Si può valutare la felicità del mondo? E che cos’è la felicità? Domande
cui non è semplice rispondere in considerazione della soggettività dei vissuti
emotivi. Troppo facile cavarsela con un: “felicità è assenza di infelicità”. Possiamo
provare a dire che la felicità è una combinazione di emozioni e sensazioni, uno stato psichico costituito dal piacere dei
sensi (non possiamo essere felici se siamo afflitti da un dolore fisico) e da
uno stato psichico di appagamento del vivere e del fare. (Gli antichi parlavano
di piacere edonico ed eudemonico). Sicuramente felicità non è il semplice
piacere, quello che ci viene offerto, ad esempio, dal sesso o da una vincita al
gratta e vinci. La felicità implica uno stato fisiologico e psichico ben più
complesso e globale. Da un punto di vista neuronale coinvolge, piuttosto che centri e circuiti deputati a quei piaceri che noi
condividiamo con i nostri fratelli animali,
la neocorteccia che è la parte
del cervello che si è evoluta più tardi e che ci consente di attribuire un
valore ed un significato alle nostre esperienze emotive e fisiologiche. La
neocorteccia è alla base dello sviluppo della nostra civiltà, dei nostri prodotti
culturali più nobili, dei nostri valori morali. A differenza che negli animali
che, pure essendo orientati fondamentalmente alla ricerca del piacere e all’evitamento
del dolore, sono, comunque, capaci di comportamenti prosociali, noi, specie evoluta, siamo
particolarmente competenti nel provare
emozioni sociali come la vergogna e il senso di colpa se abbiamo agito male; di
provare empatia nei confronti degli altri e di prendere a cuore le loro sorti.
Il tutto con il vantaggio evoluzionistico del miglioramento della sopravvivenza e della salute della collettività
e del singolo. Noi esseri umani siamo,
dunque, capaci di essere
generosi,tolleranti e, anche, di perdonare. E c’è, così la ricerca ci indica,
una connessione tra il vivere praticando la generosità e l’altruismo e la sopravvivenza.
Sembrerebbe che chi li pratica aumenta il benessere fisico e psichico, aumenta
l’autostima con una diminuizione del dolore e del senso di fatica. Si riducono
anche la produzione di cortisolo e la pressione arteriosa; aumenta, invece, la
serotonina. In sintesi chi pratica l’altruismo diventa felice. Il che spiega, in parte, perché i meccanismi biologici in esso
coinvolti, siano diventati stabili nel corredo biologico degli umani.(
Sembrerebbe, ad esempio, che il donare attivi i circuiti neuronali della
ricompensa, gli stessi che si attivano con il cibo e la sessualità, due potenti
attivatori di dopamina e di sensazioni o
vissuti di benessere e appagamento.)Ma veniamo
alla prima domanda: “Si può misurare il gradiente di felicità del singolo o di
un popolo?”
Ci prova dal 2012 l’Onu con
il World Happiness Report che pubblica i suoi risultati in occasione della Giornata Internazionale
della felicità. Sembrerebbe che l’Italia occupi il quarantottesimo posto nella
graduatoria dei paesi più felici. Ai primi
posti risultano i paesi del Nord: Norvegia Danimarca, Irlanda, Finlandia, Paesi
Bassi, Canada. I criteri in base ai quali si valuta la felicità sono costituiti
da: la cura della persona,la salute, la fiducia reciproca, il reddito, la buona
gestione del paese. L’eccellenza della Norvegia, che è al primo posto, è dovuta
non tanto al reddito, che comunque ha la sua importanza,ma all’onestà, alla
generosità dei singoli e dei governanti e, ovviamente, al buon governo che dà
stabilità e sicurezza economica. Avere un lavoro stabile, infatti, è fonte di
tranquillità e di benessere. E anche avere un lavoro in un paese ad alto indice
di disoccupazione, come accade in Italia, fa vivere una situazione di
precarietà e di malessere .
L’Italia non brilla per il buon governo (adesso poi non
sappiamo come andrà a finire!), ha un alto tasso di disoccupazione, una forte
disparità di reddito tra le persone, una classe politica che ha stipendi di
gran lunga più sostanziosi rispetto a quelli di cui godono i politici in altri
paesi , corrotta e disonesta. E gli italiani (politici e non) da sempre sono caratterizzati dal vizio della raccomandazione,
dell’”aiutino”, del privilegio, che fanno parte del nostro Dna rendendoci, a
differenza dei cittadini di altre nazioni, culturalmente tribali cioè vincolati
alla famiglia piuttosto che allo stato e alle ragioni della collettività,
caratteri che fanno a pugni con altruismo e generosità. Ce n’è abbastanza per
essere infelici, no?
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