Tra il Simposio di Platone , il Simposio di Gesù e il grido di Giobbe la scelta di Teresa
di Lisieux
Teresa del Bambino Gesù. Chi è questa giovane donna di soli
24 anni proclamata dalla Chiesa “dottore dell’Amore” (1997) che questa sera
riconosciamo come uno dei paradigmi possibili
per comprendere il rapporto esistente tra il femminile e lo spirituale? Può una monaca morta di tubercolosi in un
monastero periferico della Francia alle soglie del XX° secolo avere qualcosa da
dire sull’essere donna e sul percorso di liberazione della donna nella società
e nella Chiesa del nostro tempo? Penso fortemente che sia possibile. Anzi
attraverso la testimonianza della sua vita possiamo convincerci che Teresa del
Bambino Gesù contribuisce a dare respiro ampio non solo alla causa delle donne,
ma alla ricerca che ogni essere umano si propone per trovare un senso e una
dignità alla propria esistenza. Teresa
di Lisieux è un tesoro per la
Chiesa ancora poco investito per facilitare la comprensione del
Vangelo e superare la diffidenza di quanti pensano che esperienza religiosa e
vita quotidiana siano incompatibili.
Il film Thérèse di
Alain Cavalier (1986), pur con le difficoltà espressive inevitabili, cerca di
dimostrare che con la giovane carmelitana Teresa non ci troviamo di fronte a
una doppia personalità, ma a una donna matura che ha equilibrato nella sua
persona le pulsioni che accompagnano la crescita umana nel tempo e la nostalgia del totalmente
altro che mai manca nell’intima ricerca di senso di ogni donna e di ogni uomo. Teresa
è una persona che ama e, amando, parla dell’amore come centro significativo
della vita. Una donna consumata giovane dall’amore prima che dalla malattia. Non
si tratta dell’amore generico, diluito nelle possibili avventure frammentarie, non si tratta semplicemente dell’eros, ma
dell’amore nuovo che il cristianesimo ha portato nella storia. E’ una donna
che, una volta entrata al Carmelo, è diventata adulta in fretta, senza perdere
la freschezza che bambini e adolescenti mettono nell’amare le persone della
loro cerchia familiare e amicale. Capace di incantarsi, nonostante fondati motivi di disincanto di
fronte all’esperienza dell’ottusità altrui nel capire la gentilezza dell’animo e
di fronte alla malattia logorante.
Il chiodo fisso di vivere amando non l’ha abbandonata mai
anche nei momenti meno gratificanti. Finché ha avuto le forze, l’amore è stato
la sua massima aspirazione, il progetto di una vita degna di essere vissuta al
di là del tempo e dello spazio a lei concesso dal destino. Le sue ultime parole
da morente sono state”Mio Dio io ti amo”. E poco prima, quasi in un bilancio di
vita aveva confessato: “Non mi pento di essermi consegnata all’amore”. Eppure
nel luglio precedente la sua morte aveva confidato a una sorella: “Morire
d’amore non è morire fra i trasporti. Glielo confesso francamente, credo che
sia ciò che provo”. D’altra parte osservava che “Nostro Signore, è morto sulla
croce nelle angosce, ed ecco tuttavia la più bella morte d’amore. E’ la sola
che si sia vista”. Terminava così un dialogo durato tutta la vita, dove la parola
più ricorrente è stata amore, vera bussola di una esistenza giovane e breve.
Per cogliere questa sua caratteristica che la rende vicina e
lontana, diversa comunque da tante proposte di santità, in un dialogo
inconsueto ma fecondo, possiamo cercare di accostare il Simposio di Platone che
parla dell’Eros e il Simposio di Gesù
che parla di amore. Non propongo l’accostamento per un esercizio retorico, ma
perché l’amore proposto dal Vangelo non è solo sentimento; è, invece, un essere
e operare coerente con la persona che si dice di amare. Gesù è concreto: se mi
amate osservate i miei comandamenti. E’ un amore dinamico che sta in piedi
anche quando non c’è il trasporto del sentimento.
Questa dimensione dell’amore che non si affida al sentimento,
ai languidi e altalenanti soprassalti del cuore, ma alla fedeltà nell’operare
in coerenza con l’amare, si è sempre verificata nelle esperienze mistiche dei
santi: essi hanno amato pur nell’aridità del sentimento, sono rimasti fedeli nell’esperienza
del dolore fisico o psichico, affidandosi a Dio, fidandosi di lui anche nella
notte dell’anima, nel tormento spirituale indicibile che si prova quando la
fede viene messa alla prova. Amo perché mi fido, mi fido perché amo.
Accade qui l’introspezione nell’amore che incontriamo
nella tragedia di Giobbe, quello che fu tentato di giudicare Dio, non capendolo
e al termine di una prova terribile e
devastante giunge a rivolgersi a Dio dicendo: “Io ti conoscevo per sentito
dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e provo pentimento sopra
ogni polvere e cenere”. In controluce al Libro
di Giobbe si coglie meglio il fascino della scelta compiuta da Teresa la
quale, in mezzo alla durissima prove degli ultimi suoi mesi di vita, sfiancata
dalla tisi e dall’assenza di sentimento nella fede, citava un versetto di
Giobbe (13,15) formulandolo in questi termini: “Anche se Dio mi uccidesse,
spererei ancora in lui”. Solo un amore davvero convinto e fortissimo fondato
sulla fiducia nella persona amata, può portare a questo affidamento. Un amore
che per essere compreso nel suo sperdimento e nella sua intensità misteriosa
serve sfogliare il Cantico dei Cantici.
Un libro della bibbia che Teresa cita moltissimo nei suoi scritti. Per meglio
attingere la profondità dell’amore in Teresa inserendone la comprensione nell’indagine sul senso dell’essere e del
tempo concesso a ciascuno è interessante una lettura parallela di Giobbe, del
Cantico, di Platone e Gesù.
Giobbe lo percepiamo immediatamente
familiare perché la sua vita altalenante tra disgrazia e fortuna fa parte dell’esperienza
universale dell’umanità. Il Cantico
autorizza in ogni storia d’amore a gustare eros come un bene voluto da Dio; Platone
nel Simposio riassume la saggezza
antica su eros mai venuta meno nella ricerca umana della felicità e del bene.
Ciò che sconvolge la diffusa esperienza umana e chiede uno sforzo di comprensione
speciale è l’amore alla maniera di Gesù. La parabola del samaritano che incarna
concretamente e riassume cosa e come Gesù intenda l’amore per gli altri è
ammirata ma più raramente praticata perfino dai credenti.
Non esiste un vero e proprio simposio di Gesù dove si tiene l’elogio dell’eros. Chiamo tuttavia simposio sull’amore cristiano i discorsi
di Gesù all’ultima cena come ce li racconta l’evangelista Giovanni nei capitoli
13-17 del suo Vangelo. L’amore alla maniera di Gesù – definito comandamento
nuovo - è certamente rivoluzionario: tra le sue componenti è compresa la piena
dimensione dell’eros, ma non è l’aspetto innovativo.
L’eros è una componente umana altissima dell’amore.
Gesù non la nega, parla agli apostoli amandoli come amico,
con sentimenti. La notte del tradimento emerge quanto sia importante per Gesù
l’amicizia e si delinea la tenerezza appassionata con cui egli la vive. Ma il
suo discorso apre orizzonti più ampi per l’amore perché aggiunge qualcosa che
solo Dio può mettere alla sua maniera. Per meglio capirlo questo amore alla
maniera di Dio, occorre completare la lettura del Vangelo di Giovanni con le Lettere
di Giovanni, specialmente la prima, dove è contenuta l’umanamente
impensabile definizione di Dio Amore. In quanto amore Dio non può che agire per
amore e nell’amore. L’iniziativa di Dio che ci ama per primo, per gli umani apre un tempo nuovo per vivere e
rappresentare l’amore nella vita quotidiana. Sono picchi della riflessione
sull’amore che implicano -per dirla con
papa Francesco – la carnalità del nostro amare ma combinata con la dimensione
interiore. Il trasporto dell’anima. Tutta la persona è coinvolta nell’amore
richiesto da Gesù. Nessuno mai ha parlato dell’amore come Gesù e nessuno ha
proposto la possibilità di un amore e la via per realizzarlo come ha fatto
Gesù.
Nel solco dell’amore
proposto da Gesù si incammina Teresa che fin da giovanissima ne è
affascinata. Teresa è un tipo di donna ordinaria che in ogni cosa porta una
carica straordinaria vitalità: in pochi anni
(morta a 24) ha scelto la sua
opzione fondamentale di vita (amare); ha deciso di entrare in monastero di
clausura come massima opportunità di vivere l’amore scelto; non ha fatto cose
straordinarie ma ha amato nella quotidianità e nelle piccole cose della vita;
ha attinto alla letteratura e dalla bibbia la sua cultura sull’amore; ha
sofferto molto nel corpo con la malattia e nell’animo con l’incomprensione
delle sue consorelle, con estrema serenità; ha affidato alla poesia e ai diari
la sua esperienza interiore di percorso verso l’amore realizzato; non ha
rinunciato al suo modo di essere dolce e decisa contemporaneamente. Questo
significa avere personalità e vivere con responsabilità. Per una giovane donna
significa non vivere come figura di contorno, ma aver maturato un progetto e
tenderlo a realizzarlo con tutte le forze.
Simposio di Platone
Il tema dichiarato è eros, il dio greco dell’amore. Al tempo
della scolastica la visione platonica dell’eros servì a interpretare il rapporto tra mondo
sensibile e dio cristiano, tra creatore e creatura. Nel secolo scorso il
simposio ha interessato la ricerca
psicoanalitica per approfondire le teorie sull’amore. Socrate fa dell’amore un
demone mediatore tra l’umano e il divino
Discorso Fedro:
Eros è sorgente dei più grandi beni. Chi ama davvero trasforma se stesso,
acquista forza e maturità. In chi ama si produce un cambiamento interiore, non
si è più quelli di prima. Se gli amanti combattessero l’uno a fianco all’altro
potrebbero vincere per così dire il mondo intero, anche se fossero soltanto un
piccolo gruppo, perché sarebbero molto uniti tra loro. Soltanto gli amanti
accettano di morire l’uno per l’altro, non solo gli uomini ma anche le donne.
Pausania: Non
tutto l’amore è bello e degno di elogio: lo è soltanto quello che porta ad
amare bene. Si tesse l’elogio dell’amore omosessuale specialmente tra maschi
“sesso per natura più forte e intelligente”. Chi si comporta male è l’amante
volgare che ama il corpo più che l’anima. Chi ama il carattere di una persona
per le sue alte qualità resta fedele tutta la vita perché il suo amore resta in
qualcosa di costante. E’ bellissimo cedere quando si cede per virtù tra
l’amante e l’amato.
Erissimaco: Eros
è un grande dio, un dio meraviglioso e la sua azione si estende su tutto sia
nell’ordine dell’umano che del divino. L’eros ci procura ogni felicità e ci
rende capaci di legare con vincoli di amicizia gli uni con gli altri ed anche
con quegli esseri a noi superiori, gli dei.
Aristofane: Mi
sembra che gli uomini non si rendano assolutamente conto della potenza
dell’Eros. E’ il dio più amico degli uomini.
Per ciascuna persona ne esiste un’altra che le è
complementare perché quell’unico essere è stato tagliato in due come le
sogliole. E’ per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua parte
complementare…Quando si incontra l’altra metà di se stesse da cui sono state
separate le persone son prese da straordinaria emozione, colpite dal sentimento
di amicizia che provano, dall’affinità per l’altra persona, se ne innamorano e non
sanno più vivere senza di lei – per così dire – nemmeno per un istante. E
queste persone che passano la loro vita
gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dire che cosa
desiderano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle
gioie del fare l’amore, non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia
la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere
fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca
nell’altro qualcosa che non sa esprimere ma che intuisce con immediatezza”.
Quello che ciascuno desidera : riunirsi e fondersi con
l’amato. Non più due ma un essere solo. La ragione è questa , che la nostra
natura originaria è tale. Noi formiamo un tutto: il desiderio di questo tutto è
la sua ricerca ha il nome di amore. Allora eravamo una persona sola; ma adesso
per la nostra colpa in dio ci ha separati in due persone.
All’amore nessuno resiste perché chi resiste all’amore è
inviso agli dei.
Oggi la cosa migliore è tentare di avvicinarci il più
possibile alla perfezione: incontrare l’anima a noi più affine, e
innamorarcene.
Agatone:Tra tutti
gli dei Eros è il più felice perché è il più bello e il migliore…Abita in ciò
che è più tenero al mondo. Eros infatti ha stabilito la sua dimora nel cuore e
nell’anima degli uomini e degli dei. Va ad abitare in quelle in cui trova
dolcezza.
Su ciò che non fiorisce, sul fiore appassito nel corpo o
nell’anima o in ogni altra cosa, Eros non si posa. Eros non fa né subisce
ingiustizia, non fa torto a nessun uomo o dio, e non ne subisce da nessuno né
uomo né dio. La violenza non ha presa sull’Eros. Eros conquista con la forza e
neppure lo si conquista con la forza. Non c’è piacere più grande di Eros…Non è
Ares che domina Eros, ma Eros possiede Ares. Eros è la nostra salvezza per
eccellenza.
Diotìma: Eros interpreta
e trasmette agli dei tutto ciò che viene dagli uomini e agli uomini ciò che
viene dagli dei…contribuisce a superare la distanza tra loro in modo che il
Tutto sia in se stesso ordinato e unito…Il divino non si mescola con ciò che è
umano. Questi demoni sono numerosi e di ogni tipo: uno di essi è Eros.
L’oggetto dell’amore è sempre bello, delicato, perfetto, sa
dare ogni felicità. Ma l’essenza di chi ama è differente.
In che cosa consiste esattamente il desiderio che si prova quando si ama? Noi
desideriamo che l’oggetto del nostro amore ci appartenga…Possedere ciò che è
buono fa la felicità delle persone.
L’amore ha mote forme, ma noi prendiamo una sola di queste
forme e le diamo il nome generico di amore come se fosse unica.
L’amore è il desiderio di possedere sempre ciò che è
buono…amare sia per il corpo che per l’anima significa creare nella
bellezza…Nell’unione dell’uomo e della donna c’è qualcosa di creativo, qualcosa
di divino. Tutte le creature viventi sono mortali, ma in loro c’è una scintilla
di immortalità: è la fecondità dei sessi, la capacità di generare nuovi esseri
viventi; ma questo non può avvenire se non c’è armonia…Eros desidera creare e
far nascere nuova vita nella bellezza. Perché creare nuova vita? Perché per
qualsiasi essere mortale l’eternità e l’immortalità possono consistere solo in
questo: nel creare nuova vita. Ora, il desiderio d’immortalità accompagna
necessariamente quello del bene se è vero che l’amore è desiderio di possedere
per sempre il bene. E così l’amore ha come proprio oggetto l’immortalità.
Gli uomini fecondi nel corpo pensano soprattutto alle
donne..Altre persone sono feconde nell’anima: c’è infatti una fecondità propria
del nostro spirito che a volte è superiore a quella del corpo. Ecco qual è: è
la forza creativa della saggezza e delle altre virtù in cui il nostro spirito
eccelle. Quando un uomo fecondo nel suo animo incontra un’anima bella e
generosa e sensibile, allora le dà tutto il suo cuore..Che sia presente o
assente il suo pensiero va sempre all’altro che ama e così nutre ciò che nel
rapporto con lui in sé ha generato. Tra gli esseri di questa natura si crea
così una comunione più intima di quella che si ha con una donna quando si hanno
bambini, un affetto più solido….Le opere dello spirito valgono molto più dei
figli.
Da soli o sotto la guida di un altro, la perfetta via
dell’amore ha inizio con la bellezza sensibile e ha per fine la contemplazione
della Bellezza pura. Questo mio caro
Socrate è il momento più alto nella vita di una persona: l’attimo in cui si
contempla la Bellezza
pura.
Simposio di Gesù
Il Simposio di Gesù, ossia il suo discorso sull’amore,
avviene durante una cena speciale tra amici, l’ultima della sua vita, e si apre
con un rito di purificazione con la lavanda dei piedi. Non ha eguali nella
storia della letteratura mondiale la cena di Gesù con gli apostoli, dove si
confrontano potere e amore. Il Dio che tutto può rovescia il tavolo e da
potente diventa colui che lava i piedi ai discepoli dimostrando in questo modo
che “li amò sino alla fine”. Se svuotiamo la vita di potere la riempiamo
d’amore. E solo con l’amore si può aver parte con questo Gesù che inaugura un
Regno dalle regole rovesciate rispetto al protocollo di ogni autorità mondana.
L’amore di cui dà prova non può restare parola, ma deve
diventare opera: vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche
voi.
Al rito di purificazione segue il discorso dell’addio che
chiarisce le ultime volontà di Gesù e indica la via che devono seguire i
discepoli. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come
io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.
Se mi amate, osserverete i miei comandamenti […] Io sono nel
Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva,
questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi
manifesterò a lui”. “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo
amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non
osserva le mie parole”.
Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio
amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo
amore”.
Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri
come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per
i propri amici. Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando”. Le
conseguenze di questo amore nella vita dei discepoli? Vi uccideranno pensando
di rendere culto a Dio. E quindi la preghiera di Gesù per i discepoli perché
abbiano gioia e rimangano uniti. “Io – conclude Gesù – ho fatto conoscere loro
il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia
in essi e io in loro”.
Ricordando questa cena memorabile, Giovanni scrisse poi una
lettera sull’amore. Dove si dice che Dio è Amore e dove si afferma che l’amore
per gli altri è la misura dell’amore di Dio.]
Teresa del film e Teresa dei documenti storici
Il film ci mette in una giusta prospettiva per un cammino di
approfondimento dell’anima di Teresa. L’autore fa al meglio il suo lavoro
trattando una materia che in gran parte appartiene al mondo dello spirito e
pertanto è inesprimibile nella sua essenza con i linguaggi esteriori e
sensitivi.
La visione del film lascia in piedi il grande dubbio: se
l’amore di Dio comprende anche la componente erotica o è un amore del tutto
astratto e cervellotico e perciò incomprensibile. Teresa mostra di amalgamare
eros greco e amore cristiano nell’unità
della sua esperienza personale disinibita con Gesù e con gli altri.
Se ricordiamo lo scalpore che Benedetto XVI fece con la sua
enciclica Deus caritas est superando l’antitesi tra eros e agape, amore cristiano e
amore profano (è uno solo il modo di amare in modo completo)[1],
capiremo in qualche modo meglio l’eccezionalità del messaggio di Teresa
sull’amore. Eccezionale nel senso che non è stato abituale nella storia della
Chiesa vivere in forma unitaria eros e agape sottoposti costantemente a
separazione forzata. Questa giovane donna più di un secolo prima dell’enciclica
di Ratzinger, si era giocata tutta la vita sull’amore riuscendo a integrare
l’amore di Dio e del prossimo, l’amore umano e l’amore cristiano in una sola
esperienza di vita. Amare Dio non spegne il sentimento dell’amore per il
prossimo. Lei ne ha fatto esperienza, e non fermandosi alla teoria dell’amore
ne ha confermato la fattibilità[2]. Per
amare, più che rinunciare bisogna essere a pieno quello che la persona è.
Il film lascia solo intravedere questo progetto e questo
percorso come fosse semplice e scontato, mentre non lo è stato affatto. Del
resto penso sia difficilissimo rappresentare l’umanità di un’esperienza
spirituale profonda come la donazione della vita a Dio nella vita claustrale.
Nel Manoscritto B
(1896) Teresa racconta la scelta della
sua vocazione, del chi voler essere nella vita. Scelta che venne dopo la
lettura della lettera di san Paolo ai Corinzi quando al capitolo XIII si descrive l’importanza dell’amore. Il famoso
inno alla carità.
“L’apostolo – scrive Teresa – spiega come tutti i doni più
perfetti sono nulla senza l’amore…Che la carità è la via eccellente che conduce
sicuramente a Dio. Finalmente avevo trovato il riposo. Considerando il corpo
mistico della Chiesa, io non mi ero riconosciuta in nessuna delle membra
descritte da san Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutte…La carità mi
diede la chiave della mia vocazione. Io
compresi che se la Chiesa
aveva un corpo composto di differenti membra, il più necessario, il più nobile
di tutto non le mancava, io compresi che la Chiesa aveva un cuore e questo cuore era
bruciante d’amore. Io compresi che l’Amore solo faceva agire le membra della
Chiesa, che se l’Amore si fosse spento, gli apostoli non avrebbero più
annunziato il vangelo, i martiri avrebbero rifiutato di versare il loro sangue.
Io compresi che l’Amore racchiudeva in sé tutte le vocazioni, che l’Amore era
tutto, che esso abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi. In una parola che
esso è eterno. Allora nell’eccesso della mia gioia delirante, io ho esclamato:
O Gesù, mio Amore, la mia vocazione, finalmente l’ho trovata. La mia vocazione
è l’amore. Si ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto o mio Dio sei
tu che l’hai dato. Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l’Amore così io
sarò tutto, così il mio sogno si sarà realizzato”.
Il giorno della morte, il 30
settembre del 1897 una delle ultime sue parole fu: “Non mi pento di
essermi consegnata all’Amore”. Un detto che indica la maturazione avuta
dall’esperienza e dalla certezza di aver scelto la parte migliore, come prima
di lei, san Giovanni della Croce, padre
spirituale dell’esperienza mistica carmelitana aveva lasciato scritto: “Alla
sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore”.
Alla comprensione del suo voler essere nella Chiesa l’amore,
Teresa fece seguire un atto dai suoi biografi e teologi giudicato centrale per
cogliere il senso dell’esistenza di Teresa e la sua dottrina spirituale. Il 9
giugno 1895, all’età di 22 anni la giovane carmelitana scrisse infatti “l’Atto
di offerta di me stessa come vittima di olocausto all’Amore misericordioso del
buon Dio”.
“Alla sera di questa vita – si legge tra l’altro nell’Atto –
io mi presenterò davanti a te con le mani vuote, perché io non ti chiedo
Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie hanno delle macchie
ai tuoi occhi. Io voglio dunque rivestirmi della tua stessa giustizia e
ricevere dal tuo amore il possesso eterno di Te stesso. Io non voglio altro
trono ed altra corona che te, o mio amato! Ai tuoi occhi il tempo non è niente,
un sol giorno è come mille anni, tu puoi, dunque in un istante prepararmi a
comparire davanti a te. Per vivere in un solo atto di perfetto amore, io mi
offro come vittima di olocausto al tuo amore misericordioso, supplicandomi di
consumarmi senza posa, lasciando traboccare nell’anima mia, i flutti di
tenerezza infinita che sono racchiusi in te e che così io diventi martire del
tuo amore, o mio Dio! Io voglio, o mio amato, ad ogni battito del mio cuore
rinnovarti questa offerta un numero infinito di volte fino a che le ombre
essendo svanite, io possa ridirti il mio amore in un faccia a faccia eterno!”.
Anche in circostanze eccezionali come questa, Teresa non
cessa di essere una donna che sceglie liberamente e di operare in conseguenza dell’ispirazione
interiore, non affidandosi né confidando nel puro sentimento.
Quando il 7 luglio del 1897, già malata terminale le vien
chiesto di ricordare cosa successe dopo la sua offerta all’amore, Teresa
ricorda: “Stavo cominciando la mia Via Crucis ed ecco che improvvisamente sono
stata presa da un così violento amore per il buon Dio, che non posso spiegare
ciò se non dicendo che era come se mi avessero immersa completamente nel fuoco.
Oh, che fuoco e che dolcezza insieme! Bruciavo d’amore e sentivo che non avrei
potuto sopportare questo ardore un minuto, un secondo di più senza morire. Allora
ho capito ciò che i santi dicono di questi stati che loro hanno sperimentato
tanto spesso. Per me, io non l’ho provato che una volta e per un solo istante,
poi sono ripiombata subito nella mia abituale aridità”.
Occorre sottolineare la creatività nell’atteggiamento di Teresa
di rispondere all’amore di Dio, la sua capacità di declinarlo in ogni momento e
in ogni situazione. Come pure la capacità di sminuire sempre la sopportazione
del dolore nella malattia. Alla scuola del dolore aveva imparato a vivere in
modo cosciente e forte tutta la vita, senza banalizzare neppure le cose banali.
Il 5 giugno del 1897, all’ultimo stadio della tisi che la lasciava senza
respiro, si espresse in una formula che si ritroverà decenni dopo nelle ultime
pagine del Diario di un curato di
campagna di Georges Bernanos: “Tutto è grazia”, anche la notte oscura e
arida della fede, quando svanisce la voglia di vivere. Sintesi di una vita
apparentemente infelice e travagliata di un prete alcolista e malato.
L’affermazione che tutto è grazia, in un momento di massimo abbandono
spirituale e deperimento organico (Morire d’amore non è morire fra i trasporti.
E’ ciò che provo – confidava negli ultimi tempi) indica che un lungo cammino è
stato compiuto da Teresa verso la consapevolezza del proprio vivere e morire.
Carlo di Cicco
[1] Benedetto XVI, Deus caritas est. “Se si volesse portare all’estremo questa
antitesi (tra eros e agape) l’essenza del cristianesimo risulterebbe
disarticolata dalle fondamentali relazioni vitali dell’esistere umano e costituirebbe
un mondo a sé, da ritenere forse ammirevole, ma decisamente tagliato fuori dal
complesso dell’esistenza umana. In
realtà eros e agape – amore ascendente e amore discendente – non si lasciano
mai separare completamente l’uno dall’altro” (n° 7).
[2] Cfr. Manoscritto
C. Teresa, nel giugno del 1897, scrive nel foglio 9 del manoscritto:
“Donandosi a Dio il cuore non perde la sua tenerezza naturale, quella tenerezza
al contrario cresce diventando più pura e più divina”.
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