Marina Abramovic è,
abuon titolo, considerata l’icona della “performance art”, una forma
espressiva di non facile comprensione,
specifica della contemporaneità. Ogni opera d’arte va compresa all’interno del
contesto storico-culturale in cui si sviluppa. Non si può comprendere l’arte
performativa, che vuole, per realizzarsi e completarsi, la presenza del
pubblico, al di fuori dello zeitgeist culturale di fondo che alimenta sempre la
psicologia quotidiana cioè il modo
comune di percepire, interpretare, sentire, i fatti, le cose e l’arte stessa.
Negli ultimi decenni, a seguito delle filosofie fenomenologiche, si è
sviluppata l’idea di una nostra ineliminabile relazionalità e coappartenenza,
gli uni con gli altri, resa possibile primariamente dalla nostra corporeità.
Nella performance art (come nella body art) il corpo è protagonista ma non nel
modo tradizionale. Non v’è contemplazione del corpo ma un corpo che vive-agisce e si autorappresenta. E non
si può comprendere l’arte performativa al di fuori della generale ossessiva (e
talora inquietante) presenza del “corpo”
nel mondo di oggi, corpo che, come mezzo e forma di linguaggio, attraversa le
varie forme della vita: dai fenomeni psicopatologici (cutting, disturbi
alimentari), alle forme di comportamenti diffusi (tatuaggi, chirurgia estetica),
alla caratterizzazione del genere e alla pubblicità (uso e abuso del corpo
femminile), all’arte stessa. Sorrentino ironizzava su
alcune di queste forme ne “La grande bellezza”, affresco Psicologa,Psicoterapeuta,filosofa, istruttrice Mindfulness: alla fonte autentica della Psicologia Umanistica*
Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia
martedì 15 dicembre 2015
Marina Abramovic: il corpo e la presenza. Una sintesi delle tendenze culturali, del clima emotivo della contemporaneità. L'ossessiva presenza del corpo che attraversa le varie forme della vita.
Marina Abramovic è,
abuon titolo, considerata l’icona della “performance art”, una forma
espressiva di non facile comprensione,
specifica della contemporaneità. Ogni opera d’arte va compresa all’interno del
contesto storico-culturale in cui si sviluppa. Non si può comprendere l’arte
performativa, che vuole, per realizzarsi e completarsi, la presenza del
pubblico, al di fuori dello zeitgeist culturale di fondo che alimenta sempre la
psicologia quotidiana cioè il modo
comune di percepire, interpretare, sentire, i fatti, le cose e l’arte stessa.
Negli ultimi decenni, a seguito delle filosofie fenomenologiche, si è
sviluppata l’idea di una nostra ineliminabile relazionalità e coappartenenza,
gli uni con gli altri, resa possibile primariamente dalla nostra corporeità.
Nella performance art (come nella body art) il corpo è protagonista ma non nel
modo tradizionale. Non v’è contemplazione del corpo ma un corpo che vive-agisce e si autorappresenta. E non
si può comprendere l’arte performativa al di fuori della generale ossessiva (e
talora inquietante) presenza del “corpo”
nel mondo di oggi, corpo che, come mezzo e forma di linguaggio, attraversa le
varie forme della vita: dai fenomeni psicopatologici (cutting, disturbi
alimentari), alle forme di comportamenti diffusi (tatuaggi, chirurgia estetica),
alla caratterizzazione del genere e alla pubblicità (uso e abuso del corpo
femminile), all’arte stessa. Sorrentino ironizzava su
alcune di queste forme ne “La grande bellezza”, affresco