Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

domenica 18 luglio 2021

Scuola Cassinate di Alta Formazione in neuroetica e Filosofia delle neuroscienze: " Il problema mente-corpo: tra Dualismo e Monismo" di Rodolfo Giorgi

 

                              Il problema mente-corpo: tra Dualismo e Monismo

                                                        Rodolfo Giorgi – Università di Pisa

 


Il problema mente-corpo è una delle questioni più complesse e apparentemente insolubili che sono  state affrontate nella storia del pensiero filosofico. Potrebbe essere riassunto in una domanda che probabilmente molti individui si pongono riflettendo sulla natura della propria vita cosciente: che cosa fa sì che le attivazioni delle nostre cellule nervose e, in generale, tutti i fenomeni fisici che si realizzano nel nostro cervello diano luogo a quell’esperienza soggettiva e privata che ci accompagna per gran parte della nostra esistenza e che è denominata “coscienza”?

Da questo quesito fondamentale si avvia la riflessione filosofica contemporanea che ha come oggetto di analisi il rapporto tra il dominio del mentale ed il dominio del fisico a cui naturalmente appartiene il cervello. Infatti, mentre gli stati fisici del cervello sono osservabili sempre in terza  persona e su un piano intersoggettivo, ossia possiamo comprenderne le caratteristiche fondamentali e il loro funzionamento attraverso un’indagine empirica accessibile da molteplici punti di vista, gli stati della nostra esperienza mentale sono accessibili da un unico punto di vista, ossia il punto di vista del soggetto. In altri termini, solo “io” posso sapere qual è l’esperienza peculiare che provo nel momento in cui assaggio una fetta di torta o sto guardando un tramonto, e questa esperienza è data dal carattere soggettivo e privato degli stati coscienti di cui io sono soggetto. Tale carattere sembra apparentemente inconciliabile con il carattere oggettivo e pubblicamente accessibile dei dati e delle conoscenze inerenti al funzionamento del cervello ed alla sua costituzione. D’altro canto, noi sappiamo bene che ciò che possiamo esperire o pensare siamo in grado di farlo grazie all’attività nervosa e, quindi, in virtù di quelle proprietà fisiche dell’encefalo che ci permettono fisicamente di essere soggetti dell’attività mentale in generale. Se io infatti soffrissi di una qualche menomazione fisica sul piano cerebrale o avessi un incidente che mi provoca un trauma cerebrale, le mie facoltà mentali sarebbero sicuramente compromesse e la mia vita mentale potrebbe mutare in modo irrimediabile. Non avrei più lo stesso genere di vita mentale di cui ero soggetto prima di subire quel trauma. Ciò significa che evidentemente esiste una correlazione tra gli stati mentali ed il funzionamento del cervello, e che l’apparato cerebrale influenza le facoltà mentali del soggetto. Pertanto, il problema mente-corpo nasce precisamente dalla consapevolezza di questa apparente incompatibilità tra due domini, il mentale ed il fisico, che pure sappiamo essere correlati strettamente. In particolar modo, coloro che nella filosofia della mente contemporanea si sono interrogati su questo dilemma hanno analizzato la natura della relazione tra gli stati mentali e quelli corporei.

Le teorie della mente di ispirazione materialistica (o fisicalista) hanno cercato di risolvere il problema riconducendo l’insieme degli stati ed eventi mentali alle proprietà fisiche del cervello attraverso le relazioni dell’identità o della sopravvenienza. In altre parole, gli stati mentali, secondo questi studiosi, sarebbero identici o perlomeno sopravvenienti a quelli fisici del cervello. La cornice generale di queste tesi è solitamente di tipo monistico in quanto esse prevedono l’esistenza di un solo genere di sostanza, ossia il cervello. Nell’ambito di tale ontologia monistica, si possono ammettere o postulare anche entità diverse dal cervello nella descrizione del funzionamento della vita mentale, ma esse avranno esclusivamente un valore funzionale o categoriale, mentre sul piano ontologico esisterà soltanto il cervello. Le ipotesi di questo tipo hanno l’innegabile vantaggio di offrire soluzioni che possono essere compatibili con le neuroscienze e le scienze empiriche e vengono in genere accolte favorevolmente nel clima materialistico odierno, tuttavia talvolta ignorano o non riescono ad assegnare un ruolo preciso al carattere fondamentale e irriducibile della coscienza, la quale sembra possedere proprietà e stati distinti rispetto a quelli indagati dalle scienze empiriche. A causa di questa difficoltà, negli ultimi decenni abbiamo assistito al fiorire di teorie della mente che, al contrario, hanno ritenuto che il dominio del mentale fosse nettamente distinto e separato da quello fisico, cercando di dimostrare l’esistenza di proprietà non fisiche della coscienza, o addirittura, nelle versioni più radicali e audaci, di sostanze non fisiche corrispondenti a quelle entità che riteniamo essere i soggetti della vita mentale. Queste teorie, di chiara matrice dualista, pur riuscendo a giustificare il carattere privato dell’esperienza soggettiva, si sono dovute tuttavia scontrare con il problema fondamentale che da secoli affligge ogni paradigma di tipo dualistico, ossia la difficoltà di spiegare che tipo di interazione o relazione causale dovrebbe sussistere tra le entità non fisiche e quelle fisiche.  

 

 

 

 

venerdì 16 luglio 2021

Come andrà a finire? I vaccini non bastano: l'esito della pandemia, dipende in buona parte dai nostri comportamenti

 


(Già pubblicato su  l’Inchiesta, quotidiano cassinate)

Tutto il processo evolutivo è il risultato del caso, ovvero di alcuni eventi contingenti che hanno portato cambiamenti e sviluppo in un senso piuttosto che in un altro. Se noi riavvolgessimo la bobina del  film  della vita sulla terra non è detto che ritorneremmo dove siamo ora.  Ora in un certo senso  anche l’esplosione del covid proprio alla fine del 2019 è stato frutto di una contingenza. Poteva, però, essere affrontata diversamente, dato che alcuni scienziati avevano prevista già da tempo le conseguenze disastrose degli squilibri ambientali con la conseguente distruzione degli ecosistemi che a loro volta facilitano il salto di specie. Se c’è qualcosa di insostenibile per l’essere umano  è l’incertezza. Per cui preferiamo non vedere e non attrezzarci per il futuro. Eppure il caso, le contingenze, ci dicono che il nostro cammino non è già scritto e che i nostri comportamenti possono fare la differenza perché Il cammino non è prefissato ma si traccia con l’andare avanti. Le conseguenze del covid sulla salute sono state devastanti, non solo quelle dirette, dovute all’ammalarsi di covid, ma anche quelle indirette e cioè  l’aggravarsi di malattie   serie o mortali che non sono state sufficientemente curate a causa della pandemia  che ha impegnato la quasi totalità delle risorse sanitarie e per le difficoltà di movimento che hanno impedito il raggiungimento dei luoghi di cura.  Le limitazioni di movimento non hanno gravato solo sulla possibilità di  svagarsi e di viaggiare, di andare in palestra o in discoteca. Le conseguenze delle restrizioni, doverose, hanno avuto ben altre  e gravi conaseguenze sulla possibilità di muoversi per curarsi . Su questo tutti dovrebbero riflettere e smettere di lamentarsi per quei minimi divieti che sono rimasti e per quelle regole che ancora devono essere osservate e  dovranno esserlo ancora per molto. I vaccini ci hanno aperto a condizioni di  vivibilità impensabili solo fino ad un mese fa. Ma non sono la soluzione totale. I vaccini fondamentalmente ci preservano dal contrarre il virus in forma grave e dalla morte ma non risolvono il problema. Esiste la possibilità di altre varianti ed esiste la reattività individuale al vaccino che non sempre produce un livello di anticorpi desiderabile ed esiste, pur vaccinati, la possibilità di reinfettarsi e trasmettere il virus.   A questo si aggiunge il fatto che non tutti vogliono vaccinarsi (si parla di 10 milioni di persone) a causa, anche,  di alcuni esiti fatali (fortunatamente pochissimi) determinati dalla vaccinazione e che ha portato più volte il Ministero della Salute a rivedere i protocolli di somministrazione ingenerando paura e sfiducia.

Stando così le cose Il controllo del virus dipende fondamentalmente dai nostri comportamenti. Ma noi siamo esseri a razionalità limitata. Siamo preda di molte distorsioni cognitive che l’evoluzione ci ha lasciato in eredità, ad esempio il bias di conferma cioè la tendenza ad accogliere solo quelle informazioni che confermano una nostra convinzione o un nostro sistema di valori o soddisfano i nostri bisogni. Vediamo solo  quello che vogliamo. Non meno pernicioso il bias di “normalità”  cioè la propensione a sottostimare le conseguenze di un evento catastrofico o staordinario. Ne sono, appunto, un esempio alcune reazioni alla  pandemia:    la posizione dei novax e dei negazionisti o le reazioni esasperate  di quanti si sono sentiti privati della liberta a causa delle restrizioni di qualche tempo fa. O si pensi, ancora, alla questione ambientale e climatica. Negli ultimi anni abbiamo assistito a siccità, uragani devastanti, abbiamo superato punti di non ritorno eppure continuiamo a vivere come se abitassimo un mondo sostenibile. Questo accade perché siamo portati a credere che la situazione in cui viviamo rimarrà stabile a prescindere dal nostro comportamento perché è quello che ci fa comodo credere.

Troppo si è parlato di libertà e di ritorno alla normalità. Deve essere chiaro che libertà non significa fare come ci pare e tornare alla normalità non significa ritornare alla vita di prima. Per  molto tempo ancora avremo bisogno di osservare regole (uso della mascherina, norme igieniche) e di stare in alcuni limiti (osservare il distanziamento ed evitare gli assembramenti). Una routine che risulta ancora difficile da imparare.  Nonostante tutto quello che si può fare a livello scientifico e medico, la gestione del controllo dell’epidemia è data dal nostro comportamento.  E’ anche vero però  che le istituzioni possono lavorare  nel senso di una facilitazione di comportamenti virtuosi creando schemi contestuali e modalità di porre le norme da seguire invoglianti, ma anche  informazioni scientifiche di facile impatto sui cittadini. In termine tecnico tali procedure vengono definite nudges (spinte gentili), meccanismi originariamente studiati in economia comportamentale, che possono favorire le decisioni e le scelte delle persone. L’Italia è stata il paese che meno si è avvalsa del contributo tecnico di professionisti del settore (psicologi e studiosi di scienze cognitive) che avrebbero potuto contribuire significativamente alla creazione di strategie di questo tipo e ad una informazione adeguata. E’ anche il paese in cui si è fatto meno ricorso a sostegni ed interventi psicologici per fronteggiare malesseri e disagi psichici insorti, anche tra gli operatori sanitari, a causa della situazione pandemica. Solo ultimamente si è dato il giusto risalto al forte aumento dei disturbi psichici sia tra gli adulti che tra i minori ingenerati dalla pandemia. Un’occasione persa ed un ritardo nelle strategie che hanno e continuano ad avere  conseguenze non indifferenti su molteplici versanti. Nei 280 paesi in cui ci si è avvalsi di  questi supporti  si è riusciti ad ottenere risultati significativi e risolutivi. Ma anche nelle ultime disposizioni relative alle riaperture e alla eliminazione delle zone rosse e gialle si è proceduto con leggerezza e senza tener conto degli effetti della comunicazione sul pubblico e sulle modalità di funzionamento della mente: aver permesso di togliere la mascherina all’aperto ha significato un tana libera tutti. E’ passato assolutamente inosservata la seconda parte del messaggio: evitare assembramenti ed osservare il distanziamento. Una leggerezza nella comunicazione che pagheremo a caro prezzo. 

Maria Felice Pacitto