Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

venerdì 14 febbraio 2020

La rilevanza delle conoscenze in ambito neuroscientifico per il mondo dell'istruzione. Il caso della lettura





Le conoscenze nell’ambito della Neuroetica e delle neuroscienze sono utili per imparare a pensare meglio, per sviluppare pensiero critico, capacità di argomentazione? Ovviamente sì. Diversamente n on avremmo organizzato una scuola di Alta Formazione in Neuroetica e Filolsofia delle Neuroscienze aperta agli allievi frequentanti gli ultimi due anni degli istituti secondari in cui la filosofia è materia curriculare. Se le su menzionate discipline non avessero l’utilità nel senso di cui sopra, la Francia non avrebbe messo a capo del Consiglio Scientifico dell’Istruzione Nazionale (CSEN) Stanislav Dehaene, neuroscienziato, autore di una delle teorie della coscienza più significative. Com’è noto l’indagine condotta dall’Ocse-Pisa denunciava come i nostri ragazzi abbiano forti difficoltà nelle prove di comprensione di un testo scritto: uno su quattro di essi non riesce a definire quale sia il concetto più rilevante in un testo scritto. Fino a qualche tempo fa l’educazione e l’apprendimento erano compito della scuola e della famiglia e si apprendeva attraverso l’interazione con le altre persone, comunicando ed imitando. Da qualche tempo ormai l’apprendimento è fortemente governato da congegni elettronici. L’uso di app, computer ed altri congegni hanno la loro influenza devastante: la frammentazione delle informazioni e dei testi porta ad una lettura frammentaria e superficiale, non riflessiva, spezzettando l’ attenzione in frazioni di tempo sempre  più brevi, destrutturando la capacità di comprensione di pensiero. Noi abbiamo
bisogno di sequenzialità! La lettura è cosa molto complessa e, a differenza del linguaggio geneticamente programmato, è un “artifizio”, inventato dai noi esseri umani, utile, secondo una prospettiva evoluzionistica, alla sopravvivenza. La lettura non è naturale, non emerge spontaneamente come il linguaggio. Ha bisogno di apprendimento,  di esercizio e di determinate circostanze. Da un punto di vista neurobiologico essa è supportata da un circuito complesso che coinvolge le regioni della visione, del linguaggio, della cognizione, le regioni motorie, le regioni sottocorticali delle emozioni, i meccanismi della memoria e quelli attentivi. Insomma una mole di lavoro che il nostro cervello compie in pochi secondi. La domanda che ci si pone è se la qualità dell’attenzione e, dunque, della comprensione e, di conseguenza, della lettura profonda cambierà mano a mano che passeremo dalla lettura del libro cartaceo a quella su congegni elettronici. In una recente ricerca svolta da una studiosa norvegese (Anne Mangen) i soggetti sperimentali (studenti) sono stati divisi in due gruppi: uno avrebbe dovuto leggere un racconto avvincente  su un Kindle, l’altro su un libro tascabile. Avrebbero poi dovuto rispondere ad una serie di domande sul contenuto del racconto. Ebbene  i ragazzi che avevano letto la versione elettronica mostravano una minore capacità di ricostruire la trama in ordine cronologico. Tale risultato è stato confermato da altre ricerche le quali rilevano come la capacità di mettere in sequenza le informazioni e la memoria per i dettagli diminuiscono quando si legge su uno schermo. E’ inoltre evidente da altri studi, a dispetto della crescente informatizzazione che è diventato uno degli obiettivi primari in alcune scuole,  che l’uso del computer privilegia solo gli alunni più bravi e competenti  e che oltre un certo tempo di utilizzazione non porta alcun beneficio. Non solo, ma esiste una cospicua ricerca la quale evidenzia come l’apprendimento o la semplice lettura attraverso il computer non potenzia attitudini specificamente umane quali la riflessività ed il senso critico, potenziati invece da forme di apprendimento e lettura tradizionali. Dunque sì ad una scuola che sappia mettere insieme tecnologia e discipline umanistiche; sì ad una scuola che sappia fare scelte mirate,  che non sia vittima delle abbuffate di paccottiglia pseudoculturale che costantemente viene proposta, anche dall’alto: progetti e progettini, giornate dedicate non si sa più a che cosa, gite e viaggi, concorsi e gare, stage e viaggi cosiddetti d’istruzione. Insomma quelle “tante cose” di cui, talora, i dirigenti vanno fieri e che suscitano l’entusiasmo di genitori ingenui.

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