Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

mercoledì 19 marzo 2014

"Il femminile e lo spirituale", relazione di Carlo di Cicco (vicedirettore dell'Osservatore Romano)

Dibattito giornata donna 7 marzo 2014 ore 16 (Organizzato dl centro di Psicologia Umanistica) – Sala degli Abati, Piazza Corte, Cassino


Tra il Simposio di Platone , il Simposio di Gesù e il grido di Giobbe la scelta di Teresa di Lisieux


Teresa del Bambino Gesù. Chi è questa giovane donna di soli 24 anni proclamata dalla Chiesa “dottore dell’Amore” (1997) che questa sera riconosciamo come uno dei paradigmi possibili  per comprendere il rapporto esistente tra il femminile e lo spirituale?  Può una monaca morta di tubercolosi in un monastero periferico della Francia alle soglie del XX° secolo avere qualcosa da dire sull’essere donna e sul percorso di liberazione della donna nella società e nella Chiesa del nostro tempo? Penso fortemente che sia possibile. Anzi attraverso la testimonianza della sua vita possiamo convincerci che Teresa del Bambino Gesù contribuisce a dare respiro ampio non solo alla causa delle donne, ma alla ricerca che ogni essere umano si propone per trovare un senso e una dignità  alla propria esistenza. Teresa di Lisieux è un tesoro per la Chiesa ancora poco investito per facilitare la comprensione del Vangelo e superare la diffidenza di quanti pensano che esperienza religiosa e vita quotidiana siano incompatibili.


Il film Thérèse di Alain Cavalier (1986), pur con le difficoltà espressive inevitabili, cerca di dimostrare che con la giovane carmelitana Teresa non ci troviamo di fronte a una doppia personalità, ma a una donna matura che ha equilibrato nella sua persona le pulsioni che accompagnano la crescita  umana nel tempo e la nostalgia del totalmente altro che mai manca nell’intima ricerca di senso di ogni donna e di ogni uomo. Teresa è una persona che ama e, amando, parla dell’amore come centro significativo della vita. Una donna consumata giovane dall’amore prima che dalla malattia. Non si tratta dell’amore generico, diluito nelle possibili avventure frammentarie,  non si tratta semplicemente dell’eros, ma dell’amore nuovo che il cristianesimo ha portato nella storia. E’ una donna che, una volta entrata al Carmelo, è diventata adulta in fretta, senza perdere la freschezza che bambini e adolescenti mettono nell’amare le persone della loro cerchia familiare e amicale. Capace di incantarsi,  nonostante fondati motivi di disincanto di fronte all’esperienza dell’ottusità altrui nel capire la gentilezza dell’animo e di fronte alla malattia logorante.
Il chiodo fisso di vivere amando non l’ha abbandonata mai anche nei momenti meno gratificanti. Finché ha avuto le forze, l’amore è stato la sua massima aspirazione, il progetto di una vita degna di essere vissuta al di là del tempo e dello spazio a lei concesso dal destino. Le sue ultime parole da morente sono state”Mio Dio io ti amo”. E poco prima, quasi in un bilancio di vita aveva confessato: “Non mi pento di essermi consegnata all’amore”. Eppure nel luglio precedente la sua morte aveva confidato a una sorella: “Morire d’amore non è morire fra i trasporti. Glielo confesso francamente, credo che sia ciò che provo”. D’altra parte osservava che “Nostro Signore, è morto sulla croce nelle angosce, ed ecco tuttavia la più bella morte d’amore. E’ la sola che si sia vista”. Terminava così un dialogo durato tutta la vita, dove la parola più ricorrente è stata amore, vera bussola di una esistenza giovane e breve.
Per cogliere questa sua caratteristica che la rende vicina e lontana, diversa comunque da tante proposte di santità, in un dialogo inconsueto ma fecondo, possiamo cercare di accostare il Simposio di Platone che parla dell’Eros e il Simposio di Gesù che parla di amore. Non propongo l’accostamento per un esercizio retorico, ma perché l’amore proposto dal Vangelo non è solo sentimento; è, invece, un essere e operare coerente con la persona che si dice di amare. Gesù è concreto: se mi amate osservate i miei comandamenti. E’ un amore dinamico che sta in piedi anche quando non c’è il trasporto del sentimento.
Questa dimensione dell’amore che non si affida al sentimento, ai languidi e altalenanti soprassalti del cuore, ma alla fedeltà nell’operare in coerenza con l’amare, si è sempre verificata nelle esperienze mistiche dei santi: essi hanno amato pur nell’aridità del sentimento, sono rimasti fedeli nell’esperienza del dolore fisico o psichico, affidandosi a Dio, fidandosi di lui anche nella notte dell’anima, nel tormento spirituale indicibile che si prova quando la fede viene messa alla prova. Amo perché mi fido, mi fido perché amo.

Accade qui  l’introspezione nell’amore che incontriamo nella tragedia di Giobbe, quello che fu tentato di giudicare Dio, non capendolo e al termine di una prova terribile  e devastante giunge a rivolgersi a Dio dicendo: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e provo pentimento sopra ogni polvere e cenere”. In controluce al Libro di Giobbe si coglie meglio il fascino della scelta compiuta da Teresa la quale, in mezzo alla durissima prove degli ultimi suoi mesi di vita, sfiancata dalla tisi e dall’assenza di sentimento nella fede, citava un versetto di Giobbe (13,15) formulandolo in questi termini: “Anche se Dio mi uccidesse, spererei ancora in lui”. Solo un amore davvero convinto e fortissimo fondato sulla fiducia nella persona amata, può portare a questo affidamento. Un amore che per essere compreso nel suo sperdimento e nella sua intensità misteriosa serve sfogliare il Cantico dei Cantici. Un libro della bibbia che Teresa cita moltissimo nei suoi scritti. Per meglio attingere la profondità dell’amore in Teresa inserendone la comprensione  nell’indagine sul senso dell’essere e del tempo concesso a ciascuno è interessante una lettura parallela di Giobbe, del Cantico, di Platone e Gesù.
Giobbe lo percepiamo immediatamente familiare perché la sua vita altalenante tra disgrazia e fortuna fa parte dell’esperienza universale dell’umanità. Il Cantico autorizza in ogni storia d’amore a gustare eros come un bene voluto da Dio; Platone nel Simposio riassume la saggezza antica su eros mai venuta meno nella ricerca umana della felicità e del bene. Ciò che sconvolge la diffusa esperienza umana e chiede uno sforzo di comprensione speciale è l’amore alla maniera di Gesù. La parabola del samaritano che incarna concretamente e riassume cosa e come Gesù intenda l’amore per gli altri è ammirata ma più raramente praticata perfino dai credenti.
Non esiste un vero e proprio simposio di Gesù dove si tiene l’elogio dell’eros. Chiamo tuttavia simposio sull’amore cristiano i discorsi di Gesù all’ultima cena come ce li racconta l’evangelista Giovanni nei capitoli 13-17 del suo Vangelo. L’amore alla maniera di Gesù – definito comandamento nuovo - è certamente rivoluzionario: tra le sue componenti è compresa la piena dimensione dell’eros, ma non è l’aspetto innovativo.
L’eros è una componente umana altissima dell’amore.
Gesù non la nega, parla agli apostoli amandoli come amico, con sentimenti. La notte del tradimento emerge quanto sia importante per Gesù l’amicizia e si delinea la tenerezza appassionata con cui egli la vive. Ma il suo discorso apre orizzonti più ampi per l’amore perché aggiunge qualcosa che solo Dio può mettere alla sua maniera. Per meglio capirlo questo amore alla maniera di Dio, occorre completare la lettura del Vangelo di Giovanni con le Lettere di Giovanni, specialmente la prima, dove è contenuta l’umanamente impensabile definizione di Dio Amore. In quanto amore Dio non può che agire per amore e nell’amore. L’iniziativa di Dio che ci ama per primo,  per gli umani apre un tempo nuovo per vivere e rappresentare l’amore nella vita quotidiana. Sono picchi della riflessione sull’amore che implicano  -per dirla con papa Francesco – la carnalità del nostro amare ma combinata con la dimensione interiore. Il trasporto dell’anima. Tutta la persona è coinvolta nell’amore richiesto da Gesù. Nessuno mai ha parlato dell’amore come Gesù e nessuno ha proposto la possibilità di un amore e la via per realizzarlo come ha fatto Gesù.
Nel solco dell’amore  proposto da Gesù si incammina Teresa che fin da giovanissima ne è affascinata. Teresa è un tipo di donna ordinaria che in ogni cosa porta una carica straordinaria vitalità: in pochi anni  (morta a 24)  ha scelto la sua opzione fondamentale di vita (amare); ha deciso di entrare in monastero di clausura come massima opportunità di vivere l’amore scelto; non ha fatto cose straordinarie ma ha amato nella quotidianità e nelle piccole cose della vita; ha attinto alla letteratura e dalla bibbia la sua cultura sull’amore; ha sofferto molto nel corpo con la malattia e nell’animo con l’incomprensione delle sue consorelle, con estrema serenità; ha affidato alla poesia e ai diari la sua esperienza interiore di percorso verso l’amore realizzato; non ha rinunciato al suo modo di essere dolce e decisa contemporaneamente. Questo significa avere personalità e vivere con responsabilità. Per una giovane donna significa non vivere come figura di contorno, ma aver maturato un progetto e tenderlo a realizzarlo con tutte le forze.


Simposio di Platone

Il tema dichiarato è eros, il dio greco dell’amore. Al tempo della scolastica la visione platonica dell’eros servì  a interpretare il rapporto tra mondo sensibile e dio cristiano, tra creatore e creatura. Nel secolo scorso il simposio  ha interessato la ricerca psicoanalitica per approfondire le teorie sull’amore. Socrate fa dell’amore un demone mediatore tra l’umano e il divino
Discorso Fedro: Eros è sorgente dei più grandi beni. Chi ama davvero trasforma se stesso, acquista forza e maturità. In chi ama si produce un cambiamento interiore, non si è più quelli di prima. Se gli amanti combattessero l’uno a fianco all’altro potrebbero vincere per così dire il mondo intero, anche se fossero soltanto un piccolo gruppo, perché sarebbero molto uniti tra loro. Soltanto gli amanti accettano di morire l’uno per l’altro, non solo gli uomini ma anche le donne.
Pausania: Non tutto l’amore è bello e degno di elogio: lo è soltanto quello che porta ad amare bene. Si tesse l’elogio dell’amore omosessuale specialmente tra maschi “sesso per natura più forte e intelligente”. Chi si comporta male è l’amante volgare che ama il corpo più che l’anima. Chi ama il carattere di una persona per le sue alte qualità resta fedele tutta la vita perché il suo amore resta in qualcosa di costante. E’ bellissimo cedere quando si cede per virtù tra l’amante e l’amato.
Erissimaco: Eros è un grande dio, un dio meraviglioso e la sua azione si estende su tutto sia nell’ordine dell’umano che del divino. L’eros ci procura ogni felicità e ci rende capaci di legare con vincoli di amicizia gli uni con gli altri ed anche con quegli esseri a noi superiori, gli dei.
Aristofane: Mi sembra che gli uomini non si rendano assolutamente conto della potenza dell’Eros. E’ il dio più amico degli uomini.
Per ciascuna persona ne esiste un’altra che le è complementare perché quell’unico essere è stato tagliato in due come le sogliole. E’ per questo che ciascuno è alla ricerca continua della sua parte complementare…Quando si incontra l’altra metà di se stesse da cui sono state separate le persone son prese da straordinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall’affinità per l’altra persona, se ne innamorano e non sanno più vivere senza di lei – per così dire – nemmeno per un istante. E queste persone che passano la loro vita  gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dire che cosa desiderano l’uno dall’altro. Non è possibile pensare che si tratti solo delle gioie del fare l’amore, non possiamo immaginare che l’attrazione sessuale sia la sola ragione della loro felicità e la sola forza che li spinge a vivere fianco a fianco. C’è qualcos’altro: evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere ma che intuisce con immediatezza”.
Quello che ciascuno desidera : riunirsi e fondersi con l’amato. Non più due ma un essere solo. La ragione è questa , che la nostra natura originaria è tale. Noi formiamo un tutto: il desiderio di questo tutto è la sua ricerca ha il nome di amore. Allora eravamo una persona sola; ma adesso per la nostra colpa in dio ci ha separati in due persone.
All’amore nessuno resiste perché chi resiste all’amore è inviso agli dei.
Oggi la cosa migliore è tentare di avvicinarci il più possibile alla perfezione: incontrare l’anima a noi più affine, e innamorarcene.
Agatone:Tra tutti gli dei Eros è il più felice perché è il più bello e il migliore…Abita in ciò che è più tenero al mondo. Eros infatti ha stabilito la sua dimora nel cuore e nell’anima degli uomini e degli dei. Va ad abitare in quelle in cui trova dolcezza.
Su ciò che non fiorisce, sul fiore appassito nel corpo o nell’anima o in ogni altra cosa, Eros non si posa. Eros non fa né subisce ingiustizia, non fa torto a nessun uomo o dio, e non ne subisce da nessuno né uomo né dio. La violenza non ha presa sull’Eros. Eros conquista con la forza e neppure lo si conquista con la forza. Non c’è piacere più grande di Eros…Non è Ares che domina Eros, ma Eros possiede Ares. Eros è la nostra salvezza per eccellenza.

Diotìma: Eros interpreta e trasmette agli dei tutto ciò che viene dagli uomini e agli uomini ciò che viene dagli dei…contribuisce a superare la distanza tra loro in modo che il Tutto sia in se stesso ordinato e unito…Il divino non si mescola con ciò che è umano. Questi demoni sono numerosi e di ogni tipo: uno di essi è Eros.
L’oggetto dell’amore è sempre bello, delicato, perfetto, sa dare ogni felicità. Ma l’essenza di chi ama è differente.
In che cosa consiste esattamente  il desiderio che si prova quando si ama? Noi desideriamo che l’oggetto del nostro amore ci appartenga…Possedere ciò che è buono fa la felicità delle persone.
L’amore ha mote forme, ma noi prendiamo una sola di queste forme e le diamo il nome generico di amore come se fosse unica.
L’amore è il desiderio di possedere sempre ciò che è buono…amare sia per il corpo che per l’anima significa creare nella bellezza…Nell’unione dell’uomo e della donna c’è qualcosa di creativo, qualcosa di divino. Tutte le creature viventi sono mortali, ma in loro c’è una scintilla di immortalità: è la fecondità dei sessi, la capacità di generare nuovi esseri viventi; ma questo non può avvenire se non c’è armonia…Eros desidera creare e far nascere nuova vita nella bellezza. Perché creare nuova vita? Perché per qualsiasi essere mortale l’eternità e l’immortalità possono consistere solo in questo: nel creare nuova vita. Ora, il desiderio d’immortalità accompagna necessariamente quello del bene se è vero che l’amore è desiderio di possedere per sempre il bene. E così l’amore ha come proprio oggetto l’immortalità.
Gli uomini fecondi nel corpo pensano soprattutto alle donne..Altre persone sono feconde nell’anima: c’è infatti una fecondità propria del nostro spirito che a volte è superiore a quella del corpo. Ecco qual è: è la forza creativa della saggezza e delle altre virtù in cui il nostro spirito eccelle. Quando un uomo fecondo nel suo animo incontra un’anima bella e generosa e sensibile, allora le dà tutto il suo cuore..Che sia presente o assente il suo pensiero va sempre all’altro che ama e così nutre ciò che nel rapporto con lui in sé ha generato. Tra gli esseri di questa natura si crea così una comunione più intima di quella che si ha con una donna quando si hanno bambini, un affetto più solido….Le opere dello spirito valgono molto più dei figli.
Da soli o sotto la guida di un altro, la perfetta via dell’amore ha inizio con la bellezza sensibile e ha per fine la contemplazione della Bellezza pura.  Questo mio caro Socrate è il momento più alto nella vita di una persona: l’attimo in cui si contempla la Bellezza pura.


Simposio di Gesù

Il Simposio di Gesù, ossia il suo discorso sull’amore, avviene durante una cena speciale tra amici, l’ultima della sua vita, e si apre con un rito di purificazione con la lavanda dei piedi. Non ha eguali nella storia della letteratura mondiale la cena di Gesù con gli apostoli, dove si confrontano potere e amore. Il Dio che tutto può rovescia il tavolo e da potente diventa colui che lava i piedi ai discepoli dimostrando in questo modo che “li amò sino alla fine”. Se svuotiamo la vita di potere la riempiamo d’amore. E solo con l’amore si può aver parte con questo Gesù che inaugura un Regno dalle regole rovesciate rispetto al protocollo di ogni autorità mondana.
L’amore di cui dà prova non può restare parola, ma deve diventare opera: vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi.
Al rito di purificazione segue il discorso dell’addio che chiarisce le ultime volontà di Gesù e indica la via che devono seguire i discepoli. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.
Se mi amate, osserverete i miei comandamenti […] Io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole”.
Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”.
Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando”. Le conseguenze di questo amore nella vita dei discepoli? Vi uccideranno pensando di rendere culto a Dio. E quindi la preghiera di Gesù per i discepoli perché abbiano gioia e rimangano uniti. “Io – conclude Gesù – ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.
Ricordando questa cena memorabile, Giovanni scrisse poi una lettera sull’amore. Dove si dice che Dio è Amore e dove si afferma che l’amore per gli altri è la misura dell’amore di Dio.]




Teresa del film e Teresa dei documenti storici

Il film ci mette in una giusta prospettiva per un cammino di approfondimento dell’anima di Teresa. L’autore fa al meglio il suo lavoro trattando una materia che in gran parte appartiene al mondo dello spirito e pertanto è inesprimibile nella sua essenza con i linguaggi esteriori e sensitivi.
La visione del film lascia in piedi il grande dubbio: se l’amore di Dio comprende anche la componente erotica o è un amore del tutto astratto e cervellotico e perciò incomprensibile. Teresa mostra di amalgamare eros  greco e amore cristiano nell’unità della sua esperienza personale disinibita con Gesù e con gli altri.
Se ricordiamo lo scalpore che Benedetto XVI fece con la sua enciclica Deus caritas est superando  l’antitesi tra eros e agape, amore cristiano e amore profano (è uno solo il modo di amare in modo completo)[1], capiremo in qualche modo meglio l’eccezionalità del messaggio di Teresa sull’amore. Eccezionale nel senso che non è stato abituale nella storia della Chiesa vivere in forma unitaria eros e agape sottoposti costantemente a separazione forzata. Questa giovane donna più di un secolo prima dell’enciclica di Ratzinger, si era giocata tutta la vita sull’amore riuscendo a integrare l’amore di Dio e del prossimo, l’amore umano e l’amore cristiano in una sola esperienza di vita. Amare Dio non spegne il sentimento dell’amore per il prossimo. Lei ne ha fatto esperienza, e non fermandosi alla teoria dell’amore ne ha confermato la fattibilità[2]. Per amare, più che rinunciare bisogna essere a pieno quello che la persona è.
Il film lascia solo intravedere questo progetto e questo percorso come fosse semplice e scontato, mentre non lo è stato affatto. Del resto penso sia difficilissimo rappresentare l’umanità di un’esperienza spirituale profonda come la donazione della vita a Dio nella vita claustrale.
Nel Manoscritto B (1896) Teresa racconta  la scelta della sua vocazione, del chi voler essere nella vita. Scelta che venne dopo la lettura della lettera di san Paolo ai Corinzi quando al capitolo XIII  si descrive l’importanza dell’amore. Il famoso inno alla carità.
“L’apostolo – scrive Teresa – spiega come tutti i doni più perfetti sono nulla senza l’amore…Che la carità è la via eccellente che conduce sicuramente a Dio. Finalmente avevo trovato il riposo. Considerando il corpo mistico della Chiesa, io non mi ero riconosciuta in nessuna delle membra descritte da san Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutte…La carità mi diede la chiave  della mia vocazione. Io compresi che se la Chiesa aveva un corpo composto di differenti membra, il più necessario, il più nobile di tutto non le mancava, io compresi che la Chiesa aveva un cuore e questo cuore era bruciante d’amore. Io compresi che l’Amore solo faceva agire le membra della Chiesa, che se l’Amore si fosse spento, gli apostoli non avrebbero più annunziato il vangelo, i martiri avrebbero rifiutato di versare il loro sangue. Io compresi che l’Amore racchiudeva in sé tutte le vocazioni, che l’Amore era tutto, che esso abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi. In una parola che esso è eterno. Allora nell’eccesso della mia gioia delirante, io ho esclamato: O Gesù, mio Amore, la mia vocazione, finalmente l’ho trovata. La mia vocazione è l’amore. Si ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto o mio Dio sei tu che l’hai dato. Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l’Amore così io sarò tutto, così il mio sogno si sarà realizzato”.

Il giorno della morte, il 30  settembre del 1897 una delle ultime sue parole fu: “Non mi pento di essermi consegnata all’Amore”. Un detto che indica la maturazione avuta dall’esperienza e dalla certezza di aver scelto la parte migliore, come prima di lei, san Giovanni della Croce,  padre spirituale dell’esperienza mistica carmelitana aveva lasciato scritto: “Alla sera della nostra vita saremo giudicati sull’amore”.
Alla comprensione del suo voler essere nella Chiesa l’amore, Teresa fece seguire un atto dai suoi biografi e teologi giudicato centrale per cogliere il senso dell’esistenza di Teresa e la sua dottrina spirituale. Il 9 giugno 1895, all’età di 22 anni la giovane carmelitana scrisse infatti “l’Atto di offerta di me stessa come vittima di olocausto all’Amore misericordioso del buon Dio”.
“Alla sera di questa vita – si legge tra l’altro nell’Atto – io mi presenterò davanti a te con le mani vuote, perché io non ti chiedo Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie hanno delle macchie ai tuoi occhi. Io voglio dunque rivestirmi della tua stessa giustizia e ricevere dal tuo amore il possesso eterno di Te stesso. Io non voglio altro trono ed altra corona che te, o mio amato! Ai tuoi occhi il tempo non è niente, un sol giorno è come mille anni, tu puoi, dunque in un istante prepararmi a comparire davanti a te. Per vivere in un solo atto di perfetto amore, io mi offro come vittima di olocausto al tuo amore misericordioso, supplicandomi di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nell’anima mia, i flutti di tenerezza infinita che sono racchiusi in te e che così io diventi martire del tuo amore, o mio Dio! Io voglio, o mio amato, ad ogni battito del mio cuore rinnovarti questa offerta un numero infinito di volte fino a che le ombre essendo svanite, io possa ridirti il mio amore in un faccia a faccia eterno!”.
Anche in circostanze eccezionali come questa, Teresa non cessa di essere una donna che sceglie liberamente e di operare in conseguenza dell’ispirazione interiore, non affidandosi né confidando nel puro sentimento.

Quando il 7 luglio del 1897, già malata terminale le vien chiesto di ricordare cosa successe dopo la sua offerta all’amore, Teresa ricorda: “Stavo cominciando la mia Via Crucis ed ecco che improvvisamente sono stata presa da un così violento amore per il buon Dio, che non posso spiegare ciò se non dicendo che era come se mi avessero immersa completamente nel fuoco. Oh, che fuoco e che dolcezza insieme! Bruciavo d’amore e sentivo che non avrei potuto sopportare questo ardore un minuto, un secondo di più senza morire. Allora ho capito ciò che i santi dicono di questi stati che loro hanno sperimentato tanto spesso. Per me, io non l’ho provato che una volta e per un solo istante, poi sono ripiombata subito nella mia abituale aridità”.
Occorre sottolineare la creatività nell’atteggiamento di Teresa di rispondere all’amore di Dio, la sua capacità di declinarlo in ogni momento e in ogni situazione. Come pure la capacità di sminuire sempre la sopportazione del dolore nella malattia. Alla scuola del dolore aveva imparato a vivere in modo cosciente e forte tutta la vita, senza banalizzare neppure le cose banali. Il 5 giugno del 1897, all’ultimo stadio della tisi che la lasciava senza respiro, si espresse in una formula che si ritroverà decenni dopo nelle ultime pagine del Diario di un curato di campagna di Georges Bernanos: “Tutto è grazia”, anche la notte oscura e arida della fede, quando svanisce la voglia di vivere. Sintesi di una vita apparentemente infelice e travagliata di un prete alcolista e malato. L’affermazione che tutto è grazia, in un momento di massimo abbandono spirituale e deperimento organico (Morire d’amore non è morire fra i trasporti. E’ ciò che provo – confidava negli ultimi tempi) indica che un lungo cammino è stato compiuto da Teresa verso la consapevolezza del proprio vivere e morire.

Carlo di Cicco




[1]  Benedetto XVI, Deus caritas est. “Se si volesse portare all’estremo questa antitesi (tra eros e agape) l’essenza del cristianesimo risulterebbe disarticolata dalle fondamentali relazioni vitali dell’esistere umano e costituirebbe un mondo a sé, da ritenere forse ammirevole, ma decisamente tagliato fuori dal complesso dell’esistenza umana.  In realtà eros e agape – amore ascendente e amore discendente – non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro” (n° 7).
[2]  Cfr. Manoscritto C. Teresa, nel giugno del 1897, scrive nel foglio 9 del manoscritto: “Donandosi a Dio il cuore non perde la sua tenerezza naturale, quella tenerezza al contrario cresce diventando più pura e più divina”. 

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