Quest'anno
si è parlato molto di violenza contro le donne e soprattutto di femminicidio .
Alcune trasmissioni televisive non ci
hanno risparmiato neanche dettagli
macabri, particolari efferati (del tutto irrispettosi delle vittime) sempre
nella logicadella soddisfazione di quella morbosità che spesso alligna
nell'animo di molti. Parlare di femminicidio
è diventato, dunque, una sorta di nuovo brand spendibile ai fini di un aumento dell’audience o
semplicemente per promuovere se stessi.
Da molti anni mi occupo della questione femminile con il form “Soggettività
femminile e salute di genere” sotto il quale svolgo numerose iniziative di
divulgazione culturale e promozione della consapevolezza. Ma mi sono messa
fuori del coro delle molte manifestazioni ed iniziative(ognuno fa il suo lavoro
e procede a suo modo) perché ritengo che il il femminicidio sia la punta di un
iceberg fatto di questioni, condizioni,
complessità sociali e culturali, psicologiche,
relazionali, economiche, che continuano a rimanere spesso inesplorate sotto il
ridondante accento posto sul femminicidio che è sicuramente una vera tragedia. Ma è su questo ordine di problemi e tematiche che da sempre cerchiamo di
lavorare, ponendo questioni, suscitando interrogativi , riflessioni con
l’intento di cambiare qualcosa nella coscienza e nella consapevolezza delle
donne.
Il termine femminicidio, nato una ventina di
anni fa e diffusosi dopo essere stato
utilizzato da Marcela Lagarde per indicare l'altissimo numero di omicidi di
donne compiuti al confine tra Messico e Stati Uniti, si riferisce all’insieme di atti violenti e
criminosi nei confronti della donna molto diversi tra loro e veicola l'idea di
un intento consapevole di umiliazione e
di annientamento morale e sociale della
donna.
Ma se nella violenza extrafamiliare v’è,nell'uomo,
un orientamento consapevole, distruttivo nei confronti delle donne, Il “femminicidio” intrafamiliare, che sembrerebbe, tra l'altro,
costituire almeno la metà dei casi delittuosi registrati, presenta ben altri scenari. Esso andrebbe,
innanzi tutto, inteso come uxoricidio. Esso
è legato alla complessa dinamica della coppia( dinamica che affonda nella
storia infantile e relazionale di ciascun membro della coppia) all'interno
della quale un meccanismo di mosse e contromosse portano all’escalation e
all'esplosione della violenza.. Questi uomini non odiano le donne, non sono
criminali incalliti, anzi sono quelli che le donne dicono di amarle, anzi le uccidono
per amore.
La ricerca in ambito
psicologico fornisce spiegazioni attendibili di come possano determinarsi
relazioni amorose patologiche che si concludono tragicamente. Da un punto di
vista psicologico esiste una stretta connessione tra qualità della relazione
con la madre e relazione amorosa tra adulti. La “teoria dell’attaccamento” spiega
molte forme di legami patologici
che evolvono in esiti tragici. Nella costruzione dell’ ”attaccamento”
(relazione madre-figlio)s i formano nel bambino mappe cognitive che determinano
le aspettative, previsioni, reazioni, nei confronti del comportamento materno.
Tali mappe o script rimangano stabili nel tempo. Esse riproducono, nella scelta
del partner e nella costruzione del rapporto affettivo, le stesse modalità
della relazione vissuta con la madre.
Le leggi, le denunce sono fondamentali
considerando come le donne vittime di violenza, in qualsiasi forma questa si
manifesti, siano spesso scarsamente tutelate allorché denunciano gli abusi
subiti. Ma non basta. Dobbiamo, piuttosto, partire da lontano: col
prenderci cura della coppia, col prenderci cura delle madri e dei loro figli incominciando
fin dalla nascita, col sostenere la maternità e aiutare le mamme a sviluppare
una buona relazione con i propri figli. Ma occorre anche un lavoro educativo
con le giovani generazioni di uomini e donne. Se i maschi ritengono legittima
qualsiasi prevaricazione sulla donna, è anche vero che molte donne sono
eccessivamente cedevoli alla sottomissione come partners e troppo indulgenti
come madri nei confronti dei figli.
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