Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

giovedì 10 marzo 2016

Simone Weil: una filosofa difficile e controversa ma coraggiosa e indipendente nel pensiero. Va vista nella complessità e totalit della sua produzione senza nessuna espunzione.


SIMONE WEIL: una vita vissuta nella radicalità e nella autonomia di pensiero

Parlare di Simone Weil l’8 marzo, ha voluto  essere  il tributo riconoscente al lavoro di una grande filosofa, fondamentale per la costruzione della soggettività e del pensiero femminile, nella consapevolezza che non v’è storia per le donne   al di fuori della loro capacità di poter pensare autonomamente ed indipendentemente.



  Simone Weill ebrea come Edith Stein e Hanna Arendt. Tre donne filosofe che hanno segnato il percorso speculativo del secolo scorso. Tre donne il cui discorso si dispiega sullo sfondo drammatico del nazismo.Voci che hanno saputo interpretare il desiderio della donna a poter essere e a poter pensare. La loro opera è inscindibile dalla loro vita.

Filosofa controversa e  “difficile” la Weil per la commistione di tematiche così diverse (misticismo e pensiero politico) e per il modo anche di procedere nella teorizzazione, difficile anche ad essere  inserita in un qualche filone o orientamento filosofico. Autonoma e antiaccademica, la sua preparazione filosofica fu anomala, magari, rispetto a quella di una Arendt o di una Stein  che ebbero come maestri grandi filosofi accademici. E questo ci dice anche qualcosa in merito ai contenuti della sua filosofia.Ella rifugge dalla filosofia sistematica per prediligere le filosofie che fanno “un inventario delle idee”,  filosofie che lascino essere le contraddizioni senza eliminarle per un obiettivo di sistema: solo queste filosofie sono eterne ed immutabili. Ebrea, ma appartenente ad una famiglia laica e benestante che faceva parte di quella comunità ebraica pienamente assimilata,  nel’ 39 vive un’esperienza mistica che cambia il corso della sua vita. Ma anche l’esperienza religiosa è vissuta  in modo assolutamente particolare e fuori degli schemi. Nonostante l’importanza che ella  le attribuisce, decide di non entrare nella Chiesa cattolica perché per lei la cristianità esisteva già prima del Cristo della chiesa. V ‘era nella Chiesa una pretesa di “totalità”, di potere, contro i quali ella  si era battuta per tutta la vita. Sbaglierebbe dunque chiunque volesse ridurla ad una cristiana devota. Anche perché al di là delle pagine sublimi di mistica religiosa, mai banali, ma sempre irrobustite da una riflessione connotata filosoficamente, ella sviluppò interpretazioni del cristianesimo del tutto discutibili.Ella la elaborò una concezione filosofico- politica permeata  di spiritualità che la distanzia da qualsiasi altra concezione elaborata nel pensiero moderno. Si era avvicinata al marxismo giovanissima ma ne detestava il totalitarismo e la violenza. La Weil era molto scettica sulla possibilità che la classe operaia potesse emanciparsi attraverso un passaggio rivoluzionario violento. Ma quali furono più specificamente i contenuti della sua produzione teorica? Il tema della giustizia, il rapporto tra il singolo e il potere, l’analisi delle cause che portano l’uomo all’oppressione e all’esercizio della forza, temi che vengono analizzati sullo sfondo dei  totalitarismi che andavano sviluppandosi in quell’epoca e che non potevano essere compresi se non attraverso lo studio del mito e della storia del potere nel passato. L’esercizio della forza, del potere, distrugge sia chi l’esercita sia chi vi è assoggettato afferma ne l’Iliade, uno dei pochi testi pubblicati in  vita. In Sulla Germania totalitaria ella si chiede come sia potuto accadere che il ceto medio più colto d’Europa avesse potuto identificarsi nell’orrore del regime hitleriano. Consapevole della tragicità degli eventi,  cerca di identificare l’ombra della civiltà europea, il demone che la abita in segreto, rivolgendo la sua attenzione ad un lontano passato  depositario di verità  e di bene. Specifico, direi esistenziale, il modo di avvicinarsi a tali tematiche, come se esse la riguardassero da vicino, come se ella vi fosse coinvolta in prima persona. Occuparsi della condizione di sofferenza e umiliazione dell’altro significava  per lei condivider la. E alla luce di questo convincimento che andrà in fabbrica dal 34 al 35, parteciperà nel 36 alla guerra di Spagna, e a Marsiglia nel 1941 aderìrà alla resistenza. Una filosofia, la sua, non speculativa ma connessa alla vita.  Ella  amava  la concretezza: per comprendere l’altro sofferente bisogna provare sulla propria vita  ciò che si abbatte sugli umili. Una radicalità dell’animo la caratterizzava: la condizione dei più deboli, di ingiustizia, l’idea di progresso, sono le passioni intorno alle quali si struttura e si consuma la sua vita. E’ questo che la porta in fabbrica, dove soffre moltissimo, dove non ce la fa a sostenere la fatica fisica tanto da desiderare di non pensare più (E’singolare come in lei vi sia una ricerca di fisicità, di corporeità, che contrasta  con la sua incapacità di fisicità). Una condizione, quella della fabbrica di alienazione totale, in cui appunto l’operaio perde la sua identità in quanto non può più essere riconosciuto come persona dagli altri. La cosa peggiore non è la sofferenza fisica o il pericolo di vita ma la schiavitù che  mette tacere la soggettività della persona. Non v’è pagina dei Cahier ( pubblicati dopo la morte e affidati a Gustave Thibon)in cui non vi sia un riferimento al quotidiano, al nostro modo di relazionarci agli altri e di affrontare i problemi reali dell’esistenza. Interessanti in questo senso sono i temi dell’attenzione e dell’amicizia a cui dedica il saggio L’amicizia pura. Che cosa impedisce l’amicizia?. Ritorna il tema del potere:quando qualcuno decide di sottomettere a sé un essere umano o accetta di sottomettersi a lui non v’è amicizia. Per questo rifiuta la sessualità, dove il desiderio determina dipendenza.Rispetto autonomia, reciprocità, sono un riflesso dell’amore  divino. Neanche l’amore sentimentale né l’amore coniugale possono farne a meno dell’amicizia. Non v’è amicizia se non dove la distanza è conservata e rispettata. Certo stridono le sue scritture su Cristo, sull’amore, sull’amicizia, sull’attenzione con le sue posizioni antigiudaiche: bisonava sradicare completamente l’ebraicità limitando l’accesso agli incarichi pubblici degli ebrei, educando al cristianesimo i bambini V’è in questa filosofa complessa, fuori delle righe, antiaccademica, dominata dalla passione della verità, una componente autodistruttiva che la porterà prematuramente alla morte per tubercolosi nel 1943 a soli 34 anni. Un tentativo, quello della Weil,  di rispondere alle angosce dilaganti dinanzi alla distruzione della civiltà e di rimanere, comunque, vigile nonostante l’oscuramento del le coscienze. E’ per questo che noi la leggiamo, consapevoli  della sua estrema attualità!

Maria felice pacitto(psicologa-psicoterapeuta, filosofa della mente)

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