Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

sabato 11 gennaio 2014

A proposito dei quaderni ritrovati di Martin Heidegger. certo, anche la genialità ha una sua zona d'ombra, in cui l'intelligenza rischia di soccombere al male.



Ho sempre pensato che il filonazismo di Heidegger non fosse solo un errore storico ma  toccasse l’essenza del suo pensiero filosofico.(Ma, a provare ad esprimerlo, immancabile la risposta: “La deviazione filonazista non inficia la genialità di uno dei più grandi pensatori del’900!” Risposta che si appaiava quasi sempre all’affermazione: “Però non ho capito cosa significhi esattamente l’Essere!” Bah!)  Me lo dicevano alcuni contenuti, l’ ambiguità e il messianesimo di alcune affermazioni, l’attivismo, il decisionismo, lo spirito antidemocratico(ambiva in quanto pensatore a diventare Fuhrer del Furher)il gioco e l’uso del linguaggio (Adorno definisce  il linguaggio heideggeriano “una caricatura alla tedesca della cabalistica”),un linguaggio ipnotico che utilizza appunto i modi delle tecniche ipnotiche: l’alternanza delle ridondanze, dell’indeterminatezza e vaghezza dei vocaboli usati,l’uso di alcuni vocabili che alludono all’assegnazione di un compito e alla responsabilità (chiamata, decisione, destino,..).  E tale idea si confermava, poi, in seguito, attraverso la lettura  di Löwith, Adorno, Luckács, Marcuse,la testimonianza di Ernesto Grassi,  attraverso la lettura delle biografie di Otto e Farias,  ma soprattutto del lavoro compendioso di Emmanuel Faye (“Heidegger , l’introduzione del nazismo nella filosofia”) che, attraverso, una lettura puntuale dei testi  heideggeriani  mostra come il pensiero filosofico stesso fosse fortemente impregnato di ideologia nazista.Non si era trattato di una deviazione  momentanea, culminata nell’appello del 3 novembre del 1933 agli studenti tedeschi in cui Heidegger sostenne che solo il fuhrer rappresentava “nel presente e nel futuro la realtà tedesca e la sua legge”.Anzi dopo il’35 il suo nazismo si era radicalizzato: nel 1940 esaltava la motorizzazione della Wehermacht come “atto metafisico” e nel 1941 definiva la selezione razziale come “metafisicamente necessaria” per arrivare, dopo la fine del nazismo, a negare l’esistenza dell’Olacausto, cosa che non poco ha influenzato il revisionismo e il negazionismo.( Ma Heidegger ha fortemente influenzato una schiera di suoi seguaci “filosofi” religiosamente dogmatici e irrazionali. Tipiche le loro espressioni: “ Heidegger ha già detto tutto!” , “Lo criticano perché non lo hanno capito!”)  Secondo Faye, Heidegger contribuì filosoficamente alla elaborazione della dottrina hitleriana ponendosi egli stesso come guida spirituale del nazismo. D’altra parte non è casuale, come svela Lowitt, la sua propensione al comando, a voler essere e a voler fare da maestro, il che lo portava a circondarsi di uno stuolo numeroso di  allievi fedeli di su cui aveva un forte ascendente. Come giustamente ha sottolineato Löwitt “l’elemento fondamentale della sua azione sui discepoli non fu l’anticipazione di un nuovo sistema, ma al contrario l’indeterminatezza del contenuto e il carattere di pura chiamata” anche se “il nichilismo interno, il nazionalsocialismo di questa pura risolutezza di fronte al nulla , rimasero in un primo tempo nascosti”(cit. in Faye, E. pag.17). Heidegger si estrometteva dal Logos!  Faye denuncia anche l’opera di falsificazione dei suoi scritti operata da Heidegger dal 1945 in poi dopo la sconfitta del nazismo.  Il giudizio di Faye è radicale e implacabile: Heidegger non merita la qualifica di filosofo e la sua opera  merita “ di figurare nelle  biblioteche di storia del nazismo e non in quelle di filosofia”.

Adesso arriva la notizia del ritrovamento di nove quaderni (solo pochissimi ne conoscevano l’esistenza) sui quali Heidegger dagli anni trenta fino al 1975, un anno prima della morte, ha fermato i suoi pensieri più reconditi ed autentici. Ebbene questi scritti confermano pienamente l’antisemitismo di Heidegger che assume, secondo quanto afferma Donatella Di Cesare, ordinario di Filosofia Teoretica presso la sapienza di Roma, presidente della Heidegger Gesellshaft, una chiara connotazione filosofico-metafisica. Prossimamente, in primavera, tre quaderni saranno pubblicati e sicuramente porteranno a rivedere molte cose nella interpretazione e valutazione dell’opera heideggeriana. Intanto si riaccendono le vecchie ma ancora attuali questioni. Si può essere indulgenti con un grande filosofo che ha fatto un ambiguo e torbido uso della filosofia?Può un pensiero di alto livello essere distinto dai comportamenti concreti? Può il sapere prescindere dall’etica e dalla responsabilità  verso il  mondo? Domande che si sintetizzano in un unico problema di fondo della filosofia: il rapporto della razionalità filosofica con la politica, il rapporto della teoria con la prassi. Di sicuro Heidegger è l’esempio lampante di come anche la “genialità” ha una sua zona d’ombra, in cui l’intelligenza rischia di soccombere al male. Jung avrebbe detto:molta luce, molta ombra!

Ma a che cosa deve servire la filosofia se non all’esame critico dei fatti, se non all’esercizio razionale del pensiero, se non al progresso umano e dell’intelletto, se non a quell’affrancamento della psiche dall’indistinto, dall’ambiguità irriflessiva?

 Non so se rallegrarmi per aver visto giusto o se provare un profondo malessere per l’uso che del pensiero e della filosofia è stato fatto da Martin Heidegger,osannato come uno dei maggiori filosofi del’900!  

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