Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

domenica 29 gennaio 2017

I puscher bambini: l'infanzia negata

 La retata che, a Napoli, ha scoperto il sistema del clan camorristico  che controlla gli affari  illeciti del centro Napoli, ha coinvolto anche bambini, appena decenni, utilizzati per confezionare dosi e come baby pusher. Venivano utilizzati perché non imputabili. Tra l’altro essi appartengono  alle famiglie degli stessi pusher, nota, che accanto alla presenza di 17 donne, alcune delle quali gestivano le piazze dello spaccio, dà conto del degrado, della povertà affettiva, della assenza di “umanità”  (nel senso di quelle funzioni di base che attengono al comportamento di cura della prole da parte de i mammiferi) dell’ambiente in cui i piccoli sono stati destinati a vivere.  Magari , oggi, paradossalmente, qualcosa può cambiare per loro!
Occorreva l’intervento delle forze dell’ordine, la scoperta del traffico più consistente di droga e di affari illeciti in Napoli,  per sollevare il velo di una forma di violenza e di abuso sui minori da troppo tempo ignorata. Ma, diciamolo, chi ha voluto ignorare ( non siamo ipocriti: il problema si conosceva) questa piaga è, magari, lo stesso che si è lasciato sconvolgere dai bambini addestrati alla guerra e utilizzati dall’Isis  o dalle bambine kamikaze di Boko Haram. Ma qual è la differenza? La violenza contro i minori  è sempre una ed ha quasi  sempre le medesime conseguenze, anche se si manifesta in modi diversi: estremi o sottili e nascosti. Nelle nostre famiglie non si esercita forse violenza quando desideriamo che i nostri figli facciano determinati sport o suonino  un determinato strumento o si indirizzino verso determinati studi o scelte professionali; quando, in sintesi mettiamo su di loro le nostre ambizioni e le nostre storie irrisolte. È sempre l’adulto intrusivo che plagia e toglie vita. E violenza è anche quella che si esercita quando i piccoli vengono avviati al successo, al protagonismo e alla celebrità . Il mondo dello spettacolo, complici cinema e televisione, ci hanno abituato alla vista i piccoli cantanti e giovani attori sacrificati alla soddisfazione dei desideri di mamme e papà. Per il bambino il successo non ha di per sé significato: per lui contano solo l’accettazione e l’amore di mamme papà, e farebbe qualsiasi cosa, si sottoporrebbe la qualsiasi tortura pur di ottenerli. Tempo fa Jodie foster ,  lei stessa bambina sacrificata al successo e sopravvissuta a tale esperienza,   denunciò nel  film “Il mio piccolo genio”   (1991) le responsabilità dei genitori in questi casi.
Nonostante la grande diffusione dell’informazione psicologica, sia attraverso i rotocalchi che attraverso le trasmissioni televisive, siamo ancora dentro “quella pedagogia nera”, così è stata definita da Alice Miller, che fa del bambino un oggetto, utilizzando la manipolazione o il ricatto affettivo, un’educazione che non sa “vedere” il bambino e non sa ascoltarne i bisogni autentici.
Maltrattamenti,  carenze affettive, disattenzione per la salute, esposizione a pericoli,  a stimoli e situazioni insostenibili dai bambini, sono molto più frequenti di quanto si pensi anche nelle cosiddette famiglie normali, apparentemente ben funzionanti.  La violenza, in qualsiasi forma si manifesti, è destinata a   perpetuarsi  a riprodursi. Il bambino che subisce violenza, a meno che non abbia la possibilità di trovare opportunità di riparazione e compensazione, come potrebbe accadere adesso per i bambini napoletani, da adulto vi farà egli stesso ricorso, come è evidente dalle storie di vita di chi ha praticato omicidi di massa.(Hitler, Stalin, Mao, Ceausescu). Molta buona, attendibile ricerca in ambito neuroscientifico, confermando peraltro intuizioni che già da tempo circolavano in ambito psicoterapeutico, rivela come traumi, maltrattamenti, deficit affettivi, subiti durante l’infanzia, determinano gravi alterazioni della chimica cerebrale e addirittura danni anatomici  (scarso sviluppo dell’ippocampo, ingrossamento delle zone correlate alle emozioni, compromissione delle connessioni interneuronali tra queste e le zone che controllano le emozioni) con grave sofferenza e danno non solo del soggetto adulto  ma anche della stessa società.
Se le conoscenze psicologiche e psicoanalitiche non hanno determinato quei cambiamenti nelle pratiche educative che ci si aspettava, almeno le più recenti scoperte sul funzionamento e sullo sviluppo del cervello umano dovrebbero modificare, considerando l’impatto che la tecnologia collegata alla ricerca neuro scientifica ha sull’immaginario delle persone (si vogliono prove tangibili!), dovrebbero modificare il nostro modo di pensare e di rapportarci con i bambini in considerazione  della sofferenza e dei danni che possiamo arrecare.

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