Sarah Songhorian (Università Vita e Salute- San Raffaele di
Milano).”Empatia: mito e realtà di
un’emozione chiave”. Come si valuta l’empatia? E’ consapevole o
inconsapevole? E’ necessaria per attivare il comportamento morale? E, allora,
chi ne è privo, come si suppone nei soggetti autistici, non è capace di
moralità? E non è forse vero che soggetti psicopatici sono capaci di empatia
(abilità che utilizzano per fare il male). O non è forse la simpatia (così come
è stata teorizzata filosoficamente e psicologicamente) che ci interessa di più
da un punto di vista della morale? Queste le domande poste dalla dott.ssa
Songhorian, che ha problematizzato da un punto di vista filosofico ed
epistemologico ma sempre in connessione con la ricerca scientifica.
Non c’è una
definizione univoca di dell’empatia. Esiste una molteplicità di definizioni a
seconda dell’ambito e del taglio applicativo delle ricerche. Fondamentalmente
esistono tre macro aree cui si applica l’empatia.
All’interno della prima empatia è definita come la capacità
di cogliere gli stati mentali altrui (l’empatia è uno strumento di prima mano
per comprendere gli altri). Nella seconda si vuole cogliere la connessione tra
empatia e moralità e la domanda che ci si pone è se l’empatia sia necessaria e
sufficiente per il comportamento morale. Nella terza area ci si chiede come gli
esseri umani si mettano in relazione con le opere d’arte: può dipendere dall’ empatia del soggetto con
il quadro, con l’autore o dalle qualità del quadro stesso (forma , colori,ecc..).
Esiste una definìzione
di empatia legata alla psicologia del senso comune (PSC): è piuttosto ampia ed
implica nozioni come comportamento d’aiuto, senso di colpa, teoria della mente
(mettersi nella mente degli altri). La definizione di empatia secondo la PSC
pone una serie di problemi. Ad esempio c’è da chiedersi se è
proprio vero che quando condivido lo stato emotivo dell’altro io, di conseguenza,
sia portato ad aiutare quella persona. Secondo il concetto di empatia che
comporta l’aiuto è evidente che le due cose si identificano. Il che porterebbe
a pensare che ogni volta che io sia stata coinvolta in una relazione d’aiuto io sia stata empatica. Ma ovviamente non è
così perché avrei potuto aiutare qualcuno per motivi diversi, magari anche solo
per motivi personali egoistici. Non si può, dunque, valutare l’empatia sulla
base del comportamento: non c’è relazione biunivoca tra empatia e comportamento
morale. Neanche il report a- posteriori del soggetto ci dà certezze in merito,
certezze che potrebbero, invece, esserci date da una risonanza magnetica
funzionale che andasse a verificare l’attivazione dei circuiti neuronali
coinvolti nel comportamento empatico. Rispetto ad un aiuto dato per motivi
egoistici, l’aiuto empatico ha qualcosa in più ma richiede la conferma dell’altro
che ci sia stata empatia. La nostra capacità empatica non è così trasparente: è
ovvio che se vado da uno psicoterapeuta io fondamentalmente mi aspetto empatia ma nel
quotidiano è diverso.
L’empatia è condizione di possibilità della simpatia ma si
pone su un piano descrittivo amorale. Distinguere questi due concetti è
fondamentale per comprendere se e in che misura sia possibile passare dalla
descrizione alla normazione. Il processo simpatetico si caratterizza come
strumento utile a determinare l’agire e fissare le condizioni di un giudizio
a-posteriori all’azione sia propria sia altrui. Ne deriva un criterio per
giudicare e agire moralmente.
(Questo report è ovviamente parziale e non esaustivo della
ricchezza e complessità della relazione
svolta dalla relatrice. Chi volesse approfondire: Sentire e agire. L'etica della simpatia tra sentimentalismo e razionalismo, Sarah Songhorian,ed Mimesis)
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