Relazione e
linguaggioDicevo che noi siamo esseri relazionali e lo strumento della
relazione è il linguaggio, che si sviluppa secondo vari stadi. Il primo è quello del linguaggio espressivo del
volto che aiuta a comunicare primariamente con
la madre:il bambino già alla nascita
riconosce i volti, il suo cervello è programmato a farlo.( Quaranta anni fa si
riteneva che il bambino alla nascita non vedesse!)Il fatto che noi siamo dotati
di un linguaggio corporeo già alla nascita è il primo elemento a favore dell’insegnamento
della LIS . Noi siamo spontaneamente bilingui: dotati di linguaggio corporeo e
di quello verbale. Questa capacità di linguaggio corporeo rimane sempre una nostra tipologia di
comunicazione ma a livello implicito (il 90% della comunicazione di noi adulti avviene a livello
implicito) perché, progressivamente, viene sostituita dal linguaggio verbale, specifico dell’essere umano,e che
raggiunge il più alto livello di complessificazione comunicativa(noi possiamo
produrre una serie infinita di enunciati)(L’Homo Sapiens è riuscito a
sviluppare la sua civiltà proprio grazie alla complessità del linguaggio
parlato che facilitava sia la trasmissione delle acquisizioni sia la
cooperazione).Il linguaggio è la più
grande conquista del processo evolutivo della specie umana. Gli scambi gestuali
ed espressivi madre-bimbo, uniti agli scambi vocali ( in quel processo ritmato
che va sotto il nome di “sintonizzazione affettiva”) non hanno solo un
significato comunicativo ma servono anche a costruire un primo codice simbolico
di tipo emotivo (piacevole/spiacevole, appetibile /non appetibile,
buono/cattivo, ecc…) che è un precursore
del linguaggio più complesso, articolato verbalmente che incomincia a svilupparsi più chiaramente
intorno ai 12 mesi . Ed è in questo modo (attraverso una “ relazione
d’attaccamento” sicura, stabile, con la
madre) che si costruisce la mente con l’insieme dei suoi processi più complessi
(“mentalizzazione” o “capacità riflessiva”).
La
mente si sviluppa grazie ai processi di
comunicazione e, quindi, il bambino che non comunica, che non usa o non padroneggia
un linguaggio, non perde solo il linguaggio ma molto altro ancora.
Basi biologiche del
linguaggio.Noi abbiamo una predisposizione biologica al linguaggio. Di
questo si era già accorto Charles Darwin. Poi la teoria innatista di Chomsky.
Noi nasciamo con la predisposizione innata al linguaggio che si sviluppa grazie
allo stimolo linguistico offertoci dai parlanti e che ci arriva attraverso
l’udito. Tutte le lingue condividono le medesime strutture sintattiche e
morfologiche che le accomunano, dette “universali linguistici”. Esiste una
Grammatica Universale che ci dà la possibilità di elaborare nuovi enunciati. Il linguaggio con
le sue caratteristiche grammatologiche e sintattiche è acquisito intorno ai
quattro- cinque anni (frasi lunghe, articolo, aggettivi, ecc..) . V’è una variabilità nei tempi
dell’acquisizione a seconda dell’ambiente di vita più o meno stimolante. La
nostra capacità linguistica risiede nel nostro cervello. Le aeree responsabili
del linguaggio sono l’area di Broca e l’area di WerniKe che si trovano nell’emisfero
sinistro. Si tratta di aeree altamente specializzate. Ci sono moltissime
connessioni tra le aree del linguaggio.Danni all’area di Broca determinano più una compromissione della
produzione del linguaggio che della comprensione. Il soggetto può capire il
linguaggio ma non parlare fluentemente.Danni dell’area di Wernike determinano
una maggiore compromissionedella comprensione. In questo caso il soggetto può
essere fluente ma non si rende conto delle cose senza senso che dice. E’
interessante vedere come soggetti non udenti colpiti dall’afasia di Broca
presentano mancanze sintattiche nel linguaggio e compromissione della
comprensione non solo del linguaggio orale ma anche del linguaggio dei segni. Hanno
difficoltà a creare le forme giuste con le mani come se “balbettassero con le
mani”. Anche se il linguaggio mimico-gestuale utilizza canali sensoriali
diversi da quelli della lingua orale, la sua elaborazione avviene nelle stesse
aeree cerebrali. (Sappiamo anche che l’emisfero destro contribuisce all’elaborazione
del linguaggi mimico-gestuale) E questo è molto significativo: significa che il
linguaggio dei segni è una lingua a tutti gli effetti. La Lis è una vera e
propria lingua perché possiede le caratteristiche comuni a tutte le lingue:
iconicità, sintassi, ecc.
Il mondo dei non udenti è un mondo diversificato ed
eterogeneo: diversi tipi di deficit
uditivi e diverse tipologie di cause. Ci sono sordi figli di udenti e sordi
figli di sordi. Questi ultimi sono quelli che acquisiscono spontaneamente la
lingua dei segni come lingua madre. I figli di udenti sono la maggioranza e
vogliono somigliare il più possibile ai cosiddetti normali. Questo
atteggiamento varia a seconda della reazione della famiglia al deficit uditivo
del figlio. Sono questi che, generalmente, rifiutano l’apprendimento della Lis.
Sembrerebbe invece che dove viene applicato il bilinguismo (Lis e lingua
italiana) v’è una ricaduta positiva nel senso di una facilitazione
dell’apprendimento della lingua italiana e questo perché la Lis stimola le
medesime aree di apprendimento della lingua italiana.
Plasticità neuronale. L’unità di base di
funzionamento del cer vello è la sinapsi che è la connessione tra due cellule
nervose . Le sinapsi si sviluppano in funzione della stimolazione sia esterna (stimoli
ambientali) che interna (anche un’attività di riflessione stimola la formazione
di sinapsi) Il massimo della crescita funzionale e, quindi, sinaptica del
cervello si ha fino alla preadolescenza.Si ritiene generalmente che esista un
periodo critico(si attesterebbe intorno ai 7 anni) per l’acquisizione del
linguaggio dopo del quale non c’è più la possibilità di acquisizione del
linguaggio come lingua madre in modo naturale e spontaneo . Dopo la pubertà
quando l’organizzazione del cervello risulta completata, diminuisce la
flessibilità per acquisire la lingua come una lingua madre.(Ci sono casi ormai
diventati letteratura: il bambino –lupo di Itard e Genie ,la ragazza trovata a
los Angeles in condizioni di deprivazione estrema). Dopo che il cervello è
stato per molto tempo senza stimolazioni e dopo anni di mancato contatto con la
lingua non riesce più ad apprenderla in
modo significativo. Il che ci dice quanto sia importante intervenire subito
nella diagnosi e nella riabilitazione del non udente. Ma la ricerca, nel campo delle neuroscienze, ha
sottolineato due elementi importanti: innanzi tutto la plasticità neuronale. Il
nostro cervello, anche se ha subito delle lesioni, può riorganizzarsi grazie alle stimolazioni
ambientali perché può stabilire nuove sinapsi che possono baipassare la zona
danneggiata oppure possono intervenire altre zone del cervello in
funzione sostitutiva. Le scoperte degli ultimi dieci anni hanno mitigato molti limiti riscontrati dalla
neuropsicologia del passato. Ha rimesso in discussione la teoria dell’esistenza
di periodi critici fissi nella prima infanzia, durante i quali l’esperienza
sensoriale sarebbe cruciale per il normale sviluppo. Come, pure, ha rimesso in
discussione la vecchia visione
dell’organizzazione funzionale del cervello come basata sui diversi input di
tipo sensoriale (secondo cui la corteccia è divisa in aree di elaborazione
visiva, aree uditive ecc…) Le ultime scoperte mostrano come molte aeree del
cervello sono, sì, caratterizzate dal compito specifico che eseguono ma possono
essere attivate utilizzando sensi diversi da quelli comunemente utilizzati per
attivare questa attività. E questa è la seconda
cosa importante che le
neuroscienze ci hanno insegnato cioè che il cervello funziona come un unico grosso
organismo: il cervello è una macchina i cui compiti sono indipendenti dai sensi
specifici. Pertanto si possono recuperare delle funzionalità che si ritenevano
perse. Teniamo presente che quello dell’udito è un processo percettivo molto
complesso. Come delle onde che producono vibrazioni possano tradursi in
messaggi linguistici cioè in qualcosa dotato di significato non trova ancora
una spiegazione esaustiva.E comunque tutto è in divenire: nei prossimi anni la
ricerca neuro scientifica ci riserverà molte sorprese.
L’ importanza della
supervisione nell’ambito della complessa rete di relazioni che si instaura
nella scuola. .Il principale fattore di stimolazione cerebrale è una
relazione umana che sia ovviamente positiva. Una buona relazione cambia la
chimica cerebrale e cioè agisce sui neurotrasmettitori chimici . Ma una buona
relazione perché sia tale ha bisogno di alcune caratteristiche, innanzitutto
l'empatia. Oggi se ne parla molto. La scoperte delle cellule specchio
responsabili dell’empatia è sicuramente la scoperta scientifica più conosciuta.
Che cos’è l’empatia?E’la capacità di
entrare in risonanza le emozioni dell’altro, di comprendere le sue
intenzioni, di muoversi quasi con il suo
passo. Ora una buona relazione empatica è
al centro delle pratiche di integrazione ed inserimento del non udente (ma anche di
qualsiasi altro soggetto) nella scuola normale.
Nella realtà dell'universo relazionale, la figura materna
gioca un ruolo essenziale e tanto più in una relazione segnata da un deficit,
qualunque esso sia. Una relazione
segnata da una serie di dinamiche materne che variano, anche, a seconda della
tipologia e dell'origine del deficit uditivo: spesso un determinato deficit
sensoriale viene a confermare quelle “angosce genetiche” che hanno
caratterizzato gli ultimi mesi di gravidanza. Spesso la relazione che la madre instaura con il bambino è
esclusiva ed escludente, iperprotettiva.
La scuola entra come un terzo in questa relazione e viene a costituire
una “triade” che non è esente da rischi, rotture, insuccessi. Spesso l'ambiente
scolastico, in cui il bambino viene inserito, è percepito come non
sufficientemente protettivo e quindi generatore di ansia per la madre. L'inserimento di un bambino che presenta un
qualsiasi tipo di deficit sensoriale, o problema di altro genere, implica,
dunque, sempre la presa in carico della famiglia e in modo particolare della
madre.
Ma dinamiche profonde segnano anche la relazione del docente
di sostegno e dei docenti curriculari con il bambino.
La psicoanalisi ci ha insegnato che qualsiasi relazione si
svolge sempre su due piani: un piano cosciente- manifesto ed un piano inconscio
più profondo (esistono implicazioni
emotive inconsce di tipo identificatorio, aggressivo, fusionale). Molti
fallimenti di riabilitazione, di
inserimento si verificano proprio perché non si tiene conto di questo secondo
piano sommerso della relazione. Una situazione complessa perché abbiamo da un lato il bambino
e la madre,dall’altro il docente di
sostegno, i docenti curriculari, i compagni.Si tratta di una triade molto calda
che ha bisogno di una supervisione .E questo il piano in cui lo psicologo con
formazione psicodinamica può essere più utile. Anche se questa, bisogna dirlo,
è la cosa che si richiede di meno. Ed invece è fondamentale. Manca una cultura
psicopedagogica orientata in questo senso. E questo è un aspetto molto
trascurato nella presa in carico di un
bambino portatore di un deficit. E’
evidente che nessuna relazione umana è mai neutra, è evidente che nessuna
somministrazione di un insegnamento è solo semplicemente un fatto tecnico ma è
sempre, anche ,la somministrazione di una relazione all'interno della quale si
verificano emozioni, reazioni, coinvolgimenti che vanno analizzati e gestiti da
ambo le parti e, quindi, va gestita anche la reattività controtransferale
dell'educatore nei confronti del bambino ma anche nei confronti della madre.
Esiste non solo il bambino reale ma anche il bambino fantasmatico portatore di
dinamiche inconsapevoli circolanti nella triade (il bambino protetto, il
bambino sminuito, il bambino esaltato,ecc…),
un bambino che influenza e condiziona le relazioni con gli adulti e quelle fra
loro. Una analisi delle relazioni controtransferali del docente nei confronti del bambino può
evidenziare delle tendenze sostitutive quando il legame con il bambino arriva
ad assumere una valenza che si contrappone al legame con le figure materne. E
non meno delicato è il rapporto tra scuola
e psicologo -supervisore, rapporto che potrebbe ingenerare ambiguità,
fraintendimenti ed errori. Lo psicologo non è un tecnico dell'educazione e
quindi non suggerisce il da farsi ma
sostiene l'educazione e sostiene fondamentalmente il complesso mondo
relazionale in modo da aiutare il bambino a modulare il suo rapporto con
l'ambiente, i compagni, i docenti e in modo che la madre sia aiutata a trovare
le modalità migliori per interagire con il proprio figlio e con i docenti.
Generalmente con un
bambino portatore di un deficit si stila un piano educativo che implica un
piano di lavoro e di programmazione fatto di obiettivi da raggiungere, della
esplicitazione degli strumenti essenziali dell'intervento del docente. Il piano
di lavoro con il resoconto-narrazione dell’attività svolta è uno strumento
valido per il ripensamento critico da parte del docente del suo rapporto con il
bambino. Il resoconto-narrazione è utile anche per la supervisione. Ma, oltre lo strumento della narrazione (il
resoconto), può essere inserita la videoregistrazione e la tecnica della VMT (video microanalisi)
che porta il contributo di una testimonianza fotografica simile
all'osservazione diretta, che può essere integrativa o addirittura alternativa
al resoconto verbale. La videoregistrazione
è uno strumento estremamente duttile estremamente importante perché può farci
vedere tutta una serie di movimenti e transazioni comunicative corporee micro
che si svolgono generalmente al di fuori della consapevolezza.
La triade madre-
docente- bambino, che funzioni da un punto di vista relazionale, costituisce un
elemento fondamentale della riabilitazione e dell’inserimento.
Per finire: mi piace pensare la Scuola (In tutta la varietà
e complessità delle sue figure)come una madre sicura, cioè una base sicura da
cui potersi allontanare ma a cui ritornare allo stesso modo in cui una madre
fornisce una casa- base per l'esplorazione del mondo da parte del bambino.
Maria Felice Pacitto- Psicologa, psicoterapeuta, membro
della Società Italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze, direttrice
del “Centro di Psicologia Umanistica e Analisi Fenomenologico-Esistenziale”.
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