NEVER MAKE A DECISION WHEN YOU ARE ANGRY
AND
NEVER MAKE A PROMISE WHEN YOU' RE HAPPY
B U O N A N N O
Psicologa,Psicoterapeuta,filosofa, istruttrice Mindfulness: alla fonte autentica della Psicologia Umanistica*
Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia
domenica 28 dicembre 2014
lunedì 15 dicembre 2014
Felicità, speranza: da una citazione di Isaac B. Singer
"Se non sei felice comportati come se lo fossi.
La felicità verrà in seguito(...)
Se sei in preda alla disperazione comportati come se credessi. La fede verrà dopo" (Isaac B. Singer)
BUON NATALE!
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domenica 14 dicembre 2014
Il piccolo Loris: l'olocausto continua. Il complesso di Medea, neuroscienze, chimica cerebrale e violenza
Si può definire “complesso di Medea” quello che porta le
madri a uccidere i propri figli applicando una sorta di perverso diritto generativo: ho dato la vita e ora ti do la
morte. Medea è il personaggio che Euripide mette in scena nel 431 a .C. Medea non sopporta il tradimento del
compagno e per vendetta uccide i sui
figli... Quando una donna si vede tradita nell'amore la sua ferocia non conosce
limiti sembra dirci Euripide. Ma nella vicenda di Medea si adombra un tema
psicologico di non poco rilievo:
diventare madre senza perdersi come donna.Tema oggi di estrema attualità
considerando quanto le donne rivendichino, e giustamente, il loro diritto di
individuarsi e auto realizzarsi, cosa che spesso sembra configgere con la
funzione della maternità. Medea si sente cancellata come donna e, dunque, si cancella come madre. Ma nel caso ultimo,
della mamma di Loris, che ha ucciso il figlio (ammesso che abbi agito da sola)
in modo barbaro,con freddezza e lucidità, non c'è bisogno di scomodare Medea. Una
vicenda che si consuma in modo insolito,
non d’impulso. Generalmente le madri uccidono con coltelli, forbici, mannaia,
strumenti che richiedono forza, accanimento. Questa modalità ci dice appunto
che si tratta di emozioni fuori controllo. Ma non sempre questo accade
all’improvviso: c’è spesso una fase antecedente, diciamo preparatoria, che
sicuramente si manifesta all’esterno. Ma nessuno se ne accorge. Quello della
madre di Loris sembrerebbe, invece, un gesto compiuto in uno stato di lucida
follia, con freddezza. Ci vuole tempo per legare le mani di un bimbo, che
sicuramente avrà fatto resistenza, con le facette di plastica e poi
strangolarlo usando sempre le fascette. Una nuova Cogne si è detto: entrambe le
madri negano. Anche la madre di Loris avrebbe rimosso. Ma molto diverse le
caratteristiche di personalità delle due madri, le loro storie di vita e il
contesto familiare. La madre di Loris ha avuto difficoltà psicologiche e
relazionali sia in età infantile che adolescenziale. Un percorso di vita
difficile, sofferente, segnata da episodi che avrebbero dovuto avere ben altra
attenzione e considerazione.La perizia cui sarà sottoposta farà chiarezza sullo
stato mentale di Veronica Panarello. Generalmente dinanzi a questi casi si parla
di raptus di follia, formula che ci
tranquillizza: era folle, dunque non ci riguarda. E invece ci riguarda per il
semplice fatto che i nostri comportamenti sono il risultato del nostro cervello che
lavora sempre in interazione con l'ambiente. Il nostro cervello, che è il
prodotto più eminente e misterioso del processo evolutivo, è un meccanismo
perfetto ma anche molto fragile: basta qualcosa che non funzioni nella chimica cerebrale e l'equilibrio si rompe
dando luogo a comportamenti incontrollabili. Anche relazioni umane affettivamente poco soddisfacenti possono
modificare la chimica cerebrale e sta di fatto che generalmente le madri che
uccidono sono donne sole. La madre di Loris viveva in una sorta di vuoto
familiare: il marito assente spesso per lavoro, la famiglia d’origine non più
contattata da molti anni. E’ mancato lo sguardo dell’altro che ti fa esistere e
che è capace di contenerti e sorreggerti, che evita di farti cadere nel buio.
Esistono tra l’altro ricerche, nell’ambito delle
neuroscienze, che studiano l’impatto
sul cervello delle rete sociale in cui
le persone sono inserite (social brain
hypothesis). Esperimenti su primati non umani mostrano come esista un
collegamento diretto tra il volume dell’amigdala(formazione
neurale che ha un forte ruolo nei comportamenti emotivi) e le dimensioni del
social network, cioè tra la rete sociale e il comportamento sociale
dell’individuo. Oggi ci si interroga
anche sull’impatto che la vita in città ha sul nostro cervello, domanda
sicuramente non nuova ma supportata, oggi, dalla sperimentazione.
mercoledì 10 dicembre 2014
Sabato 2O Dicembre 2014
“Come liberarsi dell'ansia e dello stress ed aumentare l'autostima”
GRUPPO D'INCONTRO
Mindfulness, rilassamento, esperienze guidate
Workshop
AI PARTECIPANTI VERRA’ RILASCIATO UN ATTESTATO DI
PARTECIPAZIONE
*M.Felice
Pacitto, psicologae psicoterapeuta, è stata allieva e collaboratrice di Rollo
May e Ronald Laing. E’ stata tra i primi a sviluppare, in Italia, il metodo dei
Gruppi d’Incontro, di cui ha dato una formulazione teorica e metodologica nel
testo “Dal Sentire all’Essere”, Ed. Magi
Per informazioni e per la prenotazione, da effettuarsi entro
il 17 dicembre, telefonare al “Centro di
Psicologia Umanistica” via Molise,4-Cassino tel/fax:0776/25993(ore 16-18,
lunedì, martedì); cell3382481768
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lunedì 8 dicembre 2014
"Hanna Arendt" il film della Von Trotta: la bomba polemica ed esplosiva suscitata dalla concezione "della banalità del male" e dalla denuncia della responsabilità dei consigli ebraici.
“Quel che ora penso
veramente è che il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non
possiede né profondità né dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare
il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo…. Solo il bene
è profondo e può essere radicale”(Hannah Arendt)
Si tratta di un film documento, tipologia cui la Von Trotta,
abilissima tra l'altro nel delineare personaggi femminili, ci ha abituato. Il
film ha tratta del processo di Gerusalemme istituito contro criminali di guerra
Adolf Eichman, capo della sezione ebraica della Gestapo, esecutore degli ordini
di Heydrich, catturato in Argentina nel 1960 dal Mossad israeliano.. Il
processo, iniziato tra molte polemiche e questioni, anche, di ordine giuridico
(Eichmann era già stato condannato da processo di Norimberga), fini con la
condanna a morte di Eichmann impiccato nel 1962. Hannah Arendt, filosofa (1906
1975), ebrea tedesca accettò nel 1961 e non a cuore leggero la proposta del
“New Yorker” di seguire come inviata il processo a Gerusalemme. La Arendt,
allieva di Martin Heideggere e Karl Jaspers, aveva lasciato la Germania nel
1933 in seguito all'avvento del nazismo per emigrare, dopo varie disavventure,
nel ’42 negli Stati Uniti. Qui pubblicò nel 1950 Le origini del totalitarismo, opera di
grande rilievo per le ipotesi innovative che vi venivano avanzate, opera che le
dette la fama e la impose all’attenzione
della comunità scientifica internazionale e del pubblico comune. Si può dire che pochi abbiano goduto del
successo e dell’acclamazione che ebbe Hanna Arendt, richiesta dalle più prestigiose università
americane e invitata per numerosi cicli di conferenze ovunque, acclamata da
frotte di allievi.
Nelle intenzioni
del primo ministro, Ben Gurion, v’era l'idea che quello dovesse essere il processo
esemplare contro il nazismo che rendesse giustizia agli Ebrei. La Arendt,
all’inizio convinta che Eichmann dovesse essere condannato, si rende conto, una
volta giunta a Gerusalemme,della forte componente ideologica che accompagnava il processo e del rischio che lo stato di
Israele si sviluppasse intorno alla retorica dell’olocausto. Mette da parte
qualsiasi pregiudizio e si avvicina ad Eichmann con quell’impegno di capire ed
indagare, senza alcun preconcetto, che aveva contraddistinto la sua ricerca e
la portava ad assumere posizioni radicali. Ciò che la sconvolge è scoprire la “normalità”
di Eichman che rompeva con gli schemi e l'immaginario della malvagità e
diabolicità dei criminali nazisti. Eichmann non era un uomo diabolico ma piuttosto un uomo
mediocre, ordinario, incapace di pensare, ubbidiente agli ordini, impeccabile
organizzatore dei trasporti della morte, un efficiente burocrate. La Arendt
impiegò quasi due anni a redigere il reportage che sarebbe uscito sul New Yorker
e da cui sarebbe poi stata tratta la versione- libro La banalità del male. Il concetto
della banalità del male andrà in circolo anche se mal interpretato. (Questo
sarà precisato dalla Arendt in una conversazione radiofonica del’64 con Joachim
Fest)
Il libro, uscito in Israele nel 1963 e l'anno successivo in Germania e
in Italia, destò un’ enorme polemica
soprattutto nelle comunità ebraiche. Che
cosa ne aveva offeso la suscettibilità? Il modo in cui Eichmann era
stato definito, appunto un essere “normale”, ma, soprattutto, l'accenno fatto
alla corresponsabilità dei consigli ebraici nella deportazione degli Ebrei. Si
rischiava in questo modo di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici e
ridurre le colpe di Eichmann.Si trattava, per gli Ebrei, del loro onore e gli Ebrei avevano una forte
resistenza a fare i conti con questo aspetto buio del loro passato.La Arendt fu
accusata di essere incapace di amore per il suo popolo, fu accusata addirittura
di aver calunniato gli ebrei per
scagionare i nazisti. Fu abbandonata da molti amici. Anche il filosofo Hans
Jonas, il compagno di studi universitari, prese le distanze. I rabbini delle
comunità ebraiche americane le predicarono contro. Insomma una grande polemica
che la Arendt non seppe e,per alcuni versi, non volle gestire. Le rimasero
accanto,prendendo le sue difese apertamente, Bruno Bettlheim, Mary McCarthy,
Karl Jaspers.
Maria Felice Pacitto
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