Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

lunedì 8 febbraio 2016

Le statue velate, : na cattiva interpretazione del rispetto delle differenze.




Tra reticenze e scaricabarile continuano l’indagine e le polemiche sulla responsabilità delle statue coperte. Su questo si è detto molto e non mi interessa approfondire.  Piuttosto  vorrei soffermarmi su quello che quest’operazione, folle,  ha comportato in termini di identità culturale e non  solo italiana ma dell’intero  Occidente(diversamente non avrebbe destato tanto scalpore sulla stampa internazionale), e di altre questioni, chiunque ne sia stato il responsabile. E’ evidente che al di sotto di tale fatto v’è una male-inteso concetto di quello che significano identità nazionale e culturale, rapporto con le altre culture, con le diversità e differenze,e, ovviamente, cosa significhino  integrazione e  assimilazione. Si è parlato di eccesso di zelo, di svista superficiale : ancora una volta il carattere superficiale della italianità! Un fatto sicuramente ingiustificabile ma, forse, spiegabile alla luce del clima ansiogeno, timoroso che si è venuto a verificare dopo gli attentati terroristici dello scorso anno. Ma è proprio in questi frangenti che bisogna essere razionali (esercitare il frontale!),  valutare e calibrare ogni mossa, anche quella più banale. E sicuramente non sono il timore e la sudditanza che dobbiamo mostrare in questo momento. Ma spostiamoci sul  tema di fondo, fondamentalmente eluso  nella sua complessità e, dunque, destinato a rimanere  irrisolto:  quello della migrazione (problema centrale per i prossimi decenni)e  ad esso connesso quello dell’integrazione.  Che cosa significa  integrazione? È un termine ambiguo e contiguo a quello di assimilazione.  Termini  sfumanti l’uno nell’altro. Un malinteso rispetto per l’alterità porta a privilegiare il termine integrazione, termine   che si muove all’interno di una popolarità: acquisire le norme  della cultura ospite e, nello stesso tempo, mantenere le proprie identità e differenza. Composizione difficile se non impossibile per il semplice fatto che le norme di una determinata cultura non sono mai solo semplicemente tali ma sono molto altro: valori, costumi, sistemi di credenze. L’attuale esodo migratorio viene spesso paragonato all’esodo del popolo ebreo in Occidente. Ma nulla di più diverso. Gli Ebrei che si stanziarono in Occidente volevano assimilarsi e di fatto lo fecero: diventarono  tedeschi, francesi, italiani, ecc. ma  nell’interiorità rimanevano ebrei. Un processo di assimilazione che per molti fu anche conflittuale  e drammatico. Quella ebraicità,  che Sigmund Freud cercò di definire, non impedì l’assimilazione alla cultura europea.  Connubio, ebraicità ecultura mitteleuropea, che dette luogo alle prodigiose  e più innovative espressioni culturali del’900. Non si spiegherebbe diversamente la proliferazione dei grandi scienziati, letterati,filosofi ed artisti del novecento: da Freud ad Einstein, da Zweig a Man, a Husserl, a Jaspers, Schonberg ecc. Hannah Arendt, allieva  del nazista Heidegger,  era ebrea  ma del tutto integrata nella cultura europea:  si accorse (quasi) della sua ebraicità solo quando, con l’avvento di Hitler, la permanenza in Germania era diventata pericolosa. Ora, i migranti che arrivano da noi non vogliono assimilarsi o integrarsi per usare un termine politically correct. O forse, c’è da chiedersi: “Esiste una specificità “islamica” che impedisce l’integrazione?”. Tema difficile e spinoso. Con  l’episodio delle statue siamo andati nel senso opposto:  siamo stati noi ed assimilarci agli altri perdendo identità e specificità, e creando, se vogliamo essere logici, una contraddizione di fondo: come si fa a parlare di integrazione  in qualcosa che ha perso la sua identità e cioè in un nulla? Ha ragione la Merkel che  non ha chiuso le frontiere dopo i fatti di Colonia,  ma ha reso imprescindibile e severa  l’integrazione. È evidente come in Italia sia mancato   un serio dibattito sui temi dell’integrazione e dell’assimilazione, parole abusate e utilizzate nel più “autentico buonismo italico” dai politici, della gente comune, dagli operatori e associazioni che si occupano dei migranti. Forse fa comodo baipassare la complessità del problema e fa comodo soprattutto a quelli che dell’emigrazione hanno  fatto un business?  


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