Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

venerdì 14 luglio 2017

"Empatia: mito e realtà di un 'emozione chiave" di Sarah Songhorian: relazione al III Convegno di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze a Cassino.


Sarah Songhorian (Università Vita e Salute- San Raffaele di Milano).”Empatia: mito e realtà di un’emozione chiave”. Come si valuta l’empatia? E’ consapevole o inconsapevole? E’ necessaria per attivare il comportamento morale? E, allora, chi ne è privo, come si suppone nei soggetti autistici, non è capace di moralità? E non è forse vero che soggetti psicopatici sono capaci di empatia (abilità che utilizzano per fare il male). O non è forse la simpatia (così come è stata teorizzata filosoficamente e psicologicamente) che ci interessa di più da un punto di vista della morale? Queste le domande poste dalla dott.ssa Songhorian, che ha problematizzato da un punto di vista filosofico ed epistemologico ma sempre in connessione con la ricerca scientifica.

 Non c’è una definizione univoca di dell’empatia. Esiste una molteplicità di definizioni a seconda dell’ambito e del taglio applicativo delle ricerche. Fondamentalmente esistono tre macro aree cui si applica l’empatia.

All’interno della prima empatia è definita come la capacità di cogliere gli stati mentali altrui (l’empatia è uno strumento di prima mano per comprendere gli altri). Nella seconda si vuole cogliere la connessione tra empatia e moralità e la domanda che ci si pone è se l’empatia sia necessaria e sufficiente per il comportamento morale. Nella terza area ci si chiede come gli esseri umani si mettano in relazione con le opere d’arte:  può dipendere dall’ empatia del soggetto con il quadro, con l’autore o dalle qualità del quadro stesso (forma , colori,ecc..).

Esiste una  definìzione di empatia legata alla psicologia del senso comune (PSC): è piuttosto ampia ed implica nozioni come comportamento d’aiuto, senso di colpa, teoria della mente (mettersi nella mente degli altri). La definizione di empatia secondo la PSC pone una serie di problemi. Ad esempio c’è da chiedersi   se è proprio vero che quando condivido lo stato emotivo dell’altro io, di conseguenza, sia portato ad aiutare quella persona. Secondo il concetto di empatia che comporta l’aiuto è evidente che le due cose si identificano. Il che porterebbe a pensare che ogni volta che io sia stata coinvolta in una relazione d’aiuto  io sia stata empatica. Ma ovviamente non è così perché avrei potuto aiutare qualcuno per motivi diversi, magari anche solo per motivi personali egoistici. Non si può, dunque, valutare l’empatia sulla base del comportamento: non c’è relazione biunivoca tra empatia e comportamento morale. Neanche il report a- posteriori del soggetto ci dà certezze in merito, certezze che potrebbero, invece, esserci date da una risonanza magnetica funzionale che andasse a verificare l’attivazione dei circuiti neuronali coinvolti nel comportamento empatico. Rispetto ad un aiuto dato per motivi egoistici, l’aiuto empatico ha qualcosa in più ma richiede la conferma dell’altro che ci sia stata empatia. La nostra capacità empatica non è così trasparente: è ovvio che se vado da uno psicoterapeuta io  fondamentalmente mi aspetto empatia ma nel quotidiano è diverso.

L’empatia è condizione di possibilità della simpatia ma si pone su un piano descrittivo amorale. Distinguere questi due concetti è fondamentale per comprendere se e in che misura sia possibile passare dalla descrizione alla normazione. Il processo simpatetico si caratterizza come strumento utile a determinare l’agire e fissare le condizioni di un giudizio a-posteriori all’azione sia propria sia altrui. Ne deriva un criterio per giudicare e agire moralmente.

(Questo report è ovviamente parziale e non esaustivo della ricchezza e complessità della relazione  svolta dalla relatrice. Chi volesse approfondire:  Sentire e agire. L'etica della simpatia tra sentimentalismo e razionalismo, Sarah Songhorian,ed Mimesis)



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