Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

venerdì 29 maggio 2015

Sigmund Freud:"Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte"(1915)




Si tratta di un saggio che il padre della psicanalisi, deluso degli eventi tragici, scrisse nel 1915. Un uomo, Freud, appartenente alla corrente illuministica della cultura ebraica, lucido e razionale, privo di illusioni, che guarda gli eventi con occhio psicoanalitico. La guerra per lui fu un elemento di radicale rottura di quell’ottimismo che aveva caratterizzato la fine del secondo ottocento. Un regresso della ragione all’uomo primordiale, la perdita del “prezioso patrimonio comune all’umanità, costruito lungo i secoli”. Eppure, come molti, anche Freud, alla dichiarazione della guerra, era stato preso da quell’entusiasmo che aveva trascinato molta buona classe intellettuale. Si trattava di un mondo ingenuo e fiducioso convinto che mai Francesco Giuseppe, ormai  ottantacinquenne, potesse chiamare alle armi il suo popolo se non vi fosse stata la necessità di opporsi a criminali avversari che minacciavano la pace dell’impero. Dopo mezzo secolo di pace nessuno ricordava più gli orrori della guerra, la quale appariva adesso, nell’immaginario collettivo,  quasi un’impresa romantica , un’avventura “travolgente e virile”(Zweigg) e, comunque, una cosa che si sarebbe risolta in brevissimo tempo. Sicché molti giovani temevano addirittura di poter essere esclusi e perciò  correvano entusiasti e numerosissimi sotto le bandiere che si andavano preparando. Gli stessi figli di Freud si arruolarono. Ma Freud  si ricredette quasi subito: ciò che lo colpiva era la mancanza di moralità degli Stati, la brutalità di quella guerra impensabile per una civiltà progredita. Lo sguardo analitico  lo porta a vedere come gli impulsi distruttivi non sono mai estirpati dal profondo dell’animo umano: continuano ad  esistere, allo stato latente, comportamenti primitivi tipici di fasi precedenti di sviluppo che possono emergere e annullare gli sviluppi successivi.  La guerra, procurando l’annebbiamento delle facoltà intellettuali e delle acquisizioni morali, li ha semplicemente svelati.

 “La propria morte” dice Freud, “è irrapresentabile..”Gli uomini si comportano come se non esistesse.Ma la guerra ha riproposto inevitabilmente la riflessione sulla morte e il dover fare i conti con la sua innegabile evidenza perché “gli uomini muoiono veramente, e non uno alla volta ma in gran numero, spesso a decine di migliaia al giorno”. Tra le molte osservazioni filosofiche e antropologiche emergono nel testo anche quelle di interesse clinico come il concetto di ambivalenza affettiva, la coppia di amore e odio, concetto che darà luogo ad altre future teorizzazioni. Il tema della morte sarà ripreso successivamente in altri testi di gran lunga più complessi dal punto di vista teorico e di più vasto interesse clinico. Uno scritto “Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte”  che appartiene alla riflessione freudiana di tipo più speculativo, a cui vale la pena per l’uomo contemporaneo ancora rivolgersi per comprendere qualcosa in merito alla complessità dell’animo umano e dei fatti della vita. Un testo, quello in oggetto, attraversato da una vena pessimistica, che si accentuerà sempre più in Freud ma che si affianca, anche, ad una luce di speranza : “Quando il lutto sarà superato, apparirà che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l’esperienza della loro fragilità. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse  su un fondamento più solido e duraturo di prima”




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