Questa tesi, dichiaratamente
antropocentrica e, a suo modo, neocartesiana, verrà discussa nella mia
comunicazione sulla scorta di due argomenti: (1) ampia parte della scienza
cognitiva di oggi ha rilevato comportamenti 'intelligenti' nei primati
superiori non umani e in altre specie animali, proprio con riferimento agli
atteggiamenti proposizionali che Davidson vorrebbe riservare all'uomo; (2) la
ricerca transdisciplinare sulle origini del linguaggio verbale
(paleoantropologia, biologia e neurologia, archeologia primitiva ecc.) ha
messo in luce che esso si è verosimilmente formato (e tuttora opera) in un
contesto multimodale - semiotico - che mette in crisi sul piano sia
filogenetico che ontogenetico l'equivalenza pensiero/linguaggio. Entrambi
gli argomenti vanno - a nostro avviso - nella direzione di avvalorare una
nozione 'allargata' (e per così dire 'distribuita') sia di 'linguaggio', sia di
'razionalità' che falsifica l'impostazione davidsoniana della questione.
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