Come si può vivere tranquilli in un mondo minacciato dal terrorismo, in un mondo incapace di far fronte alla
complessità dei problemi di un’immigrazione
senza fine (che nessuno aveva previsto) e impotente dinanzi al soggetto di
turno che va fuori controllo (magari il “bravo ragazzo” vicino di casa, forse
un pò problematico) ed uccide, senza
alcuna pietà, innocenti, adulti e bambini, colpevoli solo di essersi trovati proprio
lì, in quel momento ? Ogni epoca produce le sue paure. Negli anni ’60 la paura
del nucleare interrompeva i “bei sogni”
delle persone, il timore cioè che, nonostante l’equilibrio del terrore, una
bomba atomica potesse essere sganciata , sia pure per errore, da una delle due
potenze mondiali. Poi venne la paura delle catastrofi naturali. Oggi la paura
del terrorismo. Paure così emotivamente
pervasive da attivare l’immaginario di registi e produttori. Chi non
ricorda The day after (1983), The deep impact (1998) e
il più recente World trade center
(2006)? Gli stati emotivi non possono essere paragonabili in quanto
soggettivi (cioè unici e irripetibili), ma
è incontestabile che i casi cui le paure “storiche” si riferiscono sono ben
diversi l’uno dall’altro e che, quindi, producano forme e intensità diverse di
emotività. C’è differenza nel pensare ( e dunque nel sentire) ad una
conflagrazione atomica o all’impatto di una cometa con il nostro pianeta (che non lascerebbero scampo a
nessuno )e ad un possibile atto terroristico che potrebbe colpire ognuno di
noi, è vero, ma non è certo. E se è un altro ad essere colpito, è certo che non
siamo noi ad essere colpiti. C’è un margine, egoistico, di speranza! Non c’è
nulla di ineluttabile!(Questo spiega, in parte, la superficialità con cui i
governi hanno affrontato il problema terrorismo che non si risolve, è ovvio,
solo con le misure di sicurezza, ma questo merita ben altro discorso). Il
terrorismo vuole ficcarsi, come un chiodo, nella nostra quotidianità e distruggere la nostra razionalità. Ma a chi
attenta alla nostra razionalità si risponde con la ragione. E allora non
condividiamo il motto di Don abbondio “il coraggio, uno se non ce l’ha non se
lo può dare”. Coraggio viene dal latino
“cor habeo” cioè avere cuore. Coraggioso è chi ha cuore, appunto, chi ha
entusiasmo e va verso il mondo nonostante la naturale paura. Coraggio è un
fatto emotivo ma che appartiene anche alla ragione perché questa offre i buoni
motivi per essere coraggiosi. Coraggiosi infatti, come insegna Aristotele, non
significa essere temerari né eroi. Coraggiosa è la persona normale dotata di
“attenzione” verso le cose, che vive pienamente la vita, nonostante la paura,
senza perdere di vista i le complessità e i problemi emergenti nel nostro mondo
. Coraggioso è chi si scrolla di dosso quella sorta di rassegnazione e
adattamento passivo all’emergenza, al “tanto è sempre uguale, non cambia
nulla!”, misti a sfiducia che sembra
essere diventata la tonalità emotiva più diffusa attualmente. Coraggiosa è la
donna non in carriera che riesce a trasformare il suo piatto vissuto quotidiano che aderendo pienamente ai piccoli
gesti ed atti quotidiani momento per momento. Coraggioso è il politico che accetta i propri doveri e le
proprie responsabilità sostenendosi e radicandosi ai valori fondanti il vivere
collettivo, frutto di secoli di riflessione filosofica e politica. Coraggioso è
chiunque, aiutato da vivacità ed intelligenza, provi a cambiare il buio presente
verso un futuro rischiarato. Coraggioso
è chiunque provi a sostenere la pesantezza del vivere fatta di costrizioni, perdite, dolori e vi
introduca passione e creatività.
Psicologa,Psicoterapeuta,filosofa, istruttrice Mindfulness: alla fonte autentica della Psicologia Umanistica*
Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia
domenica 20 agosto 2017
Il terrorismo colpisce ancora : iL coraggio possiamo e dobbiamo darcelo.
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