Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

sabato 25 dicembre 2021

 

NOVAX e FIDUCIA  (già pubblicato sul quotidiano L'Inchiesta di Cassino)

MI è capitato l’altra sera di ascoltare in un dibattito televisivo, ovviamente sul covid, la meraviglia di alcuni partecipanti (sempre gli stessi) relativa alla notizia che ben 280 medici abbiano rifiutato di vaccinarsi. “Ma come è possibile?” si chiedeva uno “Eppure” continuava” hanno tutti gli strumenti per  capire la gravità della situazione e la necessità del vaccino”. L’ingenuo personaggio televisivo,   sicuramente non sprovveduto, non sa che, a dispetto  di quello che pensiamo, noi siamo esseri irrazionali agiti da bisogni emotivi, pregiudizi, esperienze passate, motivazioni profonde inconsce, credenze, bias mentali (cioè attitudini e schemi mentali che ci caratterizzano da millenni)  e questo anche quando siamo convinti di essere razionali, di saper fronteggiare gli eventi e possedere noi stessi. Sono questi elementi che ci impediscono di avere una conoscenza non dico vera (ci imbarcheremmo in una lunga e difficile questione filosofica della verità della conoscenza) ma ragionevole dei fatti. Il punto è che  pregiudizi, esperienze passate, bisogni emotivi, sistemi di credenze che si sono strutturati nel tempo, costituiscono la nostra identità, il nostro IO a cui siamo abbarbicati.  E’ per questo che è così difficile cambiare opinione, essere flessibili ed accettare argomentazioni supportate dalla ricerca scientifica contrarie alle nostre. Cambiare opinione è come perdere un pezzo di noi stessi. Ed è per lo stesso motivo che andiamo a ricercare fonti di informazione  pseudoscientifiche che confermino quello che pensiamo. E’ evidente che se gli scienziati, nelle loro ricerche, procedessero allo stesso modo sarebbe una grave iattura per l’intera umanità in quanto non ci sarebbe mai alcun progresso. Lo scienziato, al contrario, ricerca ipotesi che contraddicono le sue per poter andare avanti nella ricerca, impostazione, questa, del metodo scientifico che risale addirittura a Ruggero Bacone e ripresa, in epoca contemporanea, da Karl Popper.  

 Il nostro funzionamento cerebrale e mentale dovrebbe essere noto per poter prendere le misure, agire di conseguenza e vivere meglio (è per questo che mi ostino nella diffusione di NEuroetica e Filosofia delle Neuroscienze) ma i cittadini italiani sono quelli che hanno il più basso livello di conoscenze scientifiche. Intanto, sarebbe utile porre la domanda posta dal personaggio televisivo  ad un neuroscienziato, ad un esperto di scienze cognitive o ad un filosofo della mente, che mai vengono invitati a partecipare a dibattiti e trasmissioni televisive, sempre molto affollate dai soliti immunologi, virologi. Fatta questa premessa vale la pena di soffermarci un attimo sui novax. Chi sono realmente? Un esercito variegato, con caratteristiche di personalità diverse e situazioni di vita diverse, ma animati da una comune avversione ai vaccini. Ci sono gli adolescenti attempati, ribelli inguaribili, quelli che vanno contro ogni cosa  venga proposta dal governo e dal “potere”: sono contro e basta. Tra questi si confondono gli arrabbiati cronici quelli che hanno collezionato frustrazioni, delusioni, esperienze di vita negative,  per i quali ogni protesta di gruppo diventa  occasione esplosiva di rabbia e violenza. C’è poi una parte cospicua che è affetta da pregiudizi, credenze, dai su citati bias mentali: sono quelli che si sono fatta una  propria idea o teoria sui vaccini più o meno strutturata antitetica, a quelle ufficiali. Infine una terza categoria di novax è costituita dai sospettosi, dai cosiddetti complottisti, da quelli che temono sempre che qualcosa venga tramato alle loro spalle. Sono affetti da una modalità di pensiero molto vicina al pensiero paranoide.  Ma anche i dubbiosi  cronici (quelli con caratteristiche ossessive di personalità) non scherzano: sono i più numerosi, sono quelli che non si decidono mai anche in altre situazioni di vita, rimandano continuamente, vanno alla ricerca di sicurezze e certezze perché temono di essere danneggiati dai vaccini. E’ evidente che nessuna delle prime tre   categorie possa essere facilmente convinta e possa cambiare opinione in merito ai vaccini. Aggiungerei un quarta categoria: quelli che non si fidano per natura: con  questi, come con i dubbiosi cronici, una informazione attenta e precisa può ottenere qualcosa ma è un’operazione non sempre coronata dal successo. Perché, parafrasando Don Abbondio a proposito del coraggio, la fiducia non te la puoi dare. Fondamentalmente noi ci fidiamo perché abbiamo bisogno di fidarci. Senza fiducia non potremmo vivere . CI fidiamo ad incominciare da quando ci svegliamo: ci fidiamo che quando scendiamo dal letto e mettiamo i piedi in terra saremo sorretti dal pavimento, ci fidiamo del treno che ci porterà a destinazione, ci fidiamo della maestra a cui la mattina affidiamo i nostri frugoli, … e potrei continuare con molti altri esempi di atti di fiducia quotidiana. Sappiamo d’altro canto che in nessun contesto di vita esiste un rischio zero o, detto in altri termini, sappiamo che esiste un’imprevedibilità della vita .  Siamo disposti ad accettare questa profonda verità  per molti contesti della nostra vita  ma non ci fidiamo, assoluto paradosso, dei vaccini, i quali sono stati studiati senza saltare alcun passaggio e secondo gli standard più elevati di valutazione. La fiducia è un’attitudine che va coltivata e sviluppata: primariamente all’interno della famiglia fin da quando si è piccoli. Se ci si sente accolti e amati, ci affidiamo all’adulto che si prende cura di noi. Maturiamo così fiducia e sicurezza che ci portano ad avere fiducia  ed apertura alla vita. Fiducia ed apertura si accompagnano  ad un’altra attitudine: alla cooperazione. Tutti i novax sono autocentrati. Non pensano che vaccinarsi è un atto civico, un atto di responsabilità dovuto alla comunità  e al mondo di cui facciamo parte. Non siamo esseri isolati, siamo tutti interconnessi gli uni con gli altri, in una sorta di un unico grande organismo. Maturare questa consapevolezza è un buon modo per avviarsi a festeggiare il Natale.

Maria Felice Pacitto

venerdì 3 dicembre 2021

GRUPPO D'INCONTRO: "Ansia e paura bloccano la nostra vita: come superarle e riprendere fiducia"

 

Centro di “ Psicologia Umanistico-Transpersonale ed         Analisi Fenomenologico-Esistenziale”

               PSICOTERAPIA, STUDIO,RICERCA 

                 GRUPPO D’INCONTRO

                                                                            


          Gestalt-Mindfulness, Neuroscienze

“Ansia e paura bloccano la nostra vita: come     superarle e riprendere fiducia”

             Sabato 18 Dicembre  Ore 15-19

Nel workshop impariamo a guardare le nostre ansie e paure, a valutare le nostre fragilità e i nostri punti di forza, a sciogliere i nodi che ci procurano sofferenza

                                  Workshop

Il workshop è utile per chiunque voglia fare cambiamenti nella propria vita, aumentare il proprio benessere e la qualità della vita, per quanti sono professionalmente impegnati in ambito sanitario ed educativo.

Il workshop è aperto a non più di 7 persone. Per accedere è necessario rispettare le misure sanitarie previste (green pass e mascherina)

AI PARTECIPANTI VERRA’ RILASCIATO UN ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE

*M.Felice Pacitto, psicologae psicoterapeuta, filosofa della mente, istruttrice Mindfulness, è stata allieva e collaboratrice di Rollo May e Ronald Laing. E’ stata tra i primi a sviluppare, in Italia, il metodo dei Gruppi d’Incontro, di cui ha dato una formulazione teorica e metodologica nel testo “Dal Sentire all’Essere”, Ed. Magi

Per informazioni e per la prenotazione (obbligatoria) telefonare al “Centro di Psicologia Umanistica” via Molise,4-Cassino tel/fax:0776/25993(ore 16-19, mercoledì); cell3382481768; www:humanistic-psyc.it; mariafelicepacitto/blogspot;scuola di counsellingpsicologico.blogspot.com.

 

domenica 31 ottobre 2021

Fame di abbracci e conseguenze della loro mancanza per il benessere psicofisico: dopo poche settimane di mancanza di relazione aumentano sytress ed ansia

 


Abbiamo tutti fame di abbracci e relazione. Tutti ne abbiamo patito la mancanza durante il lockdown e durante questo periodo di restrizioni. Tutti abbiamo sofferto per lo stare da soli per il semplice fatto che noi siamo esseri relazionali. Una recente sperimentazione condotta con le tecniche di neuroimaging ha rilevato come il cervello di chi è solo soffre  come quando si è costretti a digiunare. L’esperimento era così congegnato: i soggetti sperimentali venivano isolati per dieci ore da qualsiasi contatto umano e poi sottoposti a risonanza magnetico funzionale (fMRI). In un secondo momento venivano fatti digiunare per 10 ore e venivano di nuovo analizzati con la fMRI. L’isolamento protratto attivava la substantia nigra, un’area cerebrale che si attiva con il desiderio di cibo. Cosa significa? Semplicemente che  abbiamo bisogno di relazioni umane come abbiamo bisogno di cibo. Gli effetti dell’isolamento sono più marcati in coloro che generalmente hanno una vita ricca di relazioni. Le regole del distanziamento hanno messo in sofferenza soprattutto coloro che sono stati privati della presenza di familiari: i single, i nonni, i nipoti. Il contatto con gli altri è il risultato dell’evoluzione perché ci fa sentire sicuri e la sicurezza è fonte di benessere; il contatto con gli altri ci fa collaborare e cooperare. Senza cooperazione non potrebbe esservi sopravvivenza. Le relazioni umane producono ossitocina, l’ormone dell’attaccamento che è un ormone tranquillizzante, calmante. Non è un caso che le mamme hanno un alto tasso di produzione di ossitocina soprattutto negli ultimi due mesi di gravidanza e nei primi tre mesi dopo la nascita. Molti studi hanno rivelato che la mancanza di abbracci e relazione è associato ad aumento dell’ansia, disturbi del sonno, affaticamento, depressione. Già dopo poche settimane di mancanza  di relazioni aumentano gli ormoni dello stress e si riduce la produzione di ossitocina. Questo spiega perché la pandemia con l'isolamento impostoci (giustamente) abbia sensibilmente fatto aumentare stress e disturbi d'ansia.


domenica 17 ottobre 2021

Il tabù della morte perinatale e la solitudine delle madri

 

Il tabù della morte perinatale e la solitudine delle madri

15 ottobre è la "Giornata mondiale della consapevolezza sulla perdita perinatale e infantile".

(Articolo già pubblicato sul quotidiano l'INchiesta)


Si parla spesso di questioni femminili: di violenza contro le donne, di mancato riconoscimento della parità con i maschi,  di discriminazione nel mondo del lavoro, di disoccupazione che nella situazione pandemica ha colpito maggiormente le donne: un vasto repertorio di temi. Ma poco si parla del femminile materno, della vita interiore delle madri, del desiderio di diventare madre e delle difficoltà, talora, a diventarlo, difficoltà  rese ancora più pesanti e difficili dalla pandemia.  Il focus sulle rivendicazioni femminili  ha portato a distogliere lo sguardo dal femminile materno e dai suoi drammi. Una volta diventare madre era il destino automatico delle donne. Oggi le donne possono scegliere, ma il silenzio è calato sulla maternità, sulla voglia  di maternità e sui suoi drammi. Poco si parla della vita interiore delle donne e della disperata ricerca di maternità che porta ad inoltrarsi nei processi difficili e complessi della fecondazione assistita, cui sempre più spesso le donne ricorrono, oggi, dato che esigenze lavorative portano a procrastinare la maternità. Non si è parlato di quelle donne coraggiose (perché a fare figli ci vuole coraggio!) che nonostante il rischio della pandemia si sono avventurate in gravidanze vissute, per il rischio di contagio, spesso in estrema solitudine: niente amicizie niente svaghi e passeggiate , niente presenza accogliente e rassicurante delle madri, donne mature e più a rischio. Le donne incinte è alle madri che si rivolgono per un meccanismo naturale di condivisione: di madre in figlia si trasmette il mistero della vita. Un masticare insieme le ansie e i timori, ancora più intensi, quest’anno, per il rischio di ammalarsi. Perché, per quanto fenomeno naturale, il parto continua ad essere a rischio di morte per la madre e per il bambino. Il che sembra assurdo in tempi di ingegneria genetica, di taglia -incolla di frammenti di geni; in tempi in cui si pensa ad una procreazione uniparentale e di utero artificiale, ipotesi, queste, che si accompagnano, ovviamente, ad implicazioni etiche di enorme portata. Ciò che accade in sala parto è imprevedibile: rischiano le madri e i nascituri.   Eppure non se ne parla. Madri che perdono i loro bimbi  a fine gravidanza o durante il parto, spesso per cause ignote. Madri che arrivano in ospedale sicure di veder nascere un figlio e scoprono che non c’è battito. Morte perinatale  viene definita. Vicende tragiche e angoscianti con elementi di sofferenza estrema come quello di dover partorire un bimbo che si sa già morto. Piccolo corpo inanimato e inerte che viene cullato dalla madre, dal padre, dai nonni: gli ospedali più sensibili lo permettono. Anche in questo periodo di pandemia la morte perinatale ha colpito, aggiungendo dolore e angoscia a quell’atmosfera depressiva e luttuosa instaurata dal covid. Esperienze terribili e devastanti  che gravano pesantemente sulla vita delle madri e della famiglia allargata. Perché se la nascita di un bimbo è un fatto collettivo, la morte di un bimbo è una tragedia collettiva. Una sofferenza, quelle delle madri, delle madri cui è difficile portare conforto. Sofferenze che col tempo si affievoliscono ma rimangono per sempre, con conseguenze psicologiche devastanti. Le madri si sentono incapaci di dare la vita, in colpa per non aver sentito i segnali di sofferenza del bambino, impotenti.  La morte perinatale non è un fenomeno raro: ne sono colpiti 2mila genitori all'anno solo in Italia, circa una donna in gravidanza su 6. Un mondo sommerso, quello della morte e del lutto perinatali, di cui volutamente non si parla e da cui gli altri (amici, conoscenti) si ritraggono sgomenti. Tragedie che innescano reazioni a catena: sulla salute psichica delle madri, sulla vita di coppia, nelle famiglie allargate. Spesso i maschi (i padri) si allontanano perché non reggono il dolore delle compagne. Un mondo sommerso di sofferenza e problematiche su cui vige un assoluto tabù.  Le stesse regole e comportamenti convenzionali del lutto si dissolvono. Gli amici, i conoscenti dinanzi al lutto perinatale si dileguano sgomenti. Perché? Perché rimangono attoniti,non sanno cosa dire, cosa fare. Perché si può accettare in qualche modo la morte di un anziano, di un adulto, perché soggiace ad una regola della vita. Ma non si può accettare la morte di un bimbo,  di un nascituro, perché è la negazione della vita stessa. Bimbi che non hanno avuto nulla: solo il caldo abbraccio dell’utero materno.  Il 15 ottobre è la giornata dedicata ai bambini mai nati. In Italia questa iniziativa è stata fortemente voluta dall’associazione “Ciao Lapo” che si occjupa della diffusione delle con oscenze su questo tema. Oltre 60 città aderiscono al progetto mondiale "un'onda di luce nel mondo", per ricordare tutti i bambini mai nati o morti prematuramente. Alle ore 19, in tutto il mondo, i genitori hanno acceso una candela e l’hanno vista  ardere per un'ora, per ricordare questi piccoli angeli volati in cielo troppo presto.

 


 

 

 

 

 

 

VI CONVEGNO CASSINATE DI NEUROETICA E FILOSOFIA DELLE NEUROSCIENZE: GLI ABSTRACTS DEGLI INTERVENTI

 

             VI CONVEGNO CASSINATE

                 (Scuola di Alta Formazione in Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze)

                                                 La vita delle menti

                                                     1-2  Ottobre    2021

Abstracts

 

                                               Le basi evolutive dell’altruismo

Ines Adornetti

 

Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo, Università Rome Tre

 

Gli esseri umani sono per natura cooperativi e altruisti verso i propri simili o tendono, al contrario, ad essere naturalmente egoisti e individualisti? Molti pensatori hanno affrontato questi interrogativi provando a fornire delle risposte. Le più famose tra queste sono senza dubbio quelle proposte dai filosofi Hobbes e Rousseau. Secondo il primo, gli esseri umani sono naturalmente egoisti e sono le istituzioni sociali che successivamente insegnano loro a essere migliori. Diametralmente opposta è l’opinione di Rousseau: a suo avviso allo stato di natura gli esseri umani sono solidali e vengono poi corrotti dalla società. Che ne è di questo dibattito – naturalmente altruisti vs naturalmente egoisti – nella riflessione contemporanea? Oggi non solo la filosofia, ma anche le scienze empiriche si occupano di indagare la questione attraverso nuovi strumenti e metodologie. In particolare, nell’ambito delle scienze cognitive evoluzionistiche l’ipotesi del cervello sociale ha dato grande impulso al dibattito.  Non vi è, però, al momento una soluzione definitiva alla disputa tra le due prospettive in campo. L’ipotesi del cervello sociale, in effetti, è stata utilizzata sia per esaltare gli aspetti cooperativi-altruistici dell’essere umano, sia per sottolinearne il carattere competitivo-egoistico. Quello che emerge con chiarezza è che non è possibile aderire a una delle due posizioni in modo semplicistico e unilaterale - probabilmente entrambe contengono elementi di verità – e che sono necessarie prospettive più articolate. A titolo di esempio, in questa relazione verrà presentato il modello dello psicologo evoluzionista Michael Tomasello che mostra quanto l’adesione alla prospettiva della cooperazione richieda il riferimento a un ricco apparo tanto empirico quanto concettuale.

 

 

 

 

Gli effetti della riduzione del contatto fisico positivo causata dalla pandemia di COVID-19 sulla salute mentale

 

Francesco Bruno

                                                         

 

  Centro Regionale di Neurogenetica (CRN) – ASP di Catanzaro

 

La Pandemia della Malattia da Nuovo Coronavirus 2019 (COVID-19) provocata dal virus SARS-CoV-2, è iniziata a dicembre 2019 nella città di Wuhan e successivamente si è diffusa in più di 210 Paesi del mondo, rappresentando così un’emergenza per la sanità pubblica internazionale. Al fine di contenere la diffusione dei contagi, nella maggior parte dei Paesi, sono state adottate diverse misure, tra le quali rientra il distanziamento fisico. Nonostante rappresenti una misura indispensabile per contenere la diffusione del COVID-19, il distanziamento fisico limita la capacità delle persone di mantenere connessioni affettive e sociali e, di conseguenza, potrebbe avere conseguenze drammatiche sulla salute mentale. In effetti, diversi studi hanno dimostrato che la Pandemia di COVID-19 è associata ad un incremento significativo di ansia, depressione, stress e sintomi da stress post-traumatico (PTSS). Durante la relazione verranno presentati i risultati di una ricerca svolta su oltre 3000 soggetti volta ad investigare gli effetti della riduzione del contatto fisico positivo causata dalla pandemia di COVID-19 sulla salute mentale degli italiani.

 

 

                Gli abbracci ai tempi delle Neuroscienze

                                          Sonia Canterini

         Facoltà di Psicologia e Medicina,  Università di Roma-La Sapienza

                    

 

 “Quanti significati sono celati dietro un abbraccio?
Che cos’è un abbraccio se non comunicare, condividere
e infondere qualcosa di sé ad un’altra persona?
Un abbraccio è esprimere la propria esistenza

a chi ci sta accanto, qualsiasi cosa accada,
nella gioia e nel dolore.

Pablo Neruda

Come ben espresso da Pablo Neruda, l’atto di abbracciare non serve solo come semplice gesto di saluto ma è soprattutto utilizzato per esprimere, in maniera diretta e istintiva, emozioni e sostegno sociale. Gli abbracci, che oggigiorno diamo e riceviamo sempre meno, scatenano in noi una serie di benefici sia fisici che emotivi, favorendo l’attivazione di aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione delle informazioni di tipo sociale ed emotivo, quali: la corteccia insulare, l’amigdala, l’ippocampo, il talamo e l’ipotalamo, la corteccia cingolata e la corteccia orbitofrontale. Gli abbracci fanno bene perché influenzano positivamente il nostro sistema neuroendocrino, stimolando il rilascio di ossitocina ed endorfine. Il neurormone ossitocina, conosciuto anche come l’ormone dell’amore, insieme alle endorfine, è in grado di ridurre i conflitti, aumentare l’attaccamento e il legame fra le persone, , migliorare il riconoscimento delle emozioni e la memoria sociale, mitigare lo stress e influenzare positivamente il sistema cardiovascolare, il sistema immunitario, rendendoci più sinceri ed empatici.

In ambito clinico alcune patologie, come l’aptofobia e i disturbi dello spettro autistico, inficiano la possibilità di stabilire un contatto fisico con le altre persone.  Studi recenti affermano che nei soggetti autistici, la riscontrata alterata sensibilità agli stimoli tattili è dipendente da una ridotta connettività della corteccia somatosensoriale e da una forte attivazione dell’amigdala, una specifica regione del cervello adibita all’elaborazione delle risposte di paura. Nuove tecnologie, come l’Hug Over a Distance, l’Huggy Pajama e l’Hugvie, aprono interessanti scenari in grado di trasmettere la sensazione di un abbraccio anche a distanza di migliaia di chilometri, offrendoci la possibilità di esplorare nuove ipotesi di trattamento per alcune patologie quali il disturbo dello spettro autistico.

           

           Evoluzione animale e umana. Utilità e limiti del principio di continuità

                                                             Marco Celentano

                       Dipartimento di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Cassino

Tra il 1871 e il 1872, Darwin, pubblicando  L’origine dell’uomo e L’espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo,  traeva le conseguenze delle premesse poste nel 1859 con L’origine delle specie e al contempo rinnovava la sua teoria della selezione naturale tenendo maggiormente in conto gli effetti della selezione sociale nell’evoluzione animale e umana. Queste due opere contenevano il più coerente superamento di ogni separazione metafisica tra l’uomo e gli altri animali e il più rigoroso tentativo di spiegare la genesi delle capacità cognitive umane con un approccio genealogico, storico e materialistico fino ad allora proposti. Tale superamento rientra tra i presupposti dell’etologia contemporanea, e ne rappresenta un’irrinunciabile conquista teorica e critica. Il “principio di continuità” tra l’uomo e i suoi antenati animali e di prossimità tra l’uomo e gli altri animali “superiori”,  che ne deriva, viene però interpretato, secondo il relatore, in modo sviante e inadeguato, nonché contrario al pensiero effettivo di Darwin, quando se ne fa discendere l’ipotesi che i comportamenti sociali, i precetti etici, gli assetti istituzionali, le forme di conoscenza  e le preferenze umane siano il frutto di una selezione naturale del “più adatto”. La selezione sociale umana, infatti, come già suggerì Konrad Lorenz, da millenni, e ancor più oggi nell’epoca dei grandi condizionamenti mediatici, “premia” in molti casi  tendenze comportamentali come “l’arrendevolezza all’indottrinamento”, la sottomissione ai poteri dominanti, la veicolazione acritica dei  modelli comportamentali da questi promossi, che risultano in realtà dannosi, non vantaggiosi, per chi ne è portatore. I patterns comportamentali dominanti nell’umanità attuale vanno paragonati, sotto questo profilo, più a quelli degli animali domesticati che a quelli degli animali selvatici o dei nostri parenti e predecessori ominidi.

 

          Mente e linguaggio: il confine tra esseri umani e animali non umani

Francesco Ferretti

 

Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo, Università Rome Tre

 

Secondo l’opinione largamente prevalente nella riflessione contemporanea, il linguaggio è la caratteristica essenziale della natura umana, ciò che rende gli umani unici e imparagonabili con il resto del mondo animale. Alla base di una concezione di questo tipo è la tesi, cara alla tradizione cartesiana, della «differenza qualitativa» tra gli umani e gli altri esseri viventi. Secondo tale tradizione, esplicitamente ripresa nei modelli standard della scienza cognitiva, il linguaggio umano risponde a principi «del tutto diversi» da quelli in gioco nella comunicazione animale al punto da rendere vana qualsiasi forma di confronto. Contro la prospettiva cartesiana, in questa relazione si fa appello a una diversa tradizione di pensiero: assumendo che le differenze tra gli umani e gli altri animali debbano essere interpretate in termini di grado e mai di qualità, l’obiettivo di questa relazione è proporre un modello del linguaggio in accordo con i principi dell’evoluzione darwiniana e alla base di una prospettiva naturalisticamente fondata della natura umana. Un modo per considerare il linguaggio umano in continuità con la comunicazione animale è offerto dalla discussione delle ricerche su alcune scimmie culturalizzate – scimpanzé e bonobo – allevate in ambienti umani e sottoposte a un tipo di comunicazione «artificiale» interspecifica.  Il risultato principale di queste ricerche, in effetti, è che le grandi scimmie sanno fare cose col linguaggio che le avvicinano molto a ciò che con il linguaggio sanno fare gli esseri umani.

 

              Il luogo dell’etica nel Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein

 

                                                           Fausto Pellecchia

                                             Università degli Studi di Cassino

                                

L’oggetto di queste mie impertinenti o intempestive chiose di lettura è lo statuto dei giudizi di valore -e il significato della loro de-localizzazione sui bordi dello spazio linguistico- nella filosofia di Wittgenstein dal Tractatus logico-philosophicus (1922) alla Conferenza sull’etica (1929). Il punto di partenza, secondo il suggerimento di Ingeborg Bachmann [Il dicibile e l’indicibile, Milano, Adelphi, 1998, pp.45-79] è l’interpretazione corretta del celeberrimo enunciato 7, che conclude il Tractatus, tanto spesso evocato quanto altresì frequentemente travisato nella letteratura secondaria. 

Coerentemente con quanto asserito nel Tractatus, nella Conferenza il tentativo di esprimere esperienze di “valore assoluto” (il Bene, il Bello, il Mistico) è condannato al nonsenso, sebbene questo nonsenso documenti la tendenza, antropologicamente costitutiva e non-sradicabile, ad “avventarsi contro i limiti del linguaggio”. Questa insensatezza essenziale ed inemendabile contraddistingue l’uso etico-religioso ed estetico del linguaggio rispetto all’accidentale insensatezza sia delle pseudo-proposizioni filosofiche, sia delle “chiacchiere” di una pretesa scienza del Valore (etico ed estetico) che inavvertitamente travalicano i limiti dello spazio logico.

 In generale, linguaggio insensato è propriamente uno pseudolinguaggio che, in quanto costituito da segni apparenti, estranei al simbolismo che ne rende possibile l’applicazione al mondo, si sottrare alla dicotomia vero/falso su cui si fonda la teoria della raffigurazione. Al contrario, l’uso etico della parola si rivela come intenzionalmente – o essenzialmente – insensato, perché solo così può mettere in luce la propria inapplicabilità al mondo, per trasmettere implicitamente – in un tacito autoriferimento-  il sentimento del parlante in relazione ad una sua specifica esperienza.

 In questa tendenza autoreferenziale che si volge esclusivamente verso il sito atopico del parlante  in quanto esso è  “non l’uomo, non il corpo umano, o l'anima umana di cui si occupa la psicologia, ma il soggetto metafisico, che non è una parte, ma il limite del mondo” (TLP, 5.641), consiste la peculiare insensatezza del linguaggio etico-religioso (ed estetico). Perciò, il carattere essenzialmente “espressivo” del giudizio di valore, distanziandosi da ogni inclinazione soggettiva per l’emotivismo o il non-cognitivismo nelle questioni morali, si propone piuttosto come un’esibizione, via negationis, dell’elemento etico immanente alla stessa riflessione critica sul linguaggio e alla “retta visione del mondo”. Di qui l’affinità, nell’uso degli attributi etici ed estetici, tra nonsenso e gesto secondo un’idea non-comunicativa ed espressiva del linguaggio, che Wittgenstein svilupperà nell’arco degli anni ’30 del suo itinerario. Infatti, l’insensatezza come esperienza del limite del linguaggio, su cui si concentrano gli enunciati finali del Tractatus, mette capo, nella Conferenza del 1929, sulla ineliminabile piega metaforica, impressa nel conio delle “metafore assolute”, irriducibili al registro empirico-descrittivo, che costituiscono il sigillo del linguaggio etico-religioso.     

 

                Nel cervello di un'auto: vetture a guida autonoma e dilemmi morali

                                                                Pietro Perconti

                                          Dipartimento di scienze cognitive, Università di Messina

 

A fronte di innegabili vantaggi sociali, soprattutto in termini di efficienza e di sicurezza, i sistemi di guida autonoma sollevano numerosi problemi di natura tecnologica e di organizzazione sociale. Alcuni tra i problemi principali, tuttavia, sollevati da tali sistemi automatici riguardano la sfera etica. Il punto è che i veicoli dotati di guida autonoma sembrano avere una loro psicologia morale, sia che i progettisti ce l’abbiano inserita apposta tra gli algoritmi di controllo sia che abbiano tralasciato di affrontare il problema. I filosofi hanno un ruolo sociale significativo da svolgere in questa congiuntura. Si tratta, innanzi tutto, di esplicitare la psicologia morale celata nei dispositivi. Ma si tratta ugualmente di contribuire a dotare esplicitamente tali dispositivi dell’etica che ci sembra desiderabile. 

Per affrontare tali questioni nel corso del mio intervento proporrò anche l’esito di un lavoro sperimentale che ho condotto con alcuni colleghi e che è basato sull’uso della realtà virtuale e della costruzione di diversi scenari in cui saggiare le nostre intuizioni morali su come dovrebbe comportarsi una macchina in contesti morali sensibili. In particolare, abbiamo creato una “versione automobilistica” del celebre dilemma del trolley - un noto esperimento mentale usato nell’analisi etica più recente - per confrontare le reazioni intuitive dei guidatori di fronte a un dilemma morale con i loro stessi giudizi morali ponderati. L’esito dell’esperimento sembra di una qualche utilità per i progettisti dei sistemi di guida autonoma che regoleranno le automobili del prossimo futuro.

 

 

                              La protocooperazione tra polipi di Aurelia

 Jessica Vettese

 Università Politecnica delle Marche

 

Rimasta a lungo in secondo piano nello studio dei processi ecologici, la cooperazione è, negli ultimi decenni, al centro dell’attenzione di numerosi scienziati e filosofi di tutto il mondo.

Anche se le interazioni negative – quali la predazione, il parassitismo, la competizione – sono fenomeni importanti all’interno delle comunità e contribuiscono in maniera sostanziale al modellamento dell’ecosistema, le interazioni positive, tra cui la cooperazione, sono alla base di tutti i processi biologici, dalla comunicazione tra le cellule alle dinamiche che regolano le società umane.

Tra le varie forme di cooperazione, la protocooperazione è definita come “un’interazione tra organismi in cui entrambi traggono benefici, ma nessuno dei due dipende dalla relazione.” (Allaby, 2010). In altre parole, ogni organismo che partecipa all’azione conduce una vita indipendente, ma occasionalmente può cooperare con altri organismi per avere un beneficio maggiore.

Uno degli ultimi casi di protocooperazione è stato osservato nel 2018 nel Mediterraneo, a opera del corallo Astroides calycularis, i cui polipi cooperano per mangiare meduse dieci volte più grandi di loro. Per studiare questo fenomeno in altri organismi, polipi del genere Aurelia sono stati nutriti in laboratorio con prede di dimensioni adeguate per non essere predate da un singolo individuo, ma che si sono rivelate ottimali per la caccia in gruppo, consentendo lo sviluppo di interessanti ipotesi sui comportamenti protocooperativi.

 

 

domenica 19 settembre 2021

Almeno una cosa è certa: la scuola si farà in presenza

 

(Articolo già pubblicato sul quotidiano L'Inchiesta)

Tra la molte  incertezze delle ultime settimane, la scuola decolla. Certo rimangono ancora dubbi in merito alla soluzione del problema trasporti, alle vaccinazioni dei minori al di sotto dei dodici anni e alla presenza dei docenti che all’inizio dell’anno mancano sempre: Ma una cosa è certa: la scuola si farà in presenza. Troppi i costi patiti dalla popolazione studentesca  negli ultimi due anni. Che la dad avrebbe funzionato male era evidente fin dall’inizio della pandemia. La scuola non era pronta  né era dotata di flessibilità per apportare modifiche alla didattica in un nuovo paradigma esistenziale. Molti allievi e docenti hanno avuto difficoltà ad utilizzare la strumentazione tecnica  e le stesse famiglie, che spesso hanno dovuto affiancare i figli. La confusione che ha caratterizzato la prima fase della pandemia, la difficoltà ad adattarsi ad una nuova tipologia di insegnamento e poi, successivamente, l’alternarsi di scuola in dad ed in presenza hanno determinato una significativa perdita di tempo e dunque un minor tempo da dedicare agli studi da parte dei ragazzi. E anche  stanchezza e stress, ingenerati  dal clima depressivo causato dalla pandemia, hanno fatto la loro parte. Molto tempo si è perso, soprattutto la scorsa estate,  a discutere di didattica. Ma quale didattica? Si è parlato piuttosto di logistica, di banchi con le ruote, di distanziamento, di aule. Questo non ha nulla a che v edere con la didattica che si occupa, invece, dei metodi e dei contenuti di insegnamento. E’ mai possibile che a nessuno sia venuta in mente almeno un’”ideuccia” nuova su come gestire e rendere comunque produttiva un’attività didattica frammentaria e a singhiozzo con pause, lavoro in dad e poi in presenza. Stiamo parlando ovviamente della scuola econdaria la più penalizzata. A nessuno è venuto in mente che in una situazione in cui il tempo da dedicare allo studio era ridotto, in cui molta era la confusione, sarebbe stato opportuno fare tagli drastici ai programmi consueti e lavorare per aree tematiche comuni a più discipline? Nessuno ha pensato che in questa situazione così complessa e difficile,  si sarebbe dovuto potenziare l’aspetto metodologico, dando agli allievi strumenti di studio tali da poter studiare anche da soli? L’unica preoccupazione poi, una volta rientrati in presenza, cercare di finire i programmi  e valutare gli allievi i quelli hanno dovuto sostenere un alto numero di valutazioni in un tempo molto ridotto

 Ho spesso  denunciato su questo giornale la preoccupante condizione della scuola italiana,  ma in questi due ultimi anni la situazione è precipitata soprattutto alle superiori. Hanno resistito solo le elementari. Sembrerebbe che la metà dei ragazzi che hanno sostenuto la maturità abbiano saputo rispondere  solo a domande che dovrebbero essere tipiche dei programmi di terza media. I risultati peggiori si sono avuti nelle scuole che sono rimaste chiuse più a lungo.  A pagare il prezzo più alto, in termini di povertà educativa e culturale, sono i ragazzi che provengono dalle famiglie più povere, quelli che con la scuola in presenza riuscivano a cavarsela anche senza aiuto di mamma e papà.

 Dunque la scuola in presenza è una necessità imprescindibile. L’insegnamento è “stile incarnato”: ciò che viene  impartito, sia esso un contenuto, un metodo di lavoro, non è mai neutro. Acquista significatività, senso, suscita passione, coinvolgimento grazie alla presenza dell’insegnante il quale trasmette agli allievi il valore e il senso che per lui hanno le cose che insegna. La dad fallisce perché si impara in una prospettiva relazionale. Ma la dad ha semplicemente aggravato le pecche e le difficoltà della scuola italiana.

La scuola, la società, le famiglie stesse, non sono più in grado di educare. Educare significa appunto “condurre  fuori”. Appunto essere condotti fuori dall’ignoranza, dalla noia, dal non senso, dal vivacchiare aggrappati a telefonini e social. Abbiamo creato nei nostri ragazzi uno spaventoso vuoto interno. Anche la scuola su questo fronte registra il suo fallimento. Non riesce ad appassionare, a dare contenuti formativi  né un orizzonte di senso sia per l’oggi che per il domani. Né è  capace di strutturare personalità responsabili, educare ad una coscienza morale, sviluppare l’immaginario e suscitare passione per un qualcosa, il che significa  saper sviluppare un progetto per il futuro.  Sempre volta a  rincorrere lo sviluppo delle cosiddette “competenze” la scuola ha dimenticato  ciò che è fondamentale. Come avere in casa un bellissimo vaso ma senza fiori.

 Se si parla con allievi magari segnalati tra i più bravi della scuola, si rimane perplessi. Alla domanda “Che facoltà sceglierai all’Università?” La risposta è sempre la stessa:”Una facoltà scientifica che mi assicuri di trovare un lavoro che mi faccia guadagnare bene”. La facoltà più gettonata è ingegneria, ritenuta la più duttile a posizionarsi, e bene, nel mondo del lavoro. In clima di covid-19 ci saremmo aspettati un guizzo di idealismo, di prosocialità,  magari appunto un marcato interesse per la biologia e la ricerca. Ovviamente del tutto dimenticate le facoltà umanistiche. Niente sogni, niente passioni, niente aspirazioni. Colpisce questo radicale realismo che porta inevitabilmente a perdere intelligenze e risorse, che potrebbero essere produttive in altri ambiti di tipo anche speculativo. Ma c’è da meravigliarsi con una scuola che ha distrutto quasi tutto di ciò che la rendeva  eccellente, che rincorre solo le competenze,  gli human skills e  l’educazione digitale?



venerdì 17 settembre 2021

Ci offendono le polemiche dei novax, degli antigreen pass, il pretestuoso riferimento alla libertà, parola nobile che andrebbe usata per ben altri motivi

 (articolo già pubblicato sul quotidiano L'Inchiesta)

 Siamo stati capaci di arrivare alla quarta fase della pandemia. Dico “ siamo stati capaci” perché  l’aumento dei contagi e dei ricoveri è un nostro prodotto, complici i tecnici del mestiere con le loro affermazioni spesso contraddittorie e troppo speranzose, complici i politici che hanno dovuto fare i conti con le pressioni dei rappresentanti di categorie di lavoratori ed hanno concesso maglie larghe agli assembramenti, e alle folle turistiche. Ingenuo essersi affidati al senso di responsabilità dei singoli cittadini. Non recita forse così la saggezza popolare “a chi dai il dito si prende tutto il  braccio”. Ma un contributo consistente è stato dato anche dai novax, molto più numerosi di quelli dichiarati, perché non tutti hanno il coraggio di dichiararsi.  Ma l’obbligo del green pass, per la partecipazione  alla vita pubblica, sta avendo anche la funzione di stanare quelli che si rifiutano di vaccinarsi  e si nascondano dietro il rifiuto di procurarsi il green pass in quanto strumento di controllo dei cittadini ed implicito obbligo a vaccinarsi con forte lesione della libertà individuale, dei diritti umani e della dignità della persona. Certo esiste il diritto di  scegliere se curarmi o meno ma quando la malattia riguarda solo me e ne va solo della  mia sopravvivenza. Ma il covid è una malattia  pandemica ad altissimo tasso di contagiosità,  allora il limite della mia libertà costituisce la garanzia del diritto altrui di vivere e stare bene.  Un popolo consistente quello dei novax, alimentato da fake- news sui vaccini,  diffuse  da piattaforme social seguite da svariati milioni di persone. Non si tratta solo di soggetti culturalmente sprovveduti: tra quelli  che si lasciano incantare dalle bufale più fantasiose riguardo il virus ci sono anche medici, psichiatri, intellettuali. Il che conferma  quanto già  accertato dalla ricerca scientifica: la profonda irrazionalità dell’essere umano. Il questo clima difficile ed incandescente  è apparsa inopportuna la presa di posizione di Cacciari (che tra l’altro si è vaccinato)e di Agamben, i quali avrebbero voluto  sottolineare (così hanno motivato il loro intervento) semplicemente un problema di tipo politico-giuridico e lamentano di non essere stati compresi. Sarebbe   anticostituzionale procedere per stati di emergenza (appunto il green pass)cosa che limiterebbe la nostra libertà ed introdurrebbe una netto discrimine tra cittadini di serie A (quelli vaccinati e quindi liberi di muoversi)  e cittadini di serie B (i non vaccinati e con forti limitazioni di  movimento e partecipazione alla vita pubblica ). Andando avanti di questo passo, con procedure di emergenza, sostengono i maitre à penser,  si rischia fortemente una situazione analoga a quella in cui fu possibile la nascita della Repubblica di Weimar, foriera poi delle successive tremende sciagure per l’Europa . Se vogliamo fare della speculazione teorica potremmo parlarne. Ma noi dobbiamo, primariamente, confrontarci con la realtà attuale, che è molto diversa dalle circostanze economiche, sociali culturali e politiche in cui detta Repubblica si affermò. La storia non si ripete mai allo stesso modo. Confrontarsi con il momento storico attuale e risolvere i problemi che esso pone è ciò che la prassi politica fa, mietendo spesso errori e scivoloni, come nella circostanza attuale in cui sono state fatte scelte di comunicazione inefficaci discutibili, inframmezzate a decisioni a loro volta tentennanti e cedevoli agli umori e alle pressioni dei rappresentanti di alcune categorie. Sappiamo perfettamente che il vaccino ha provocato qualche decesso e qualche problema in alcuni soggetti, sappiamo che  non ci protegge in assoluto dall’infettarci ma, è certo, ci protegge dal contrarre il virus in forma acuta e dal morire , soli, tra atroci sofferenze. Come in altre circostanze di pandemia ( e la storia dei vaccini ce lo mostra), con vaccini e green pass è stata fatta la scelta del male minore il che significa la scelta più ragionevole possibile. Ci offendono perciò le polemiche dei no-vax, le dimostrazioni anti green pass, il pretestuoso riferimento alla libertà, parola troppo nobile per essere usata in questo contesto.

Ma che cosè la libertà? Possiamo provare a darne alcune definizioni, sicuramente però non è fare come ci pare. Libertà è potere godere dei diritti fondamentali; potremmo anche dire, in chiave politica, che libertà è essere affrancati dal bisogno e, in chiave psicoanalitica, che libertà è essere affrancati dal peso del proprio passato. Ma fondamentalmente libertà è intesa come  capacità e possibilità di scegliere in modo autonomo. In questo senso libertà è molto vicina al concetto di libero arbitrio, concetto che la ricerca neuroscientifica degli ultimi anni ha rinverdito riaprendo il dibattito su questo vecchio tema ma sulla base delle evidenze empiriche. Molti conoscono l’esperimento di Libet degli anni 80, esperimento riprodotto successivamente più volte con la strumentazione di neuroimaging. Ciò che emerge da questo tipo di ricerca è che noi prima agiamo e poi ne diventiamo consapevoli. Se questo è il funzionamento del nostro cervello-mente, che ne è del libero arbitrio? UN tema scottante sul quale non si è ancora giunti ad una conclusione. Un tema vasto e complesso che lascio alle sede più adatta che è il Convegno di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze che puntualmente organizzo ogni anno a Cassino. Quello che penso io, rimanendo sul piano del funzionamento cervello- mente, è che noi abbiamo una possibilità di scelta ma tra opzioni già date che vengono prodotte preriflessivamente (o inconsciamente) nella nostra mente . Allo stesso modo la nostra libertà si esercita in un mondo in cui possiamo scegliere   tra varie possibilità e circostanze già date che non dipendono da noi. Pertanto i novax e gli anti green pass possono legittimamente scegliere di non vaccinarsi ma poi devono responsabilmente accettare le conseguenze della loro scelta  cioè rinunciare a condurre una vita pubblica, perché responsabilità e libertà sono indissolubilmente legati anche se apparentemente sembra difficile tenerle insieme. Ma  In una società sempre più individualistica e narcisisistica qual è la nostra, qualsiasi  limitazione è  difficile che possa essere accettata e parole come responsabilità hanno perso significato.

domenica 22 agosto 2021

UNGENACH un racconto lungo di Thomas Bernhard: ognuno di noi ha la sua Ungenach. Ma sapremo liberarcene come fa il protagonista del racconto?

Ungenach è la vasta, ricchissima proprietà ereditata dai fratelli Zoiss. Ma non è solo l' insieme di tenute redditizie, campi coltivati, fabbricati, boschi. E' anche il luogo del passato, del peso di ricordi, di storie familiari, conflitti, che ritornano ossessivi nella mente dei due fratelli che se ne sentono soverchiati e prigionieri. Per Karl Ugenach "significa pazzia", per Robert "un peso spaventoso e nient'altro", perciò sono scappati via: il primo in Africa, il secondo negli USA. Robert rimane, dopo la morte di Karl, rimane l'unico erede. Allora con un atto, da un lato sconcertante, nel tentativo di affrancarsi dal passato e guadagnare la libertà, se ne libera donando le numerose e ricche proprietà a trenta "bizzarri" beneficiari tra cui quattro carcerati, un ricoverato in manicomio, alcuni manovali, un guardaboschi, un giardiniere. Ugnuno di noi ha una Ungenach interiore: vincoli familiari, ricordi tormentosi, sensi di colpa nevrotici, nodi  non sciolti, doveri da cui ci lasciamo ancora dominare, che ci legano al passato e, dunque, al non essere. Ma non sempre siamo capaci di liberarcene come fa invece Robert il protagonista del racconto di Bernhard    


giovedì 5 agosto 2021

VI CONVEGNO CASSINATE DI NEUROETICA E FILOSOFIA DELLE NEUROSCIENZE. "La VITA DELLE MENTI. A.Lavazza, M.F. Pacitto, S. Canterini, B. Bruno, P. Perconti, F. Ferretti, M. Celentano, F. Pellecchia


 

                     SOCIETA’ ITALIANA DI NEUROETICA E FILOSOFIA DELLE NEUROSCIENZE

                                                              “La vita delle menti”

                                                         CONVEGNO CASSINATE (1-2 Ottobre)

                                                 VENERDI’ 1 Ottobre   

                        Aula Magna de l’Università degli Studi di Cassino

                                             Folcara, via Sant’Angelo

14 e 45 Registrazione dei partecipanti

15 Apertura dei lavori

15 e 10 Saluto del Magnifico Rettore dell’Università di Cassino, GIOVANNI BETTA

15 e 20 Saluto del Vicepresidente della Sine,  ANDREA LAVAZZA (Università di Pavia)

I Sessione: presiede VINCENZO FORMISANO (Università degli Studi di Cassino)

Presentazione del libro Neuroetica, ed. Aracne

 Intervengono:  ANDREA LAVAZZA:  Neuroetica: una nuova  sfida scientifica

                          MARIA FELICE PACITTO: Sentimentalismo e razionalismo nell’attuale ricerca neuroscientifica. La carrellologia e i dilemmi morali

II Sessione: presiede MARIA FELICE PACITTO  (Centro Psicologia Umanistica-fenomenologico- esistenziale)

16 e 30 PIERO PERCONTI (Università di Messina)

              Nel cervello di un auto. Vetture a guida autonoma e dilemmi morali

17 e 10 Discussione

17 e 20 FAUSTO PELLECCHIA (Università degli Studi di Cassino)

               Il luogo dell’etica nel Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein

18 Discussione

18 e 10 RODOLFO GIORGI (Università di Pisa)

 L’identità personale e le proprietà essenziali della mente

18 e 50 Discussione

 

                                           SABATO 2 Ottobre

                                             Palazzo Badiale (Piazza Corte)

9. Registrazione dei partecipanti

I Sessione: presiede MARIA FELICE PACITTO

9 e 10 MARCO CELENTANO (Università degli Studi di Cassino)

               Evoluzione animale ed umana; utilità e limiti del concetto di continuità

 9 e 50 Discussione

10 JESSICA VETTESE (Università Politecnica delle Marche)

                Insieme o da soli. La protocooperazione tra “ polipi Aurelia”

10e 40 Discussione

II sessione: presiede ANDREA LAVAZZA

10 e 50 FRANCESCO  FERRETTI (Università Roma3)

            Mente e linguaggio: il confine tra esseri umani e animali non umani

11 e 30 Discussione

11 e 40 SONIA CANTERINI (Universtà di Roma La Sapienza),

                          Gli abbracci ai tempi delle Neuroscienze

12 e 15 FRANCESCO BRUNO (Centro Reg. di   Neurogenetica Lamezia Terme)

                           Gli effetti della riduzione del contatto fisico positivo causata dalla pandemia di covid-19 sulla  salute mentale

12 e 50 discussione

13 Conclusioni e chiusura dei lavori

13 e 15 Colazione

Saranno applicate tutte le misure  preventive sanitarie previste dalla normativa anticovid-19.

La partecipazione è gratuita e su richiesta verrà rilasciato relativo attestato

Il numero dei partecipanti è contingentato per motivi anticovid sarà utile  comunicare la propria partecipazione  (se ad una delle due giornate o all’intero convegno) all’organizzazione scientifica o alla segreteria entro il 18 settembre

Per informazioni

 Organizzazione Scientifica:

Andrea Lavazza, vicepresidente della Società di Neurotica (segretario@societàdineuroetica.it)

Maria Felice Pacitto, Centro Psicologia Umanistica e Analisi Esistenziale  (mariafelice@humanistic-psyc.it)

Segreteria:

Catia Canciani –Università degli Studi di Cassino (cat.c@libero.it)

Max d’Aliesio (referente scuola secondaria) Liceo classico “G. Carducci (eisner@libero.it)