
Ma non facciamo confusione con Marina Abramovic!
Di origine serba, ha studiato presso l’accademia di belle
arti di Belgrado, ma appartengono alla sua formazione la conoscenza dell’arte
classica italiana (Giotto, Piero della Francesca, Caravaggio) e la
frequentazione dell’avanguardia italiana (De Dominicis, Ontani, Pistoletto, I
Mertz, ecc..) Le sue prime performances risalgono alla metà degli anni’70. Sono
di questo periodo le sue prime istallazione in Italia. Presenta alla galleria Diagramma di Milano Rhytm 4 eRhytm 0 alla
Morra Arte studio di Napoli nel’ 75. L’Abramovvic diventa un’artista affermata
negli anni’90 che la vedono impegnata in mostre, personali e collettive,
workshop in tutto il mondo. Nel’97 vince la Biennale di Venezia con la performance
“Balkan Baroque” dove, per tre giorni, Marina, pulisce, calata dentro, un
cumulo di ossa di animali sanguinolenti,
cantando litanie inframmezzate da lamenti mentre in contemporanea vengono
proiettati video inerenti al suo paese di appartenenza dilaniato dalle guerre.
Personalità forte, coraggiosa, sfidante, si è spinta, nella
sua ricerca, oltre i propri limiti
fisici e psichici, mettendo a rischio anche la sua incolumità. E’
specifico della sua indagine un voler andare oltre i limiti e i confini del
corpo in una espansione della coscienza individuale verso una compenetrazione
con il pubblico. Perciò quelli di Marina diventano eventi fortemente ed
emotivamente coinvolgenti. L’arte coinvolge sempre altrimenti non sarebbe arte
fruibile. Un’arte che non ci coinvolge si riduce a giudizio estetico degli
addetti ai lavori di cui dobbiamo fidarci ma che lascia indifferente il nostro
cuore. Ma nelle installazioni di Marina v’è un “oltre”, che condensa le
suggestioni della cultura asiatica, tibetana, quella degli aborigeni e degli
sciamani, l’apprendimento di tecniche di concentrazione e respirazione che le
consentono il poter stare nella “presenza”
momento per momento.Tutto questo arriva al pubblico di Marina e le neuroscienze
ci spiegano il perché.
Certo, non è facile avvicinarsi all’arte performativa ma è
utile seguire il suggerimento del grande critico Heinrich Wolfflin:”Proprio
come si impara una lingua straniera con i suoi vocaboli e la sua grammatica,
occorre imparare a vedere uno stile secondo le sue proprie strutture di senso,
e apprendere a giudicarlo iuxta propria
principia , e non secondo un canone particolare (tipicamente la bellezza
classicisticamente intesa) più o meno surrettiziamente innalzato a criterio
universale”
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