La retata che, a Napoli, ha scoperto il sistema del clan
camorristico che controlla gli affari illeciti del centro Napoli, ha coinvolto anche
bambini, appena decenni, utilizzati per confezionare dosi e come baby pusher.
Venivano utilizzati perché non imputabili. Tra l’altro essi appartengono alle famiglie degli stessi pusher, nota, che
accanto alla presenza di 17 donne, alcune delle quali gestivano le piazze dello
spaccio, dà conto del degrado, della povertà affettiva, della assenza di
“umanità” (nel senso di quelle funzioni
di base che attengono al comportamento di cura della prole da parte de i
mammiferi) dell’ambiente in cui i piccoli sono stati destinati a vivere. Magari , oggi, paradossalmente, qualcosa può
cambiare per loro!
Occorreva l’intervento delle forze dell’ordine, la scoperta
del traffico più consistente di droga e di affari illeciti in Napoli, per sollevare il velo di una forma di
violenza e di abuso sui minori da troppo tempo ignorata. Ma, diciamolo, chi ha
voluto ignorare ( non siamo ipocriti: il problema si conosceva) questa piaga è,
magari, lo stesso che si è lasciato sconvolgere dai bambini addestrati alla
guerra e utilizzati dall’Isis o dalle
bambine kamikaze di Boko Haram. Ma qual è la differenza? La violenza contro i
minori è sempre una ed ha quasi sempre le medesime conseguenze, anche se si
manifesta in modi diversi: estremi o sottili e nascosti. Nelle nostre famiglie
non si esercita forse violenza quando desideriamo che i nostri figli facciano
determinati sport o suonino un
determinato strumento o si indirizzino verso determinati studi o scelte
professionali; quando, in sintesi mettiamo su di loro le nostre ambizioni e le
nostre storie irrisolte. È sempre l’adulto intrusivo che plagia e toglie vita.
E violenza è anche quella che si esercita quando i piccoli vengono avviati al
successo, al protagonismo e alla celebrità . Il mondo dello spettacolo,
complici cinema e televisione, ci hanno abituato alla vista i piccoli cantanti
e giovani attori sacrificati alla soddisfazione dei desideri di mamme e papà.
Per il bambino il successo non ha di per sé significato: per lui contano solo
l’accettazione e l’amore di mamme papà, e farebbe qualsiasi cosa, si sottoporrebbe
la qualsiasi tortura pur di ottenerli. Tempo fa Jodie foster , lei stessa bambina sacrificata al successo e
sopravvissuta a tale esperienza,
denunciò nel film “Il mio piccolo genio” (1991) le responsabilità dei genitori in
questi casi.
Nonostante la grande diffusione dell’informazione psicologica,
sia attraverso i rotocalchi che attraverso le trasmissioni televisive, siamo
ancora dentro “quella pedagogia nera”, così è stata definita da Alice Miller,
che fa del bambino un oggetto, utilizzando la manipolazione o il ricatto
affettivo, un’educazione che non sa “vedere” il bambino e non sa ascoltarne i
bisogni autentici.
Maltrattamenti, carenze affettive, disattenzione per la
salute, esposizione a pericoli, a
stimoli e situazioni insostenibili dai bambini, sono molto più frequenti di
quanto si pensi anche nelle cosiddette famiglie normali, apparentemente ben
funzionanti. La violenza, in qualsiasi
forma si manifesti, è destinata a
perpetuarsi a riprodursi. Il
bambino che subisce violenza, a meno che non abbia la possibilità di trovare
opportunità di riparazione e compensazione, come potrebbe accadere adesso per i
bambini napoletani, da adulto vi farà egli stesso ricorso, come è evidente
dalle storie di vita di chi ha praticato omicidi di massa.(Hitler, Stalin, Mao,
Ceausescu). Molta buona, attendibile ricerca in ambito neuroscientifico,
confermando peraltro intuizioni che già da tempo circolavano in ambito
psicoterapeutico, rivela come traumi, maltrattamenti, deficit affettivi, subiti
durante l’infanzia, determinano gravi alterazioni della chimica cerebrale e
addirittura danni anatomici (scarso
sviluppo dell’ippocampo, ingrossamento delle zone correlate alle emozioni,
compromissione delle connessioni interneuronali tra queste e le zone che
controllano le emozioni) con grave sofferenza e danno non solo del soggetto
adulto ma anche della stessa società.
Se le conoscenze psicologiche e psicoanalitiche non
hanno determinato quei cambiamenti nelle pratiche educative che ci si
aspettava, almeno le più recenti scoperte sul funzionamento e sullo sviluppo
del cervello umano dovrebbero modificare, considerando l’impatto che la
tecnologia collegata alla ricerca neuro scientifica ha sull’immaginario delle
persone (si vogliono prove tangibili!), dovrebbero modificare il nostro modo di
pensare e di rapportarci con i bambini in considerazione della sofferenza e dei danni che possiamo
arrecare.
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