L’etimologia del termine vacanza rimanda ad una condizione
di assenza di lavoro, senza vincoli utilitaristici, caratterizzata da benessere
e piacere fine se stessi. L’estate è per
essenza il tempo di vacanza per il semplice fatto che essa rimanda al godimento, alla sospensione degli obblighi, dei pensieri e degli affanni.
E quale stagione della vita è connotata da tali caratteristiche se non la giovinezza
cui l’estate simbolicamente rimanda? E’
per questo che in estate talora si ridiventa un po’ adolescenti e si
folleggia. Si immaginano avventure,
incontri determinanti per la vita, cambiamenti e soprattutto piacere e
godimento Ma per i più l’importante è “staccare la spina e mollare”. Perciò le vacanze e la loro organizzazione
diventano l’evento centrale e agognato dell’intero anno. Ma non per tutti. Molti
anni fa, uno dei grandi della
psicoterapia ,Michael Balint, in un testo all’epoca famoso e fondamentale (The Basic Fault,) distinse due
caratteristiche di comportamento: l’ ocnofilia e il filobatismo. La prima è
tipica di chi tende a stringere forti legami di dipendenza dalle figure
significative, legami che si estendono anche alla professione, ai luoghi, al paese di abitazione. La
seconda
caratteristica appartiene, invece, a quelli che provano piacere nelle
situazioni brivido, avventurose e che tendono ad instaurare relazioni
improntate a distanza e ad autonomia. E’ evidente che l’ocnofilo in vacanza non
andrà mai (al solo pensiero va in ansia!) contento e sereno della ripetitività dell’esistenza, magari un
po’ noiosa ma così priva di affann i e di incertezze! Il filobate, invece, è il
vacanziero nato. Ma le cose non sono semplici per lui.La dittatura del
divertimento (a tutti i costi) e della felicità organizzata nonché
l’agonismo, tratto specifico della
nostra epoca ( anche la vacanza
è una gara e diventa indicatore di
status e successo sociale), che pervade anche quello che dovrebbe essere per
definizione sciolto da qualsiasi obbligo, cioè il piacere, fanno della vacanza
una nuova fatica. A facilitare le cose lo psicologo di turno recita: “Per fare
una buona vacanza occorre conoscere i propri bisogni (quelli genuini e non
quelli indotti) e le proprie motivazioni.” Ma sta di fatto che pochi sanno
ascoltarsi e i più non riescono a resistere alle offerte e alle mode del
momento per ritornare poi, a fine vacanza, più insoddisfatti e stanchi di
prima. E’ per questo che secondo Alain De Botton (così
veniva citato nel Corriere della Sera di giovedì scorso)dovrebbero esistere
delle “agenzie di viaggio psicoterapeutiche” che ci aiutino a capire appunto di
che cosa abbiamo bisogno e che cosa
cerchiamo nella vacanza estiva e scegliere di conseguenza .Ma, noi che
pratichiamo una psicologia non ingenua sappiamo che” vacanza può essere un po’
tutti i giorni” se non ci lasciamo travolgere dai troppi affari ed impegni, se
recuperiamo il piacere delle pause (“l’intervallo perduto!”), se impariamo a concederci giornalmente quella dimensione di gioco che è
fonte di benessere e vitalità e a prenderci,
di conseguenza, cura di noi. Sappiamo anche che l’unico vero, ormai
incoffessabile bisogno di fondo (contrabbandato dalla parole ricerca di relax e
liberazione dallo stress), è quello di trovare, diciamolo, un po’ di felicità.
V’è, dunque, un’eccedenza dell’aspettativa riposta nella vacanza che non può trovare soddisfazione! Ed è per questo che
si rimane delusi anche se pochi sono disposti ad ammetterlo. Ritornare felici e
soddisfatti e raccontare mirabilia è un altro imperativo che la società ci
impone. Ma la verità è anche un'altra : il piacere è nell’attesa, così insegna il
Poeta . Il bello della vacanza è tutto nel desiderio, nei preparativi, in
cui sogniamo chissà quale
benessere,quali incontri, quale cambiamento e trasformazione potranno
verificarsi. E la vacanza immaginata procura piaceri di gran lunga maggiori di
quella reale.
Noi, disincantati, godiamo di una tranquilla, un po’
noiosa e salutare vacanza gianolense,
allietata qualche sera dalla presenza di quei quattro cinque amici
stimabili e amabili: di più non
riusciremmo a contarne, in pieno accordo con quanto ci avvisa Dunbar* che di
numeri se ne intende!
*Dunbar, antropologo, ha stimato che l’essere umano non può
mantenere più di 150 contatti stabili (dato che dovrebbe far riflettere chi
vanta centinaia di amici su face book) e che non possiamo avere più di cinque
relazioni amicali significative. Ma di questo ci eravamo già accorte!
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