Cassino 29, 30, settembre, 1 ottobre
30 settembre Caffé Scientifico ore 19 e 30
presso
Caffé Reale
CIBO E CERVELLO: L’ALIMENTAZIONE PER IL BENESSERE INDIVIDUALE GLOBALE E
SOSTENIBILE
Direttore del Centro
studi sulla storia del pensiero biomedico
Università di Milano
Bicocca
Un crescente interesse nello
studio dei rapporti tra comportamenti alimentari e meccanismi cerebrali ha
permesso, in questi ultimi anni, di comprendere le motivazioni che sono alla
base delle nostre scelte dietetiche. Perché preferiamo i cibi dolci a quelli
amari? Cosa ci spinge ad assumere più calorie di quelle necessarie al nostro
fabbisogno giornaliero, facendosi così inevitabilmente aumentare di peso? Per
quale ragione talvolta sentiamo un compulsivo bisogno di mangiare oppure
viceversa siamo indotti a rifiutare di alimentarci?
Mangiamo per fame, ma anche per piacere.
Per socializzare, ma anche per consolarci quando siamo stressati o arrabbiati. L’analisi
delle dinamiche che nascono dall’interazione tra cibo e cervello spiegano anche
le preferenze gastronomiche, le abitudini dietetiche e le culture alimentari tipiche
di ogni popolo. Una nuova scienza, la neurogastronomia,
apre oggi nuove prospettive di ricerca e di comprensione in ambito
nutrizionistico e medico. Una nuova dimensione cognitiva, il mindfull eating
(mangiare consapevole) può rappresentare una soluzione tra le privazioni
alimentari basate sulla forza di volontà e il cedere alle cattive abitudini per
il cibo che minano la nostra salute individuale e non rispondono alla crescente
esigenza di sostenibilità alimentare globale.
Il nostro cervello è programmato
per mantenere un peso corporeo equilibrato, segnalando quando mangiare e quando
smettere di farlo. Tuttavia i cibi dolci
Le zone cerebrali coinvolte
nell’assunzione del cibo e nei processi che lo modulano, promuovendolo
attraverso meccanismi di gratificazione o sopprimendolo provocando disgusto,
sono fondamentalmente tre: l’ipotalamo, la corteccia prefrontale mediana, il
sistema libico. A livello neuronale
la regolazione dei comportamenti nutrizionali è demandata a due tipi di cellule
dell’ipotalamo: neuroni che promuovo l’assunzione di cibo (e l’incremento di
peso) e neuroni che innescano la
soppressione dell’appetito (e la perdita di peso).
Si è scoperto che il digiuno crea
un aumento delle spine dendritiche del primo tipo di neuroni inducendo
l’assunzione di cibo. Se invece la dieta è ipercalorica, ricca di grassi e di
dolci, nascono addirittura dentro l’ipotalamo nuovi neuroni, determinando così
un circolo vizioso: più si mangia e più sentiamo di avere fame. E’ la base
neurobiologica dell’obesità. Se viceversa l’organismo assume pochi alimenti, i
neuroni ipotalamici innescano un processo di autofagia compensatoria. Quando
non mangiamo, la fame induce alcuni neuroni del cervello a divorare pezzi di se
stessi. Questo meccanismo costituisce un potente segnale di fame che spinge a
mangiare e rappresenta un sistema utile per fornire energia nei momenti di
carenza alimentare. Se tale processo però dura a lungo può indurre alterazioni
permanenti delle reti neuronali e l’alimentazione non torna più nella norma.
Così un soggetto può diventare anoressico.
La neurogastronomia rivela come
l’assunzione di cibo influenza la plasticità neuronale rimodellando le reti
cerebrali e come questi cambiamenti, se diventano stabili, a loro volta
incidono profondamente sulle abitudini alimentari. Accanto a questi fini
meccanismi, un ruolo non meno importante sul cervello è svolto da messaggeri
chimici come ormoni e neuromediatori.
Nell’ambito di un’alimentazione normale alcuni ormoni
segnalano l’inizio e la fine del pasto. Gli ormoni della fame originanti
dall’intestino allertano i circuiti dell’alimentazione nell’ipotalamo e
stimolano i centri della ricompensa, quali l’area segmentale ventrale e lo
striato, che aumentano il piacere associato al mangiare. Con il riempirsi dello
stomaco e dell’intestino e la crescita del livello di nutrienti nel sangue,
nell’ipotalamo e nei centri della ricompensa vengono liberati altri ormoni che
sopprimono l’appetito e inibiscono il piacere rendendo il cibo meno
desiderabile.
Nell’iperalimentazione è la rete della ricompensa a prendere il comando.
I cibi grassi e zuccherini inducono lo striato a produrre endorfine, le sostane
cerebrali del benessere, e a rilasciare due specifici neurotrasmettitori,
serotonina e dopamina, verso la corteccia prefrontale, l’area responsabile
delle decisioni. In alcune persone queste azioni nella rete cerebrale della
ricompensa causano obesità, prevalendo sui segnali ormonali che interrompono
l’assunzione di cibo quando si è sazi. Ciò crea una forte motivazione per
continuare a mangiare cibi con molte calorie nonostante vi sia la consapevolezza
delle gravi conseguenze che ciò determina sulla salute.
Il dinamico mondo della culinaria
ha già iniziato a trarre spunto da queste nuove conoscenze per adeguare le sue
preparazioni gastronomiche – sempre nella prospettiva del buon cibo – al
perseguimento di una sana ed equilibrata alimentazione. Cibo, cervello, salute
individuale e sostenibilità globale sono i cardini di una dinamica dimensione
interattiva inerente all’alimentazione in grado di realizzare, se ben
indirizzata, strategie dietetiche consapevoli e consolidate, capaci di
coniugare armonicamente gusto e piacere con benessere e salute, sostenibilità
alimentare con fruizione dei sapori.
L’antropologia culinaria del
“convivio” (da cum vivere, “vivere con”, un’espressione che sul piano esistenziale
rimanda alla convivenza familiare e sociale attraverso la partecipazione
quotidiana del cibo che, attorno a una tavola imbandita, si fa con gli altri,
congiunti e/o amici) ricorda come la condivisione di alimenti e bevande diventa
strumento di relazione sociale oltre che elementi di sussistenza biologica. La neuroetica
gastronomica suggerisce l’ineluttabile necessità odierna di prestare attenzione
alla scelta di ciò che mangiamo (per una sostenibilità alimentare globale ormai
indispensabile) e di imparare a prestare attenzione al modo con cui assumiamo i
nutrienti (usare il mindfull eating per un maggiore benessere
individuale, per superare alcuni disordini alimentari anche se alcuni eccessi
hanno ragioni fisiologiche) in modo di avere sempre più un rapporto consapevole
e sereno con il cibo.
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