SIMONE WEIL:
una vita vissuta nella radicalità e nella autonomia di pensiero
Parlare di
Simone Weil l’8 marzo, ha voluto essere il tributo riconoscente al lavoro di una
grande filosofa, fondamentale per la costruzione della soggettività e del
pensiero femminile, nella consapevolezza che non v’è storia per le donne al di fuori della loro capacità di poter
pensare autonomamente ed indipendentemente.
Simone Weill ebrea come Edith Stein e Hanna
Arendt. Tre donne filosofe che hanno segnato il percorso speculativo del secolo
scorso. Tre donne il cui discorso si dispiega sullo sfondo drammatico del
nazismo.Voci che hanno saputo interpretare il desiderio della donna a poter
essere e a poter pensare. La loro opera è inscindibile dalla loro vita.
Filosofa controversa e “difficile” la Weil per la commistione di
tematiche così diverse (misticismo e pensiero politico) e per il modo anche di
procedere nella teorizzazione, difficile anche ad essere inserita in un qualche filone o orientamento
filosofico. Autonoma e antiaccademica, la sua preparazione filosofica fu
anomala, magari, rispetto a quella di una Arendt o di una Stein che ebbero come maestri grandi filosofi
accademici. E questo ci dice anche qualcosa in merito ai contenuti della sua
filosofia.Ella rifugge dalla filosofia sistematica per prediligere le filosofie
che fanno “un inventario delle idee”,
filosofie che lascino essere le contraddizioni senza eliminarle per un obiettivo
di sistema: solo queste filosofie sono eterne ed immutabili. Ebrea, ma
appartenente ad una famiglia laica e benestante che faceva parte di quella
comunità ebraica pienamente assimilata,
nel’ 39 vive un’esperienza mistica che cambia il corso della sua vita.
Ma anche l’esperienza religiosa è vissuta in modo assolutamente particolare e fuori
degli schemi. Nonostante l’importanza che ella
le attribuisce, decide di non entrare nella Chiesa cattolica perché per
lei la cristianità esisteva già prima del Cristo della chiesa. V ‘era nella
Chiesa una pretesa di “totalità”, di potere, contro i quali ella si era battuta per tutta la vita. Sbaglierebbe
dunque chiunque volesse ridurla ad una cristiana devota. Anche perché al di là
delle pagine sublimi di mistica religiosa, mai banali, ma sempre irrobustite da
una riflessione connotata filosoficamente, ella sviluppò interpretazioni del
cristianesimo del tutto discutibili.Ella la elaborò una concezione filosofico-
politica permeata di spiritualità che la
distanzia da qualsiasi altra concezione elaborata nel pensiero moderno. Si era
avvicinata al marxismo giovanissima ma ne detestava il totalitarismo e la
violenza. La Weil era molto scettica sulla possibilità che la classe operaia
potesse emanciparsi attraverso un passaggio rivoluzionario violento. Ma quali
furono più specificamente i contenuti della sua produzione teorica? Il tema
della giustizia, il rapporto tra il singolo e il potere, l’analisi delle cause
che portano l’uomo all’oppressione e all’esercizio della forza, temi che
vengono analizzati sullo sfondo dei
totalitarismi che andavano sviluppandosi in quell’epoca e che non
potevano essere compresi se non attraverso lo studio del mito e della storia
del potere nel passato. L’esercizio della forza, del potere, distrugge sia chi
l’esercita sia chi vi è assoggettato afferma ne l’Iliade, uno dei pochi testi pubblicati in vita. In Sulla
Germania totalitaria ella si chiede come sia potuto accadere che il ceto
medio più colto d’Europa avesse potuto identificarsi nell’orrore del regime
hitleriano. Consapevole della tragicità degli eventi, cerca di identificare l’ombra della civiltà
europea, il demone che la abita in segreto, rivolgendo la sua attenzione ad un
lontano passato depositario di
verità e di bene. Specifico, direi
esistenziale, il modo di avvicinarsi a tali tematiche, come se esse la
riguardassero da vicino, come se ella vi fosse coinvolta in prima persona.
Occuparsi della condizione di sofferenza e umiliazione dell’altro significava per lei condivider la. E alla luce di questo
convincimento che andrà in fabbrica dal 34 al 35, parteciperà nel 36 alla
guerra di Spagna, e a Marsiglia nel 1941 aderìrà alla resistenza. Una filosofia,
la sua, non speculativa ma connessa alla vita.
Ella amava la concretezza: per comprendere l’altro
sofferente bisogna provare sulla propria vita ciò che si abbatte sugli umili. Una radicalità
dell’animo la caratterizzava: la condizione dei più deboli, di ingiustizia,
l’idea di progresso, sono le passioni intorno alle quali si struttura e si
consuma la sua vita. E’ questo che la porta in fabbrica, dove soffre moltissimo,
dove non ce la fa a sostenere la fatica fisica tanto da desiderare di non
pensare più (E’singolare come in lei vi sia una ricerca di fisicità, di
corporeità, che contrasta con la sua
incapacità di fisicità). Una condizione, quella della fabbrica di alienazione
totale, in cui appunto l’operaio perde la sua identità in quanto non può più
essere riconosciuto come persona dagli altri. La cosa peggiore non è la
sofferenza fisica o il pericolo di vita ma la schiavitù che mette tacere la soggettività della persona.
Non v’è pagina dei Cahier (
pubblicati dopo la morte e affidati a Gustave Thibon)in cui non vi sia un
riferimento al quotidiano, al nostro modo di relazionarci agli altri e di
affrontare i problemi reali dell’esistenza. Interessanti in questo senso sono i
temi dell’attenzione e dell’amicizia a cui dedica il saggio L’amicizia pura. Che cosa impedisce
l’amicizia?. Ritorna il tema del potere:quando qualcuno decide di sottomettere
a sé un essere umano o accetta di sottomettersi a lui non v’è amicizia. Per
questo rifiuta la sessualità, dove il desiderio determina dipendenza.Rispetto
autonomia, reciprocità, sono un riflesso dell’amore divino. Neanche l’amore sentimentale né
l’amore coniugale possono farne a meno dell’amicizia. Non v’è amicizia se non
dove la distanza è conservata e rispettata. Certo stridono le sue scritture su
Cristo, sull’amore, sull’amicizia, sull’attenzione con le sue posizioni
antigiudaiche: bisonava sradicare completamente l’ebraicità limitando l’accesso
agli incarichi pubblici degli ebrei, educando al cristianesimo i bambini V’è in
questa filosofa complessa, fuori delle righe, antiaccademica, dominata dalla
passione della verità, una componente autodistruttiva che la porterà
prematuramente alla morte per tubercolosi nel 1943 a soli 34 anni. Un
tentativo, quello della Weil, di
rispondere alle angosce dilaganti dinanzi alla distruzione della civiltà e di
rimanere, comunque, vigile nonostante l’oscuramento del le coscienze. E’ per
questo che noi la leggiamo, consapevoli
della sua estrema attualità!
Maria felice pacitto(psicologa-psicoterapeuta, filosofa
della mente)
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