Neuroscienze, neuroetica, filosofia della mente, psicoterapia

giovedì 21 marzo 2019

Gli Abstract del VI Convegno Cassinate di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze 6 aprile: Alberto Oliverio, Massimo Marraffa, Leonardo Paris, Silvia Pellegrini, Luigi Pastore, Daniela De Filippis


VI Convegno Cassinate di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze

 

 

                                                6 aprile

 (Con il patrocinio della Società italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze)

 

            L’Io precario. Coscienza, responsabilità, controllo

 

                                                       ABSTRACTS

 

L’INCONSCIO E LE NEUROSCIENZE

Alberto Oliverio

Sapienza Università di Roma

Le neuroscienze cognitive sottolineano sempre più come il cervello abbia una sua vita nascosta, un insieme di attività e funzioni di cui non siamo consapevoli. Dai semplici riflessi all’emozione, dai desideri alla memoria, dalla nascita di idee creative alle decisioni, la mente oscilla tra conscio e inconscio, tra trasparenza e oscurità. Le neuroscienze si sono inizialmente concentrate sugli aspetti più tradizionali e palesi del comportamento, quelli che sembrano dipendere dal nostro controllo diretto e di cui abbiamo piena consapevolezza: movimenti e sensazioni, linguaggio ed emozione, attenzione e memoria fanno parte di un catalogo le cui pagine ci hanno fornito un nucleo iniziale di conoscenze. Ma l’animo umano è fatto anche di tensioni e sentimenti inespressi, di desideri latenti e ricordi da tempo sepolti, di decisioni apparentemente immotivate, di bivalenze emotive. Molti di questi aspetti della mente si svolgono a livello inconscio, sono attività sotterranee che conferiscono una dimensione più complessa e frastagliata alla psiche.
L’inconscio cognitivo non comporta una rimozione delle esperienze in senso dinamico ma si riferisce a forme di conoscenza implicita, non soggette o poco soggette all’elaborazione verbale, mentre l’inconscio dinamico ha a che fare con contenuti che sono stati accessibili alla coscienza ma che sono stati rimossi attivamente. Tra gli esempi di inconscio cognitivo si possono citare il problema delle false memorie o il cosiddetto ri-consolidamento della memoria, processi in cui il nucleo iniziale di un’esperienza cambia forma o viene “contaminato” da esperienze successive. Ovviamente, abbiamo a che fare con un inconscio diverso rispetto a quello freudiano ma non per questo meno inquietante: almeno per chi ritiene di esercitare un pieno controllo sulle proprie funzioni mentali che invece hanno luogo nostro malgrado o più semplicemente a nostra insaputa. Insomma, siamo ben lontani dal pensiero di John Locke che riteneva che la mente, con tutte le sue attività e processi, fosse trasparente a sé stessa, in grado di rivelare l'insieme delle sue associazioni all'osservazione introspettiva

 
LA DIALETTICA FRA ELABORAZIONE INCONSCIA E RIFLESSIONE COSCIENTE

 Massimo Marraffa

 
Università Roma3

 In questo intervento descrivo una forte tensione fra le scienze cognitive e la psicologia del senso comune. Da un lato alcuni scienziati cognitivi ridimensionano drasticamente l’introspezione, e con ciò sollevano un dubbio radicale sulla concezione ordinaria di noi stessi in quanto agenti coscienti: fatta eccezione per i dati percettivi, non si danno stati mentali coscienti. Dall’altro lato, l’etica ingenua guarda alla coscienza come alla base fondamentale per attribuire responsabilità: l’agente è responsabile di un’azione se questa rispecchia una sua deliberazione cosciente. Dopo aver esposto questo dissidio, caldeggerò l’adozione di una posizione intermedia tra il filosofo tradizionale, che continua ad attribuire un primato alla coscienza nell’azione a dispetto dei dati che emergono dalle scienze della mente, e lo scienziato (o il filosofo orientato empiricamente) che rivendica in modo eccessivamente unilaterale l’epifenomenismo per gli stati mentali coscienti. Un esempio di questa posizione intermedia può essere ricavato da alcune recenti riflessioni di Neil Levy e Peter Carruthers, che mostrano come la scienza cognitiva piuttosto che condurre all’epifenomenismo della coscienza, consente di articolare a grana più fine la dialettica fra elaborazione inconscia e riflessione cosciente.

 
 
LA TEOLOGIA E L’IO DELLE NEUROSCIENZE

                                               
 Leonardo Paris

  Istituto Superiore di Scienze religiose “Romano Guardini”-Bolzano

  La teologia e l’esperienza credente si confrontano necessariamente con le prospettive che emergono dal mondo delle neuroscienze. Molti sono gli aspetti sollecitati: etici, antropologici, ma anche schiettamente teologici. Basti pensare che, per esprimere il valore e la responsabilità della persona umana, l’antropologia teologica si è spesso avvalsa – attingendo profondamente dalla tradizione greca – del concetto di anima. Evidentemente il soggetto che emerge dalle ricerche neuroscientifiche costringe la tradizione cristiana a confrontarsi con istanze profondamente materiali-biologiche e profondamente relazionali. È nel confronto con la materia che si cerca il significato – e il valore – dell’umano. Una tale prospettiva non è innocua per il pensiero cristiano. Si tratta di una sfida profonda di dialogo e contaminazione fra discipline e prospettive di senso, di cui si cercheranno di mostrare alcuni punti di interesse per la teologia stessa. Ciò che a prima vista può sembrare una minaccia per la teologia, potrebbe rivelarsi uno spunto e un aiuto al pensiero, in modo particolare nella misura in cui tale pensiero voglia essere al servizio della concreta esperienza di fede. Solo un pensiero che sappia confrontarsi con le istanze contemporanee può essere capace di dialogare con l’esperienza – credente e non credente – dei propri contemporanei. 

 

 

GENI E AMBIENTE NELLA MODULAZIONE DEL COMPORTAMENTO SOCIALE UMANO

                                                   

 Silvia Pellegrini

 Università di Pisa

 

Numerose evidenze provenienti da studi osservazionali condotti sui gemelli e sui soggetti adottati, e, successivamente, da studi di genetica molecolare, mostrano che il comportamento sociale umano, almeno in parte, si eredita.

Alcune varianti genetiche dei pathway serotoninergico e dopaminergico, infatti, in interazione con un ambiente di crescita particolarmente negativo, sono state messe in relazione con il comportamento antisociale e sono state indicate come fattori di aumentato rischio di aggressività e di violenza, dando così nuovo vigore all’antico dibattito sul concetto di libero arbitrio.

Evidenze ancor più recenti, tuttavia, lasciano presupporre che queste varianti alleliche, più che dei fattori di rischio antisociale, rappresenterebbero dei fattori di plasticità, in grado di rendere il cervello umano maggiormente recettivo agli eventi esterni, sia negativi che positivi. Se è vero, dunque, che l’esposizione ad un ambiente particolarmente negativo aumenta il rischio di comportamento antisociale per i portatori di queste varianti alleliche, all’opposto, l’esposizione ad un ambiente di crescita particolarmente positivo, sembrerebbe favorirne il comportamento prosociale.

Oltre alla presentazione dei dati sperimentali a sostegno di queste ipotesi, saranno discusse le implicazioni etiche e sociali di queste nuove scoperte.

 

 

 

COSCIENZA, CONSAPEVOLEZZA EMOTIVA, AUTOCONTROLLO, DISREGOLAZIONE EMOTIVA E DIPENDENZA    

 

 Luigi Pastore,

 Università degli Studi di Bari, Aldo Moro

Per molto tempo la sfera emotiva è stata considerata una dimensione di carattere qualitativo dell'esperienza soggettiva, non separabile dalla coscienza e dalla consapevolezza. Il carattere cosciente e consapevole legato alla manifestazione delle emozioni ha svolto un ruolo importante rispetto alla convinzione di poter regolare o addirittura isolare, ossia controllare, soggettivamente la dinamica emotiva e i comportamenti correlati. Il legame tra emozioni, coscienza e consapevolezza nel corso degli ultimi decenni ha acquisito caratteri problematici, come mostra - per esempio - l'individuazione del continuum alessitimico, una specifica disfunzione della consapevolezza emotiva soggettiva, che determina diversi livelli di incapacità di individuare e riconoscere i propri vissuti emotivi. L'alessitimia costituisce un vasto territorio in cui una precaria o assente consapevolezza emotiva si lega a diversi livelli di incapacità di autoregolazione emotiva, con conseguenti problemi nel controllo razionale del comportamento, costituendo un rilevante fattore di vulnerabilità per il sorgere di comportamenti disfunzionali, tra cui le dipendenze.

 

 

NEUROMARKETING: SI PUÒ DAVVERO ENTRARE NELLE MENTE DEL CONSUMATORE?

Daniela De Filippis 1,2, Giulia Fronda 1,2 & Michela Balconi 1,2

1Unità di Ricerca in Neuroscienze sociali e delle emozioni, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

2Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
 
Recenti studi di psicologia e neurofisiologia dimostrano come le emozioni esercitino un forte potere sulle scelte decisionali, persino su quelle che richiedono notevole razionalità. Ma la domanda che ci si pone oggi, che coinvolge sia l’opinione pubblica che quella scientifica, è relativa a quanto le emozioni, applicate al settore del marketing, possano influenzare il comportamento del consumatore in termini di acquisto e consumo. Le grandi aziende hanno da sempre manifestato interesse per le strategie di marketing emozionale ma i metodi tradizionali trascuravano elementi importanti come ad esempio il fatto che aspetti tangibili tra cui il packaging, i colori o il layout merceologico di un brand possano elicitare positivamente o negativamente le risposte implicite del consumatore. In quest’ottica, il Neuromarketing nasce come disciplina in grado di fondere, attraverso l’uso di metodiche neuroscientifiche, tecniche tradizionali di marketing con nuove frontiere del campo neurologico e psicologico. Oggi, attraverso strumenti di rilevazione neurofisiologica è possibile illustrare ciò che accade nel cervello delle persone in risposta ad alcuni stimoli quali ad esempio prodotti, punti vendita o pubblicità in modo da determinare le strategie che spingono il consumatore all’acquisto. Dunque, è possibile applicare le conoscenze neuroscientifiche al servizio di un marketing efficace ma non sarebbe scientificamente corretto affermare che queste possano guidare totalmente il libero arbitrio. Studi di brain imaging mostrano come emozioni e cognizione siano connesse funzionalmente a livello cerebrale da correlati neuronali ma, se il sistema limbico permette di attivarsi emotivamente di fronte ad uno stimolo, è solo a seguito dell’elaborazione di quest’ultimo nella corteccia prefrontale che viene stabilita la scelta finale e razionale. Si deduce quindi che le emozioni non rendono il consumatore schiavo del prodotto ma possono orientarne la scelta quando la mente emotiva ha già concluso il proprio processo e può entrare in gioco il decision making razionale.

 

 

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