Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

martedì 15 dicembre 2015

Marina Abramovic: il corpo e la presenza. Una sintesi delle tendenze culturali, del clima emotivo della contemporaneità. L'ossessiva presenza del corpo che attraversa le varie forme della vita.


  Marina Abramovic è, abuon titolo, considerata l’icona della “performance art”, una forma espressiva  di non facile comprensione, specifica della contemporaneità. Ogni opera d’arte va compresa all’interno del contesto storico-culturale in cui si sviluppa. Non si può comprendere l’arte performativa, che vuole, per realizzarsi e completarsi, la presenza del pubblico, al di fuori dello zeitgeist culturale di fondo che alimenta sempre la psicologia quotidiana cioè il  modo comune di percepire, interpretare, sentire, i fatti, le cose e l’arte stessa. Negli ultimi decenni, a seguito delle filosofie fenomenologiche, si è sviluppata l’idea di una nostra ineliminabile relazionalità e coappartenenza, gli uni con gli altri, resa possibile primariamente dalla nostra corporeità. Nella performance art (come nella body art) il corpo è protagonista ma non nel modo tradizionale. Non v’è contemplazione del corpo ma un corpo  che vive-agisce e si autorappresenta. E non si può comprendere l’arte performativa al di fuori della generale ossessiva (e talora inquietante)  presenza del “corpo” nel mondo di oggi, corpo che, come mezzo e forma di linguaggio, attraversa le varie forme della vita: dai fenomeni psicopatologici (cutting, disturbi alimentari), alle forme di comportamenti diffusi (tatuaggi, chirurgia estetica), alla caratterizzazione del genere e alla pubblicità (uso e abuso del corpo femminile), all’arte stessa.  Sorrentino ironizzava su alcune di queste forme ne “La grande bellezza”, affresco metafisico sulla realtà contemporanea: il mondo fatuo della chirurgia estetica, la performance dell’artista di turno che, dopo aver preso la rincorsa, schiaccia violentemente la testa contro il muro cadendo svenuta a terra.

Ma non facciamo confusione con Marina Abramovic!

Di origine serba, ha studiato presso l’accademia di belle arti di Belgrado, ma appartengono alla sua formazione la conoscenza dell’arte classica italiana (Giotto, Piero della Francesca, Caravaggio) e la frequentazione dell’avanguardia italiana (De Dominicis, Ontani, Pistoletto, I Mertz, ecc..) Le sue prime performances risalgono alla metà degli anni’70. Sono di  questo periodo le  sue prime istallazione in Italia.  Presenta alla galleria Diagramma di Milano  Rhytm 4 eRhytm 0 alla Morra Arte studio di Napoli nel’ 75. L’Abramovvic diventa un’artista affermata negli anni’90 che la vedono impegnata in mostre, personali e collettive, workshop in tutto il mondo. Nel’97 vince la Biennale di Venezia con la performance “Balkan Baroque” dove, per tre giorni, Marina, pulisce, calata dentro, un cumulo di ossa di animali  sanguinolenti, cantando litanie inframmezzate da lamenti mentre in contemporanea vengono proiettati video inerenti al suo paese di appartenenza dilaniato dalle guerre.

Personalità forte, coraggiosa, sfidante, si è spinta, nella sua ricerca, oltre i propri limiti  fisici e psichici, mettendo a rischio anche la sua incolumità. E’ specifico della sua indagine un voler andare oltre i limiti e i confini del corpo in una espansione della coscienza individuale verso una compenetrazione con il pubblico. Perciò quelli di Marina diventano eventi fortemente ed emotivamente coinvolgenti. L’arte coinvolge sempre altrimenti non sarebbe arte fruibile. Un’arte che non ci coinvolge si riduce a giudizio estetico degli addetti ai lavori di cui dobbiamo fidarci ma che lascia indifferente il nostro cuore. Ma nelle installazioni di Marina v’è un “oltre”, che condensa le suggestioni della cultura asiatica, tibetana, quella degli aborigeni e degli sciamani, l’apprendimento di tecniche di concentrazione e respirazione che le consentono il poter stare nella “presenza”  momento per momento.Tutto questo arriva al pubblico di Marina e le neuroscienze ci spiegano il perché.

Certo, non è facile avvicinarsi all’arte performativa ma è utile seguire il suggerimento del grande critico Heinrich Wolfflin:”Proprio come si impara una lingua straniera con i suoi vocaboli e la sua grammatica, occorre imparare a vedere uno stile secondo le sue proprie strutture di senso, e apprendere a giudicarlo iuxta propria principia , e non secondo un canone particolare (tipicamente la bellezza classicisticamente intesa) più o meno surrettiziamente innalzato a criterio universale”                              



 

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