L’educazione alla prosocialità, all’altruismo,
al senso della cura e del benessere dell’altro non è facile in una società
basata sulla competitività, sul potere e sul successo manifesto, ma in cui le
nuove condizioni di multietnicità e multiculturalità richiedono la comprensione
dell’alterità, la necessità di conciliare gli interessi individuali e
l’altruismo, un approccio più solidaristico che tenga conto del benessere della
comunità piuttosto che quello dei singoli.
La ricerca psicologica si è applicata generalmente allo studio di
comportamenti aggressivi e violenti piuttosto che a quelli caratterizzati da
sensibilità e senso della cura dell’altro. La ricerca psicologica contemporanea tende
invece a studiare i comportamenti positivi, costruttivi piuttosto che quelli
negativi. Ma come si sviluppano e costruiscono la generosità, la solidarietà,
l’altruismo, componenti del comportamento umano senza le quali non sarebbero
possibili né la convivenza umana né alcuna forma di comportamento etico? Quale ne è l’origine?
E perché alcuni sono più generosi e disponibili mentre altri sono più
egocentrici e volti esclusivamente al proprio interesse personale?
La ricerca sembra dimostrare che noi nasciamo con una naturale propensione alla cooperazione ma sottolinea anche come le condizioni culturali e le pratiche educative hanno un’influenza determinante nell’apprendimento di comportamenti volti alla socialità e all’altruismo. Sicuramente i processi di maturazione psico-fisiologica, che si accompagnano allo sviluppo cognitivo ed affettivo, determinano una maggiore capacità di adesione ai bisogni dell’altro, una maggiore capacità di empatia ed identificazione con l’altro. La sollecitudine verso gli altri è il risultato di una complessità di fattori: le caratteristiche di personalità, il sistema di valori e di aspettative di una determinata società, il sistema motivazionale personale. Nessuno agirebbe, infatti, per il bene degli altri se non ne ricevesse un’approvazione sociale ed una qualche forma di validazione e soddisfazione personale. Ma lo sviluppo dell’altruismo è possibile solo se v’è stata, sopra tutto nei primi anni di vita, una buona relazione con le figure parentali e, successivamente, con le altre figure significative, solo se l’educazione ha sviluppato adeguate competenze emotive ed empatiche. Sarebbe difficile aspettarsi una condotta volta al sostegno e all’impegno verso l’altro da chi sia vissuto in un ambiente povero emotivamente ed affettivamente, da chi abbia sperimentato disinteresse e, magari, subito violenza. La ricerca psicologica mostra che sono le persone gioiose, soddisfatte ad essere disponibili verso gli altri. Il malessere, l’infelicità, la chiusura in se stessi inibiscono l’attenzione verso gli altri e non facilitano l’attitudine a prendersene cura. L’essere umano alla nascita non è né buono né cattivo. Lo diventa, piuttosto, come già sottolineto dalla Psicologia Umanistica, a seconda che i suoi bisogni fondamentali di accettazione, sicurezza ed amore siano stati soddisfatti o meno. Solo se questi sono stati sufficientemente soddisfatti la persona sviluppa interessi autentici di tipo etico che la portano a prendere posizione e ad impegnarsi per il benessere della collettività. L’adesione a valori quali la giustizia, la libertà l’eguaglianza, il rispetto dei diritti di ognuno non può procedere senza uno sviluppo psicologicamente sano della persona e se mancano quei fattori ambientali che lo possano assicurare. Un ambiente familiare chiuso iperdifeso non facilita e non incoraggia azioni positive dettate da amore verso il mondo. L’altruismo può essere inibito o facilitato fin dai primi anni di vita. E incomincia dai rapporti immediati che il bambino vive con i suoi coetanei: è nell’ambito della scuola materna che impara ad aiutare l’altro, a sentire e a comprendere le emozioni dell’altro. E’ sperimentandolo direttamente e quotidianamente che il bambino può comprendere come l’altruismo sia un comportamento desiderabile. Solo in seguito, verso l’adolescenza, si acquisisce il senso etico connesso alla condivisione di un sistema di valori e alla capacità di sollevarsi dall’esperienza vissuta immediata e di generalizzare l’altruismo a gruppi sociali più vasti.
La ricerca sembra dimostrare che noi nasciamo con una naturale propensione alla cooperazione ma sottolinea anche come le condizioni culturali e le pratiche educative hanno un’influenza determinante nell’apprendimento di comportamenti volti alla socialità e all’altruismo. Sicuramente i processi di maturazione psico-fisiologica, che si accompagnano allo sviluppo cognitivo ed affettivo, determinano una maggiore capacità di adesione ai bisogni dell’altro, una maggiore capacità di empatia ed identificazione con l’altro. La sollecitudine verso gli altri è il risultato di una complessità di fattori: le caratteristiche di personalità, il sistema di valori e di aspettative di una determinata società, il sistema motivazionale personale. Nessuno agirebbe, infatti, per il bene degli altri se non ne ricevesse un’approvazione sociale ed una qualche forma di validazione e soddisfazione personale. Ma lo sviluppo dell’altruismo è possibile solo se v’è stata, sopra tutto nei primi anni di vita, una buona relazione con le figure parentali e, successivamente, con le altre figure significative, solo se l’educazione ha sviluppato adeguate competenze emotive ed empatiche. Sarebbe difficile aspettarsi una condotta volta al sostegno e all’impegno verso l’altro da chi sia vissuto in un ambiente povero emotivamente ed affettivamente, da chi abbia sperimentato disinteresse e, magari, subito violenza. La ricerca psicologica mostra che sono le persone gioiose, soddisfatte ad essere disponibili verso gli altri. Il malessere, l’infelicità, la chiusura in se stessi inibiscono l’attenzione verso gli altri e non facilitano l’attitudine a prendersene cura. L’essere umano alla nascita non è né buono né cattivo. Lo diventa, piuttosto, come già sottolineto dalla Psicologia Umanistica, a seconda che i suoi bisogni fondamentali di accettazione, sicurezza ed amore siano stati soddisfatti o meno. Solo se questi sono stati sufficientemente soddisfatti la persona sviluppa interessi autentici di tipo etico che la portano a prendere posizione e ad impegnarsi per il benessere della collettività. L’adesione a valori quali la giustizia, la libertà l’eguaglianza, il rispetto dei diritti di ognuno non può procedere senza uno sviluppo psicologicamente sano della persona e se mancano quei fattori ambientali che lo possano assicurare. Un ambiente familiare chiuso iperdifeso non facilita e non incoraggia azioni positive dettate da amore verso il mondo. L’altruismo può essere inibito o facilitato fin dai primi anni di vita. E incomincia dai rapporti immediati che il bambino vive con i suoi coetanei: è nell’ambito della scuola materna che impara ad aiutare l’altro, a sentire e a comprendere le emozioni dell’altro. E’ sperimentandolo direttamente e quotidianamente che il bambino può comprendere come l’altruismo sia un comportamento desiderabile. Solo in seguito, verso l’adolescenza, si acquisisce il senso etico connesso alla condivisione di un sistema di valori e alla capacità di sollevarsi dall’esperienza vissuta immediata e di generalizzare l’altruismo a gruppi sociali più vasti.
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