Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

giovedì 28 gennaio 2021

I nuovi orfani. Minori in sofferenza: aumento di stati depressivi, tentativi suicidali, autolesionismo, abuso di alcool, condotte a rischio.

 


Serve sempre qualche tragico fatto per riportare alla consapevolezza e al senso di responsabilità nei confronti dei bambini e degli adolescenti. Potremmo definirli “orfani”: orfani di tutela, di protezione, di sostegno autentico, di cura amorevole. Perché avere cura significa avere a cuore il bene degli altri. E’ stata necessaria una pandemia per renderci conto di un sommerso di sofferenza dei  minori che si preferisce non vedere perché se si vede poi bisogna mettersi in discussione e fare autocritica. Tutti: genitori ed educatori.

Stati depressivi, tentativi suicidali, abuso di alcool, autolesionismo, condotte a rischio  sono fortemente diffusi tra i ragazzi e soprattutto tra gli adolescenti e nell’ultimo anno sono sensibilmente aumentati. Sintomo di una sofferenza, di una difficoltà a muoversi nella vita che non viene a galla, che non viene “detta” perché non c’è ascolto. E poi l’adolescente  non parla perché  troppo forte è il bisogno, fisiologico per quell’età, di mostrarsi all’altezza delle situazioni, di essere forte ed invincibile, di non aver bisogno. Fin quando qualcosa sfugge di mano e allora si apre la voragine del dolore e della gtragedia. Le famiglie sono indaffarate, vanno di fretta e sono stressate. Offrono molte cose ai loro figli ma non tempo e presenza. Ormai una vasta ricerca in neuroscienze e psicologia ci informa che dove c’è stress non ci sono cura ed attenzione per gli altri. Anche i ritagli di tempo che si trascorrono insieme, in famiglia, non lasciano posto a reali relazioni: ci si riunisce intorno ad un tavolo ma ognuno in simbiosi con il proprio cellulare. Come si fa a vietare ai figli l’uso del telefonino se sono essi stessi, i genitori, ad abusarne. E poi come si fa a negare ad un figlio il telefonino? Ce l’hanno tutti! E’ inutile ricordare che bravi genitori sono quelli che sanno dire anche rigorosi “no”.

E la stessa scuola, che mai come durante la pandemia ha mostrato la sua indispensabilità e centralità nella vita dei ragazzi, affogata nel mare delle incombenze burocratiche, non riesce ad appassionare, a suscitare interesse, curiosità. Basti leggere i dati dell’Ocse sul livello di formazione e delle conoscenze dei nostri ragazzi. Con la pandemia e  con l’isolamento è venuto a mancare quel “cuscinetto sociale” che la scuola, nonostante le inefficienze, continua a costituire per i ragazzi: occasione di crescita, di confronto con i pari, palestra relazionale in cui misurarsi ed esercitarsi per le prove e le sfide della vita adulta. La riduzione delle relazioni umane dirette ha intensificato l’uso dei telefonini, computer e social, che, va detto, hanno anche avuto una loro funzione positiva: hanno offerto ad esempio la didattica a distanza. Ma hanno anche aumentato la dipendenza. Di fatto questi congegni, che sono diventati quasi un prolungamento del nostro corpo (ci sentiamo persi se dimentichiamo il telefonino o se il computer va in tilt), hanno un forte potere in quanto uilizzano meccanismi  cerebrali e mentali che sono i medesimi coinvolti in altre forme di dipendenza psicopatologica (tossicodipendenza, acquisto compulsivo, ecc.): i meccanismi della ricompensa o reward  legati al neurormone dopamina che provvede la sensazione di piacere. Soprattutto il cellulare (i cui effetti pericolosi non vengono mai abbastanza sottolineati perché di fatto è uno strumento utile) offre un contatto costante, tutto sommato facile, che si può avere in ogni momento, e quindi la sensazione (illusoria) di avere moltissimi amici e di essere “sulla piazza” cioè non “ignorato” che è forse la cosa che si teme di più. I like poi ti fanno sentire okay, accettato, ti danno la sensazione di avere valore. Si può lottare contro tutto ciò? Penso proprio di sì anche se non è facile. Esistono, tra l’altro, moltissime tecniche di disabituazione che possono essere applicate  collettivamente a bambini e ragazzi anche a scuola. Ma bisogna volerlo e volerlo congiuntamente Scuola e famiglia.

Colpisce la testimonianza del padre della piccola Antonella: la bimba avere tre pagine facebook che lui lasciava tranquillamente utilizzare convinto che vedesse i balletti. Colpisce ancora di più l’altra tragedia consumatasi a Bari quella di un bimbo di nove anni trovato impiccato a pochi giorni dalla morte di Antonella. Ora si parla di voler  oscurare le piattaforme,  di voler regolamentare in modo più rigoroso l’accesso dei minori, cosa che si “deve” fare. Ma qui siamo già alla fase finale del processo dannoso. Il danno incomincia già molto prima: nell’incuria, nella disattenzione, nell’ assenza degli adulti.  E’ impensabile che dopo la tragedia di Palermo i genitori, tutti, non siano entrati in allarme, non si siano interrogati, non si siano messi in ascolto. Forse la tragedia di Bari poteva essere evitata. Il punto è che la nostra mente evoluta di Homo Sapiens ci fa ritenere che il male, la tragedia, il dolore toccherà sempre agli altri ma non a noi.

Maria Felice Pacitto 

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