VI Convegno Cassinate di Neuroetica e Filosofia delle
Neuroscienze
6 aprile
(Con il
patrocinio della Società italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze)
L’Io
precario. Coscienza, responsabilità, controllo
ABSTRACTS
L’INCONSCIO E
LE NEUROSCIENZE
Alberto Oliverio
Sapienza Università di Roma
Le
neuroscienze cognitive sottolineano sempre più come il cervello abbia una sua
vita nascosta, un insieme di attività e funzioni di cui non siamo consapevoli.
Dai semplici riflessi all’emozione, dai desideri alla memoria, dalla nascita di
idee creative alle decisioni, la mente oscilla tra conscio e inconscio, tra
trasparenza e oscurità. Le neuroscienze si sono inizialmente concentrate sugli
aspetti più tradizionali e palesi del comportamento, quelli che sembrano
dipendere dal nostro controllo diretto e di cui abbiamo piena consapevolezza:
movimenti e sensazioni, linguaggio ed emozione, attenzione e memoria fanno
parte di un catalogo le cui pagine ci hanno fornito un nucleo iniziale di
conoscenze. Ma l’animo umano è fatto anche di tensioni e sentimenti inespressi,
di desideri latenti e ricordi da tempo sepolti, di decisioni apparentemente
immotivate, di bivalenze emotive. Molti di questi aspetti della mente si
svolgono a livello inconscio, sono attività sotterranee che conferiscono una
dimensione più complessa e frastagliata alla psiche.
L’inconscio cognitivo non comporta una rimozione delle esperienze in senso dinamico ma si riferisce a forme di conoscenza implicita, non soggette o poco soggette all’elaborazione verbale, mentre l’inconscio dinamico ha a che fare con contenuti che sono stati accessibili alla coscienza ma che sono stati rimossi attivamente. Tra gli esempi di inconscio cognitivo si possono citare il problema delle false memorie o il cosiddetto ri-consolidamento della memoria, processi in cui il nucleo iniziale di un’esperienza cambia forma o viene “contaminato” da esperienze successive. Ovviamente, abbiamo a che fare con un inconscio diverso rispetto a quello freudiano ma non per questo meno inquietante: almeno per chi ritiene di esercitare un pieno controllo sulle proprie funzioni mentali che invece hanno luogo nostro malgrado o più semplicemente a nostra insaputa. Insomma, siamo ben lontani dal pensiero di John Locke che riteneva che la mente, con tutte le sue attività e processi, fosse trasparente a sé stessa, in grado di rivelare l'insieme delle sue associazioni all'osservazione introspettiva…
LA DIALETTICA FRA ELABORAZIONE
INCONSCIA E RIFLESSIONE COSCIENTE
Massimo Marraffa
Università Roma3
In
questo intervento descrivo una forte tensione fra le scienze cognitive e la
psicologia del senso comune. Da un lato alcuni scienziati cognitivi
ridimensionano drasticamente l’introspezione, e con ciò sollevano un dubbio
radicale sulla concezione ordinaria di noi stessi in quanto agenti coscienti: fatta
eccezione per i dati percettivi, non si danno stati mentali coscienti.
Dall’altro lato, l’etica ingenua guarda alla coscienza come alla base
fondamentale per attribuire responsabilità: l’agente è responsabile di
un’azione se questa rispecchia una sua deliberazione cosciente. Dopo aver
esposto questo dissidio, caldeggerò l’adozione di una posizione intermedia tra
il filosofo tradizionale, che continua ad attribuire un primato alla coscienza
nell’azione a dispetto dei dati che emergono dalle scienze della mente, e lo
scienziato (o il filosofo orientato empiricamente) che rivendica in modo
eccessivamente unilaterale l’epifenomenismo per gli stati mentali coscienti. Un
esempio di questa posizione intermedia può essere ricavato da alcune recenti
riflessioni di Neil Levy e Peter Carruthers, che mostrano come la scienza
cognitiva piuttosto che condurre all’epifenomenismo della coscienza, consente
di articolare a grana più fine la dialettica fra elaborazione inconscia e
riflessione cosciente.
LA TEOLOGIA E
L’IO DELLE NEUROSCIENZE
Leonardo Paris
Recenti studi di psicologia e
neurofisiologia dimostrano come le emozioni esercitino un forte potere sulle
scelte decisionali, persino su quelle che richiedono notevole razionalità. Ma la
domanda che ci si pone oggi, che coinvolge sia l’opinione pubblica che quella
scientifica, è relativa a quanto le emozioni, applicate al settore del
marketing, possano influenzare il comportamento del consumatore in termini di
acquisto e consumo. Le grandi aziende hanno da sempre manifestato interesse per
le strategie di marketing emozionale ma i metodi tradizionali trascuravano elementi
importanti come ad esempio il fatto che aspetti tangibili tra cui il packaging,
i colori o il layout merceologico di un brand possano elicitare positivamente o
negativamente le risposte implicite del consumatore. In quest’ottica, il
Neuromarketing nasce come disciplina in grado di fondere, attraverso l’uso di
metodiche neuroscientifiche, tecniche tradizionali di marketing con nuove
frontiere del campo neurologico e psicologico. Oggi, attraverso strumenti di
rilevazione neurofisiologica è possibile illustrare ciò che accade nel cervello
delle persone in risposta ad alcuni stimoli quali ad esempio prodotti, punti
vendita o pubblicità in modo da determinare le strategie che spingono il
consumatore all’acquisto. Dunque, è possibile applicare le conoscenze neuroscientifiche
al servizio di un marketing efficace ma non sarebbe scientificamente corretto
affermare che queste possano guidare totalmente il libero arbitrio. Studi di
brain imaging mostrano come emozioni e cognizione siano connesse funzionalmente
a livello cerebrale da correlati neuronali ma, se il sistema limbico permette
di attivarsi emotivamente di fronte ad uno stimolo, è solo a seguito
dell’elaborazione di quest’ultimo nella corteccia
prefrontale che viene stabilita la scelta finale e razionale. Si deduce
quindi che le emozioni non rendono il consumatore schiavo del prodotto ma
possono orientarne la scelta quando la mente emotiva ha già concluso il proprio
processo e può entrare in gioco il decision making razionale.
L’inconscio cognitivo non comporta una rimozione delle esperienze in senso dinamico ma si riferisce a forme di conoscenza implicita, non soggette o poco soggette all’elaborazione verbale, mentre l’inconscio dinamico ha a che fare con contenuti che sono stati accessibili alla coscienza ma che sono stati rimossi attivamente. Tra gli esempi di inconscio cognitivo si possono citare il problema delle false memorie o il cosiddetto ri-consolidamento della memoria, processi in cui il nucleo iniziale di un’esperienza cambia forma o viene “contaminato” da esperienze successive. Ovviamente, abbiamo a che fare con un inconscio diverso rispetto a quello freudiano ma non per questo meno inquietante: almeno per chi ritiene di esercitare un pieno controllo sulle proprie funzioni mentali che invece hanno luogo nostro malgrado o più semplicemente a nostra insaputa. Insomma, siamo ben lontani dal pensiero di John Locke che riteneva che la mente, con tutte le sue attività e processi, fosse trasparente a sé stessa, in grado di rivelare l'insieme delle sue associazioni all'osservazione introspettiva…
Istituto Superiore di Scienze religiose “Romano
Guardini”-Bolzano
La teologia e
l’esperienza credente si confrontano necessariamente con le prospettive che
emergono dal mondo delle neuroscienze. Molti sono gli aspetti sollecitati:
etici, antropologici, ma anche schiettamente teologici. Basti pensare che, per
esprimere il valore e la responsabilità della persona umana, l’antropologia
teologica si è spesso avvalsa – attingendo profondamente dalla tradizione greca
– del concetto di anima.
Evidentemente il soggetto che emerge dalle ricerche neuroscientifiche costringe
la tradizione cristiana a confrontarsi con istanze profondamente
materiali-biologiche e profondamente relazionali. È nel confronto con la
materia che si cerca il significato – e il valore – dell’umano. Una tale
prospettiva non è innocua per il pensiero cristiano. Si tratta di una sfida
profonda di dialogo e contaminazione fra discipline e prospettive di senso, di
cui si cercheranno di mostrare alcuni punti di interesse per la teologia
stessa. Ciò che a prima vista può sembrare una minaccia per la teologia,
potrebbe rivelarsi uno spunto e un aiuto al pensiero, in modo particolare nella
misura in cui tale pensiero voglia essere al servizio della concreta esperienza
di fede. Solo un pensiero che sappia confrontarsi con le istanze contemporanee
può essere capace di dialogare con l’esperienza – credente e non credente – dei
propri contemporanei.
GENI E AMBIENTE NELLA MODULAZIONE DEL COMPORTAMENTO SOCIALE
UMANO
Silvia Pellegrini
Università di Pisa
Numerose evidenze provenienti da
studi osservazionali condotti sui gemelli e sui soggetti adottati, e,
successivamente, da studi di genetica molecolare, mostrano che il comportamento
sociale umano, almeno in parte, si eredita.
Alcune
varianti genetiche dei pathway serotoninergico e dopaminergico, infatti, in
interazione con un ambiente di crescita particolarmente negativo, sono state
messe in relazione con il comportamento antisociale e sono state indicate come
fattori di aumentato rischio di aggressività e di violenza, dando così nuovo
vigore all’antico dibattito sul concetto di libero arbitrio.
Evidenze ancor
più recenti, tuttavia, lasciano presupporre che queste varianti alleliche, più
che dei fattori di rischio antisociale, rappresenterebbero dei fattori di
plasticità, in grado di rendere il cervello umano maggiormente recettivo agli
eventi esterni, sia negativi che positivi. Se è vero, dunque, che l’esposizione
ad un ambiente particolarmente negativo aumenta il rischio di comportamento
antisociale per i portatori di queste varianti alleliche, all’opposto,
l’esposizione ad un ambiente di crescita particolarmente positivo, sembrerebbe
favorirne il comportamento prosociale.
Oltre alla presentazione dei dati
sperimentali a sostegno di queste ipotesi, saranno discusse le implicazioni
etiche e sociali di queste nuove scoperte.
COSCIENZA, CONSAPEVOLEZZA EMOTIVA, AUTOCONTROLLO,
DISREGOLAZIONE EMOTIVA E DIPENDENZA
Luigi Pastore,
Università degli Studi di Bari, Aldo Moro
Per molto
tempo la sfera emotiva è stata considerata una dimensione di carattere
qualitativo dell'esperienza soggettiva, non separabile dalla coscienza e dalla
consapevolezza. Il carattere cosciente e consapevole legato alla manifestazione
delle emozioni ha svolto un ruolo importante rispetto alla convinzione di poter
regolare o addirittura isolare, ossia controllare, soggettivamente la dinamica
emotiva e i comportamenti correlati. Il legame tra emozioni, coscienza e
consapevolezza nel corso degli ultimi decenni ha acquisito caratteri
problematici, come mostra - per esempio - l'individuazione del continuum
alessitimico, una specifica disfunzione della consapevolezza emotiva
soggettiva, che determina diversi livelli di incapacità di individuare e
riconoscere i propri vissuti emotivi. L'alessitimia costituisce un vasto
territorio in cui una precaria o assente consapevolezza emotiva si lega a
diversi livelli di incapacità di autoregolazione emotiva, con conseguenti
problemi nel controllo razionale del comportamento, costituendo un rilevante
fattore di vulnerabilità per il sorgere di comportamenti disfunzionali, tra cui
le dipendenze.
NEUROMARKETING: SI PUÒ DAVVERO ENTRARE NELLE MENTE DEL CONSUMATORE?
Daniela De Filippis 1,2,
Giulia Fronda 1,2 & Michela Balconi 1,2
1Unità di Ricerca in Neuroscienze
sociali e delle emozioni, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
2Dipartimento di Psicologia, Università
Cattolica del Sacro Cuore, Milano
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